Claudio Borghi e il complotto della bozza del MES in inglese

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-12-03

La dimostrazione che la polemica della Lega sul MES è tutta una pagliacciata è la (doppia) versione dei fatti dell’onorevole Claudio Borghi che ieri e oggi ha parlato di riunioni segrete dove pochi eletti hanno potuto vedere la bozza del trattato, in inglese e senza possibilità di farne copie. Due giorni dopo quella bozza è diventata pubblica, ma la Lega da dicembre a giugno che ha fatto per cambiare il MES? Nulla

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Matteo Salvini e la Lega hanno deciso, per mancanza di argomenti, per far cadere il governo o per motivi che non hanno intenzione di rivelare, che dopo un anno e mezzo al governo era giunto il momento di rivelare agli italiani il loro più grande fallimento: la riforma del MES. Perché il dato di fatto è che quelli che volevano riformare tutti i trattati europei (per uscire dall’euro) non sono riusciti a riformare né il trattato di Dublino né il Meccanismo Europeo di Stabilità.

Alberto Bagnai che per fortuna conosce l’inglese e Borghi che non sa le date

Ma siccome in Europa (come ovunque, in democrazia) si decide a maggioranza il grande bluff dell’andiamo in Europa per cambiare le cose da dentro (che ricorda l’ingenuità dei grillini che volevano aprire il Parlamento come una scatola di tonno) è servito. E così ieri il Presidente della Commissione Bilancio della Camera Claudio Borghi è intervenuto a Radio Radio per dire che «il testo del Mes, ancora assolutamente provvisorio e in lingua inglese, fu reso noto da Giuseppe Conte il 15 giugno 2019 e non in Parlamento, ma a quattro persone in un stanza chiusa di Palazzo Chigi col divieto di prendere appunti e scattare fotografie».

Borghi aveva detto qualcosa di simile questa mattina ad Omnibus su La 7 quando aveva spiegato che «il 12 giugno in cui Goracci capo ufficio di Conte invitò Alberto Bagnai, Laura Castelli e Massimo Garavaglia in una stanza chiusa e riservata dove venne mostrato il testo del MES con l’ordine di non fare fotografie, non prendere appunti e l’impossibilità politica di fare cambiamenti». Borghi continua: «testo in inglese tecnico, Bagnai nel poco tempo che gli fu concesso riuscì a capire tutti i punti del MES» e girò in tempo reale le sue osservazioni e Salvini che disse “non firmiamo un cazzo”.

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Ora è interessante notare due cose. La prima: a Radio Radio Borghi dice il 15 giugno, a Omnibus il 12 giugno. Nel caso sia vera la versione del 12 giugno la “segretezza” si spiega così: l’Eurogruppo che approvò la bozza del trattato è del 14 giugno, due giorni dopo la riunione a Palazzo Chigi. Nella stanza con Conte c’erano due leghisti (Bagnai e il viceministro Garavaglia) quindi non si può dire che la Lega non sapesse. Del resto le trattative le aveva condotte Giovanni Tria, che fu indicato a Salvini da Paolo Savona all’epoca della formazione del Conte 1.

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La seconda: il testo della bozza di revisione del trattato è stata pubblicata dal MES il 15 giugno. In inglese certo, ma non si può dire che fosse segreta o ci fosse un divieto di farne copie. Anzi, se volete potete scaricarne una copia. È in un “inglese tecnico” ma potete sempre chiedere al senatore Bagnai che l’inglese lo sa. All’epoca il commento di Bagnai fu «ci trattano come trattarono i parlamentari greci col memorandum». Con la differenza che i parlamentari leghisti furono ampiamente informati sia della posizione del governo sia del senso della riforma del MES (compreso il backstop per le banche, sul quale Savona era d’accordo).

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Sulla questione delle date anche il nostro Borghi è confuso. Non solo non sa quando è stata mostrata la bozza ma addirittura dimostra che Conte non ha violato il mandato del Parlamento. Ieri Borghi condivide l’intervista a Radio Radio, un’utente gli fa notare che un documento del Senato del 21 giugno 2019 dimostra che il Parlamento era stato informato dell’evoluzione della trattativa dal 14 dicembre 2018. Ma Borghi non demorde e spiega che appunto «il dibattito alla Camera con l’ordine a Conte di non firmare nulla si tenne il 19 Giugno».

