Blues in vinile: così la De Agostini mette in subbuglio gli audiofili

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-10-15

Da qualche giorno nei forum, su Facebook e su Internet non si parla d’altro: Blues in vinile è il nome di una collezione di 60 dischi da 180 grammi che la casa editrice De Agostini pubblica in edicola. Piace? Si tratta di un’operazione di marketing? O di un grande complotto? E che influenza hanno le scie chimiche sulle puntine dei giradischi?

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Da qualche giorno nei forum, su Facebook e su Internet non si parla d’altro: Blues in vinile è il nome di una collezione di 60 dischi da 180 grammi che la casa editrice De Agostini pubblica in edicola e vende in abbonamento. Il piano dell’opera – che per ora vede programmate soltanto le prime 25 uscite – comprende titoli come John Mayall – A Hard Road, B.B. King – Live at the Regal, Big Brother and the Holding Company (Janis Joplin) – Cheap Thrills, The Allman Brothers Band – The Allman Brothers Band, e poi Steve Ray Vaughan, Muddy Waters, Willie Dixon, T-Bone Walker, Gary Moore, Robben Ford e Aretha Franklin. La prima uscita, con A Hard Road, c’è stata ieri, 14 ottobre e da quel momento i forum di audiofili e appassionati sono impazziti.

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La presentazione di Blues in vinile nel sito della De Agostini

Blues in vinile: così la De Agostini mette in subbuglio gli audiofili

C’entra il ritorno del vinile come supporto per l’ascolto di musica, che ormai ha dimensioni commerciali interessanti anche in Italia, l’apprezzamento sempre maggiore nei confronti dell’ascolto su giradischi e, last but not least, il fatto che l’iniziativa commerciale si inserisca nell’ambito di un grande mercato di dischi sviluppato soprattutto da privati, dove le vendite e gli acquisti sono in continuo aumento sia sulle piattaforme di scambio veicolate su internet che sui siti, fino ai mercatini sotto casa. L’entrata in scena di un gruppo editoriale – che aveva tra l’altro già lanciato nel 2011 una apprezzatissima selezione di titoli jazz, sempre in vinile – finisce inevitabilmente per ridurre la liquidità del mercato dell’usato. Anche perché i nuovi dischi della De Agostini sono edizioni rimasterizzate, nelle quali il logo della casa con molta intelligenza è stato fin troppo nascosto e la reperibilità, a patto di avere un’edicola sotto casa in una grande città se non si vuole utilizzare una delle forme di abbonamento con spedizione a casa, è di molto facilitata. E allora vediamo come si è sviluppato il dibattito tra audiofili e appassionati sulla questione Blues in vinile, segnalando ovviamente soltanto le discussioni ma non gli autori. «Amici, al di là delle polemiche che inevitabilmente nascono in gruppi numerosi, vi segnalo questa bella iniziative (come sempre) della De Agostini», esordisce un utente su Giradischi Passion, numerosissimo gruppo di amanti dei turntable su Facebook. «Preso, ma non so se prenderò gli altri, anche perché 16 euro mi sembrano troppi, visto che domenica con 18 euro ne ho presi 6, tra cui “if i could only remember my name” di David Crosby», risponde poco dopo un altro mettendo in atto il teorema dell’acquisto commentato, ovvero quel principio secondo il quale se tu dici in una discussione che hai comprato qualcosa a 10 euro, subito dopo arriverà qualcun altro a spiegarti che lui ha pagato il tutto 1. I giudizi tutto sommato sono quasi tutti positivi per la qualità della registrazione, e questo non può che essere un punto a favore della De Agostini visto che di solito in questi forum molti sono ipercritici. Ma molte sono le lamentele per il prezzo totale dell’intera raccolta: 60 uscite settimanale portano a spendere la bella cifra di 900 euro per 60 ristampe di dischi. Per molti è quello il problema dell’offerta. E c’è anche chi segnala l’annosa condanna di chi affida la sua vita alle Poste Italiane: «attenzione con ordini postali, quelli del jazz mi arrivavano quasi tutti deformati».

