I 94 dirigenti RAI che prendono più di 200mila euro l'anno

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-07-26

Nell’azienda in cui il tetto agli stipendi è durato la bellezza di due giorni parte lo scaricabarile delle responsabilità sugli sprechi mentre l’operazione trasparenza parte proprio nel periodo dell’anno in cui si paga il canone. La finissima strategia di Palazzo Chigi e Viale Mazzini per mettersi nei guai politici da soli

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Poco dopo le 21 scatta l’operazione trasparenza in RAI. Sul sito internet dell’azienda pubblica viene messo on line il Piano per la trasparenza e la comunicazione aziendale che prevede «la pubblicazione, sulla sezione “Corporate – Trasparenza” del sito aziendale, di dati e informazioni relativi alla Concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale».  Il piano prevede la pubblicazione sul sito della Rai degli stipendi dei dirigenti, 95 su 13 mila dipendenti di viale Mazzini, che superano i 200 mila euro all’anno e dei consulenti che ne percepiscono più di 80 mila. Non è più in vigore, invece, il tetto dei 240 mila euro per le retribuzioni. E non saranno resi noti i compensi stabiliti per gli artisti. L’ad Dall’Orto ha spiegato: «Il loro stipendio è un tema sensibile, perché li paghiamo meno dei nostri concorrenti». Ma già così è abbastanza.

I 94 dirigenti RAI che prendono più di 200mila euro l’anno

Perché l’operazione arriva, con tempismo chirurgico, nel mese in cui le famiglie si ritrovano a pagare per la prima volta nella bolletta elettrica la rata del canone Rai (100 euro ogni anno). E investe anche i compensi per i collaboratori oltre che quelli dei dirigenti. Ovvero tutto quello che ha scatenato polemiche politiche nei giorni scorsi, con esponenti di primo piano pronti a chiedere il pugno di ferro in guanti d’acciaio ad Antonio Campo Dall’Orto dopo essersi voltati dall’altra parte quando la RAI metteva le basi giuridiche per scavalcare i tetti imposti dal governo (senza che il governo facesse nulla).

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Gli stipendi dei dirigenti RAI (Corriere della Sera, 26 luglio 2016)

Ieri, dopo aver blaterato di soluzioni impossibili, Campo Dall’Orto sarebbe arrivato con l’ideona nel CdA: licenziare tutti i parcheggiati. Come insegna la storia del populismo, però, soluzioni semplici come questa non ne esistono e se fossero state praticabili le avrebbero messe in atto i predecessori del DG renziano.

Il direttore generale, poi, avrebbe ipotizzato soluzioni drastiche, tra cui il licenziamento dei «parcheggiati» ereditati da gestioni passate con stipendi oltre i 200 mila euro, ma il consiglio al gran completo gli ha ricordato che le «liste di proscrizione» non funzionano in una azienda in cui, tra commissioni paritetiche e giudici del lavoro, alla fine è il dipendente a spuntarla. E per paradosso sono stati citati i casi di giornalisti e manager «parcheggiati» con lauti stipendi che proprio ora potrebbero ripescare le cause per demansionamento.

La soluzione, quindi, non è licenziare tutti perché non si può fare. E da un DG che prende di stipendio il triplo di quello che prendono i dirigenti messi all’indice ci si aspetterebbe qualcosina di più che boutade demagogiche impossibili da realizzare.

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Gli stipendi dei dirigenti RAI (Corriere della Sera, 26 luglio 2016)

La trasparenza negli stipendi della RAI

Il sito internet permette di cliccare sui nomi dei manager a cui oggi è affidata la tv pubblica per poterne ammirare una foto in posa, un curriculum roboante e il compenso lordo e variabile. Qui un esempio con la scheda di Daria Bignardi:
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La cantrice ufficiale del renzismo sul Corriere Maria Teresa Meli fa però sapere che il principino è arrabbiato:

«Questa norma che prevede di mettere tutto online per garantire la trasparenza l’abbiamo voluta noi, non loro e nemmeno Brunetta e con che faccia possono attaccarci?», si è sfogato perciò il premier con i collaboratori. Tra l’altro, quello che il governo non riesce proprio a mandare giù è la decisione dei vertici di viale Mazzini di mettere online gli stipendi proprio adesso, quando gli italiani si troveranno nella bolletta dell’elettricità il sovrappiù del canone Rai. «Così la gente si incavola con noi», commentano a Palazzo Chigi, dove nessuno crede che la coincidenza sia voluta, ma si ritiene che sia stata solo la conseguenza di un’iniziativa «maldestra».

