L’apertura di Andrea Orlando al M5S

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-04-09

Il ministro della Giustizia dice che il PD non deve temere l’incontro con il M5S, a patto che Di Maio rinunci al dialogo con la Lega

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Dopo Franceschini, tocca oggi ad Andrea Orlando aprire al MoVimento 5 Stelle dopo l’appello di Luigi Di Maio al Partito Democratico di sabato. In un’intervista rilasciata a Goffredo De Marchis e pubblicata su Repubblica il ministro della Giustizia sostiene che i DEM dovrebbero sedersi a un tavolo con Di Maio se lui rinnega l’offerta di alleanza con la Lega:

L’apertura dei 5 stelle contenuta nell’intervista a “Repubblica” è vera o è tattica?
«A me è apparsa strumentale nel senso che non aveva contenuti. Il suo ragionamento acquisirebbe una diversa serietà se il leader grillino esplicitasse il merito del contratto e soprattutto chiudesse a un’alleanza con la Lega».

Come?
«Prendendo le distanze da Salvini sui temi dell’immigrazione, respingendo l’ipotesi della flat tax che è il contrario della domanda di redistribuzione della ricchezza emersa dal voto. Non dico che cambierebbe la posizione del Pd, ma dal tatticismo passeremmo alla sostanza».

Resterebbero le critiche feroci contro le riforme dei governi Pd. La Lega c’entra poco.
«In parte le cose coincidono. Marcare una distanza da Salvini significa riconoscere la linea seguita dai nostri esecutivi su alcuni punti qualificanti: il posizionamento internazionale dell’Italia, la questione europeista, la collocazione occidentale e quindi la sconfessione delle simpatie putiniane che i populisti in Europa hanno espresso in questi anni».

andrea orlando pd m5s

Secondo Orlando il dialogo dovrebbe servire a “disarticolare il fronte avversario”: «Proprio perché vedo la possibilità di un patto tra 5 stelle e Lega e la probabilità di elezioni anticipate, conviene al Pd mostrare le distanze di programma da Di Maio anziché ripetere semplicemente che ci ha offeso in campagna elettorale. Scoprire le sue carte è l’unico modo per essere più forti di fronte a ogni eventualità futura». Il ministro poi aderisce alla teoria del complotto proposta ieri dalla minoranza PD che accusa, tra un giro di parole e l’altro, i renziani di essersi organizzati sui social per prendere a male parole chi espone un’altra via di confronto con i 5 Stelle:

Davvero dentro il Pd c’è una guerra social combattuta con gli stessi brutti metodi grillini?
«È un rischio reale e non è un problema di galateo. Se copiamo i loro vizi non capisco come facciamo a condannarli. Si possono criticare le posizioni dell’interlocutore, non è giusto invece delegittimarli sul piano personale. È un metodo che ci indebolisce e ci ha danneggiato nel voto del 4 marzo. È accaduto talvolta che colpendo le persone e non le posizioni abbiamo fatto credere agli elettori di non avere argomenti solidi».

In una dichiarazione pubblica sabato Orlando aveva accusato la comunicazione del PD di aver chiesto ai parlamentari di fare dichiarazioni contro di lui. La dialettica interna al PD è funzionale a una resa dei conti che dovrebbe andare in scena nell’assemblea del 21 aprile, come è stato spiegato ieri da Claudio Tito su Repubblica:

Quel giorno si terrà l’Assemblea del Pd per stabilire se confermare il reggente Martina, se e quando convocare il Congresso, se celebrarlo con le primarie o senza. Fino a quel momento, i Democratici sono congelati. Il Nazareno è una specie di grande freezer che irrigidisce tutte le posizioni. Fino a quando, appunto, il loro orizzonte non assumerà un ritmo – almeno temporale – più chiaro.

coalizioni parlamento
Le coalizioni possibili in Parlamento (La Repubblica, 5 aprile 2018)

Proprio su questo si organizzano le truppe per il futuro possibile, compreso quello che interessa di più i parlamentari appena eletti e quelli che vorrebbero esserlo:

La maggior parte dei sostenitori dell’ex segretario vorrebbe che fosse il congresso anticipato a novembre a decidere il nuovo leader perché diffida del reggente. In assemblea comunque i renziani sono 620 su mille. Ma il «capo» per ora li frena. E in tutto ciò quello a cui pensano in molti nel Pd (e che pochi ammettono) è che nel caso in cui si precipitasse alle elezioni, le liste verrebbero fatte da Martina, se fosse eletto segretario in Assemblea. Se invece si decidesse per il Congresso a guidare il partito (e a fare le liste) sarebbe Orfini, che di Renzi è il grande alleato.

Considerando che la questione delle liste aveva scatenato polemiche infinite tra la maggioranza e la minoranza del partito e che molte candidature volute da Renzi si sono rivelate alla fine un flop, la questione è ben più scottante dei troll immaginari e immaginati.

Leggi sull’argomento: La minoranza PD va a caccia dei troll contro l’alleanza con il M5S

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