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Quindi è stato comunicato il 15, come poteva il giorno stesso essere “segreto”?

Però nel frattempo l’EuroGruppo – il vertice dei ministri delle Finanze dell’Unione Europea che a dicembre aveva ricevuto il mandato da parte del Vertice Euro di lavorare alla riforma del testo – il 13 giugno aveva già approvato«un documento riassuntivo concernente i principi generali dello Strumento, le sue principali caratteristiche, il finanziamento e la governance» del MES (quello in inglese mostrato a Bagnai e Garavaglia). Certo, Conte poteva non firmare ma il grosso del lavoro di riforma era stato già fatto, senza che la Lega avanzasse proposte alternative. Anche perché già il 14 dicembre 2018 il vertice dei capi di governo aveva  approvato il mandato all’EuroGruppo per il sostegno comune al Fondo di risoluzione unico (SRF) e la lista di condizioni per la riforma del meccanismo europeo di stabilità.

Cosa succede senza il MES?

Ora resta da capire il perché del no al MES. La riforma cambia poco o nulla sul principio di funzionamento del Meccanismo Europeo di Stabilità. Il MES, contrariamente a quanto dice Salvini, non è un organismo privato che non risponde a nessuno. Contrariamente a quanto dice Lucia Borgonzoni per salvare le banche tedesche (o di qualsiasi altro paese) non si metteranno le mani nei conti correnti degli italiani.. L’immunità tanto contestata c’era già nella versione originale del trattato (quella negoziata durante il governo Lega-Berlusconi a partire dal 2010). Non si parla di ristrutturazione del debito. Si introduce la possibilità del backstop per intervenire a salvataggio delle banche in difficoltà.

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Inoltre: il Fondo Salva Stati interviene su richiesta (e dopo che il consiglio del MES ha dato parere favorevole) per salvare uno Stato in difficoltà. Ma noi, dicono tutti, non siamo in difficoltà. E se lo fossimo invece, se il nostro debito non fosse sostenibile allora il problema sarebbe assai grave. E le responsabilità equamente distribuite tra chi ha governato. Compresa la Lega che ha governato con Berlusconi prima e con il M5S poi.

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Ma allora cosa vogliono i leghisti? Cosa vuole Giorgia Meloni, che oggi combatte il MES ma che quando venne ratificato nel 2012 era assente alla votazione alla Camera? Questa risposta nessuno la conosce. Se il Parlamento non ratificherà il trattato l’Italia giocoforza uscirà dal MES. Magari lo farà chiedendo indietro i soldi versati come quota di partecipazione al Fondo (14 miliardi) che probabilmente qualche politico opportunista dirà che si potranno spendere per qualche manovra inutile come finanziare un pezzo di Flat Tax o quant’altro.

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E sappiamo bene che per i no-euro leghisti la “Rinegoziazione dei Trattati” è solo un modo di poter uscire dall’Euro. «Noi vogliamo restare all’interno dell’Unione Europea solo a condizione di ridiscutere tutti i Trattati che pongono vincoli all’esercizio della nostra piena e legittima sovranità, tornando di fatto alla Comunità Economia Europea precedente al Trattato di Maastrich» recita il programma con cui la Lega si è presentata alle politiche 2018. E non risulta che quel punto sia mai stato smentito. La Lega ora dice che la riforma del MES non va bene, perché ci penalizza (ma non è in grado di dire qualcosa che vada al di là del “aiuta i tedeschi”). Non è che sta cercando un pretesto per uscire dal MES con la scusa che non è come lo vogliono loro (e di grazia, come lo vorrebbero)?. Ma non appena l’Italia sarà fuori dal MES chi e cosa proteggerà le banche italiane e il Paese dalla tanto temuta (dai sovranisti) speculazione della finanza internazionale? Chi ci aiuterà quando saremo davvero nei guai?

Leggi anche: Come Irene Tinagli ha smontato le bufale della Lega e dei sovranisti sul MES

 

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