Il complotto del marketing

Ma si sa, un’idea non può piacere a tutti. E c’è chi invece vede in tutto un complotto del marketing. «Comunque questo è marketing..vi spiego il perchè: nessuno, e ribadisco nessuno, o almeno molto pochi, andrebbero in un negozio di dischi, di questi periodi, a cercare quei titoli.. – scrivono su Dischi in vinile/Collezionisti – Tranne qualcuno appunto, ma mi gioco le balls che ci sia un mix magico di reminiscenze anni 80/90..al quale, in questo periodo, tutti i vari collezionisti, anche per il prezzo..non resistono, e i pubblicitari ovviamente lo sanno. La notizia non sono i titoli in vinile, ma che nel 2015 la De Agostini rifaccia le collane in vinile..e, memore degli errori passati, con rinnovato gusto per l’estetica (eliminati quegli odiosi packaging timbrati de Agostini), il tutto unito al 180 grammi..et voilà, si ritorna tutti più giovani….dei “banalissimi” dischi (scusatemi, è una forzatura voluta il termine, ma è virgolettato) diventano feticcio.. Li vedi li, tutti in fila ad uno ad uno, se ne percepisce già l’odore, persino i colori, fedeli agli originali, sembrano emettere profumi.. Sono i nostri, 900 euro a rate, che non avremmo mai speso per gli stessi dischi, ed è proprio questa la magia del marketing, non inventarsi nulla, anzi, rifare le stesse cose di 30 anni fa e farle diventare virali su internet, sopratutto se si parla di musica, anzi, pardon..di vinili. Ho scritto questo perchè è un proliferare di posts su questa vicenda.. manco fossero copie limitatissime..». Invano c’è chi fa notare che in effetti la De Agostini non è un ente di beneficenza, ed essendo un’azienda privata il minimo che ci si aspetti è che cerchi di guadagnare su tutte le sue iniziative editoriali. Il marketing, poi, in effetti serve a far vendere i prodotti delle aziende private, e quindi il ragionamento non sembra scoprire molto di più dell’acqua calda. «Da che esiste la musica essa è preda del marketing e non c’è nulla di male in questo. io molti di questi titoli li ho già, ma sono in pessime condizioni e li ri-compro volentieri. Molti altri magari non sanno chi siano e grazie a questa iniziativa scopriranno dell’ottima musica, altri ancora magari conoscono il rock blues ma non hanno mai ascoltato willie dixon…. La DeAgostini in tutti i casi esce con le collane in vinile almeno 2 volte l’anno (l’ultima era quella sul jazz ed era bellissima). Vedila un po’ come la palestra se non ti iscrivi non la farai mai anche se sarebbe semplicissimo fare degli esercizi in casa. Ogni due settimane ci si potrà comprare un disco storico e soprattutto ascoltarlo, bene! preferiste che si uscisse per comprare l ‘ultimo libro di Fabio Volo?», rispondono altri nella stessa discussione. Dove ovviamente c’è chi rispetta il teorema di cui sopra: «tra un po’ li troverete su Ebay e in tutti i mercatini a 3 euro… non spendete soldi inutilmente ora».
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La tentazione dell’acquisto compulsivo

«È vero: io fino a ieri non sarei mai andato in un negozio di vinili usati ma nemmeno alla bancarella a cercare un John Mayall perché ne ho già due e mi bastano. Ora invece mi viene voglia di andare in edicola Emoticon smile Non lo faccio, non lo devo fare», aggiungono altri in un gruppo pubblico chiamato Discomaniacs. E ancora: «È lo stesso meccanismo per il quale quando esce l’iPhone nuovo improvvisamente il tuo, che fino al giorno prima era perfetto, comincia a sembrarti lento e brutto e provi l’impulso irresistibile di andare nell’Apple store più vicino…». Oppure: «stiamo parlando di CD riversati sul vinile, tutta sta qualità..sinceramente non la vedo, che poi io le compro le ristampe, mai avuto problemi a comprale, però basta che non mi si faccia il discorso qualitativo e di superiorità che non regge..SONO CD su vinile riciclato, niente di più niente di meno». Un discorso che scatena polemica: «MA NON È COLLEZIONISMO CAZZO! – dice un’altra utente – proprio perché non lo è che è comodo! passiamo le ore a cercare matrici, verificare se è EX o VG [le categorie che disegnano lo stato di conservazione di un disco, ndr], questa è una cosa senza sbatti, non c’entra un cazzo con il collezionismo (l ultimo disco che ho preso da COLLEZIONE costa poco più della raccolta intera!)». Con accenti comunque perfettamente condivisibili: «a me rompe il cazzo sto fatto che non va mai bene un cazzo, non stampano i vinili ed è male, le stampe rare costano ed è male, le ristampe cheap e sono male, sto cazzo ed è male». Alla fine la discussione scema, ma bastano questi accenni per comprendere il filo del discorso: tra un mercato in piena fioritura ma dove si teme la concorrenza e un filo di complottismo, Blues in Vinile è il bene, anzi il male, anzi tutto e il contrario di tutto. O forse dovremmo essere noi a darci una robusta calmata.

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