Ma se l’iniziativa è maldestra la colpa sarà di quei vertici che Renzi ha voluto, o no? Il premier tende sempre a dimenticare che i danni che fanno quelli che nomina lui sono sua responsabilità, e il metodo per dissociarsi dalle cazzate fatte dai suoi non è un articolo sul Corriere della Sera, ma la rimozione se ci sono gli argomenti o il silenzio con copertura politica se non ci sono. Ma Renzi no: di Renzi si virgolettano frasi in cui chiama i suoi nominati “questi”, come se li avesse trovati sotto il cavallo di viale Mazzini a Natale e non li avesse nominati lui. Purtroppo è fatto così: male.

Ma c’è un altro aspetto dell’attuale gestione della Tv di Stato che lascia perplesso il premier. «Io avevo auspicato una rifondazione del servizio pubblico, però questi non la stanno ancora facendo», è stato il commento amaro che ha affidato a qualche collega di governo. Dopo la riforma, Renzi immaginava la nascita di «una nuova Rai» e adesso scalpita perché non vede profilarsi questo progetto all’orizzonte. E nel governo temono che, semmai questo avverrà, sarà troppo tardi, «perché non c’è ancora né un piano editoriale né un piano industriale». Il premier, però, ufficialmente preferisce il silenzio. Non vuole essere invischiato in queste beghe, lui che ha sempre sostenuto «di non avere e non volere nessun controllo sulla Rai».

Intanto, scrive il sempre informatissimo Carlo Tecce sul Fatto, sarebbe in bilico proprio Campo dall’Orto. I detrattori di Cdo non scalpitano per gli sprechi, ma perché non considerano affidabile l’ad di Viale Mazzini:

Per varie ragioni: non sopportano la riservatezza di Campo Dall’Orto che non li interpella; non gradiscono la struttura che controlla l’informazione capeggiata da Carlo Verdelli; non accettano i ritardi sulle nomine dei telegiornali; i programmi previsti per l’autunno non li soddisfanno. Il guaio per l’ex capo di Mtv e La7 è che, in parte, quest’elenco di lamentele è condiviso da Renzi. Il fiorentino s’aspettava più rapidità di azione (anche per aumentare il numero dei fedelissimi) e un palinsesto più rassicurante per il governo. Adesso osserva con diffidenza la squadra di Verdelli, in particolare Francesco Merlo (già oggetto di dibattito ieri in Cda per l’one rosa consulenza, 240.000 euro). Nei colloqui privati, Renzi ha criticato le scelte di Cdo, ma la fiducia non è ancora compromessa. In questi giorni di tensioni, il fiorentino ha parlato al telefono con l’ad di Viale Mazzini e non ha scoperto di certo un giorno fa l’entità degli stipendi dei vertici.

Proprio per questo la recita di Orfini e Renzi non sembra per niente efficace. Il Fatto poi riepiloga la vicenda del tetto agli stipendi dei manager che in Rai, tecnicamente, è durato la bellezza di due giorni ormai più di un anno fa e mentre tutti i giornali lo facevano notare. Ma allora Renzi e Orfini, anche se c’erano, non c’erano. E se c’erano dormivano:

Il limite è fissato dall’art. 13 della Legge n.89/2014 a 240.000 euro lordi annui, generata da un decreto del governo di Mario Monti. Come spiegarsi allora compensi come quelli del direttore Antonio Campo Dall’Orto (650.000 euro) o di Antonio Marano (392.000 euro)? Per capire queste anomalie è bene cominciare dalle eccezioni presenti nelle norme sugli stipendi dei dipendenti di aziende controllate dallo Stato. Dal tetto salariale sono sempre rimaste escluse quelle società statali che sono quotate in Borsa o che emettono titoli di debito scambiati sulle Piazze finanziarie. Il principio è semplice: simili aziende hanno bisogno di attrarre i dirigenti migliori. Devono pertanto essere in grado di competere con società private. Da lì la necessità di fare a meno di un tetto salariale. Fino al 20 maggio la Rai non rientrava tra le società esentate dalla norma sul tetto salariale. Tuttavia, nel bilancio 2014 si legge che l’azienda “potrà procedere all’attuazione dell’iter propedeutico all’emissione in una o più tranche di un prestito obbligazionario non convertibile, fino a un importo massimo di 350 milioni di euro, destinato a investitori istituzionali, da quotare nei mercati regolamentari”. A soli due giorni dalla lettera del 18 maggio, ecco che arriva una novità: la Rai avvia il collocamento di obbligazioni per un valore di 350 milioni di euro. Grazie a questa operazione l’azienda di via Mazzini si vede tagliati i tassi d’interesse dal 5-6% sino all’1,5%. Le obbligazioni fanno il loro ingresso sul mercato: addio tetti agli stipendi. L’austerità di Viale Mazzini dura due giorni.

Leggi sull’argomento: Il finto scandalo nel governo per gli stipendi dei dirigenti RAI

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