Vivendi e la scalata ostile di Mediaset

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-12-14

I francesi annunciano di puntare al 20%, Arcore risponde chiamando i giudici e si cominciano a levare le voci in difesa dell’italianità delle imprese. Strano, Telecom no?

article-post

La francese Vivendi di Vincent Bolloré punta a diventare il secondo socio del Biscione e annuncia di aver rastrellato il 12,3% del capitale. Fininvest, holding del gruppo Berlusconi, presenta una denuncia per manipolazione del mercato e si blinda comprando azioni della controllata fino a sfiorare il 40% dei diritti di voto. In Borsa Mediaset segna +31,8%, è il record dalla quotazione, 20 anni fa. Vivendi punta al 20% e secondo indiscrezioni avrebbe già rastrellato diritti di acquisto per arrivare a comprare un quinto delle azioni dell’azienda dei Berlusconi. Siamo quindi di fronte a quella che tecnicamente viene chiamata “scalata ostile” per un’azienda “strategica” e la questione non può che diventare politica.

Vivendi e la scalata ostile di Mediaset

Secondo i Berlusconi l’accordo saltato per l’acquisto di Premium, che ha scatenato una guerra legale tra le due aziende (Vivendi si era impegnata a comprare, poi si è tirata indietro), era il primo atto di una strategia concordata che ha portato il finanziera bretone a lanciare la scalata ostile. Le intenzioni di Vivendi possono essere molteplici:  sviluppare Premium e creare con Mediaset un polo europeo della pay-tv, oppure prendersi il Biscione dalla famiglia Berlusconi. Nella prima ipotesi il dialogo sarebbe anche possibile. Alcuni puntano il dito su Tarak Ben Ammar, che ha fatto da tramite tra Milano e Parigi e potrebbe tentare la via di un accordo industriale tra le due aziende. Ma nell’Italia dell’imprenditoria e delle banche fiaccate da anni di crisi l’atto non può che incasellarsi all’interno di un frame ben riconoscibile politicamente: quello dell’acquisto delle “eccellenze” italiane da parte degli stranieri. Una tematica che spesso ignora le condizioni di partenza e quelle d’arrivo del capitalismo italiano, ma che ha un grande successo popolare. Un esempio del discorso è il commento di Daniele Manca, a cui spesso Marina B. ha rilasciato interviste, sul Corriere della Sera:

Quale che sia l’esito, l’Italia, i cittadini e la sua classe politica e dirigente, devono chiedersi se quanto sta accadendo alle televisioni della famiglia Berlusconi è, per quanto rilevante, solo un episodio di mercato o piuttosto una tendenza. Non si tratta di dividersi tra chiusura e apertura. L’acquisizione del Nuovo Pignone da parte di General Electric ha significato uno sviluppo di rilievo e impensabile per l’azienda fiorentina senza il supporto americano. E chissà, anche la cessione del risparmio gestito di Pioneer (ancora) ai francesi di Amundi da parte di Unicredit potrà garantire crescita alla società.
Ma non è questione appunto solo di numeri. Quando i centri decisionali si spostano all’estero, con loro si muovono competenze, indotto e scelte strategiche. Assenze che si misurano nel corso degli anni, i decenni. E che prefigurano gli assi di sviluppo per un Paese in una direzione o in un’altra. Il disinteresse che circonda eventi del genere è il segnale peggiore per l’Italia.

vivendi mediaset
Mediaset e Vivendi a confronto (Corriere della Sera, 14 dicembre 2016)

Oppure si può leggere il commento in prima di Fabio Bogo su Repubblica:

Se IN Francia una Mediaset piena di denaro avesse deciso di partire all’assalto di Vivendi, probabilmente a Parigi avrebbero alzato barriere regolamentari o politiche per impedire che un asset importante finisse in mani straniere, anche se confinanti. E lo stesso sarebbe accaduto se le Poste guidate da Francesco Caio si fossero avventurate a caccia di gestori del risparmio in terra transalpina.

mediaset vivendi
Mediaset, il titolo in Borsa (La Repubblica, 14 dicembre 2016)

Riscoprire l’italianità, prima di subito

Insomma è il momento giusto per riscoprire il valore dell’italianità. E se in effetti le prime dichiarazioni di Paolo Gentiloni hanno tradito un’ostilità nei confronti di Vivendi, a conferire un po’ di serietà al dibattito contribuisce il senatore ed ex giornalista economico Massimo Mucchetti:

«Mediaset è controllata al 41% dalla Fininvest. Mi sembra un’azienda difficilmente scalabile. Bolloré sta rastrellando azioni sul mercato. È un suo diritto, rispettando le regole. Mi pare cerchi di acquisire una posizione decisiva allorquando Fininvest allentasse la presa su Mediaset».
Secondo i rumors, potrebbe arrivare al 20%.
«Se Bolloré avrà un peso abbastanza grande, la posizione di Mediaset nelle assemblee straordinarie, dove si vota con una maggioranza dei due terzi, sarà meno solida. Ma continuo a vedere complicata una scalata. Al momento le due aziende si stanno facendo la guerra, certo. Ma talvolta i conflitti servono per negoziare meglio la pace. Non dimentichiamo che Berlusconi e Bolloré sono stati vicini per molto tempo in Mediobanca. E che Mediaset ha un delicato passaggio generazionale da gestire».
Mediaset è ancora un “patrimonio del Paese”, come la definì nel 1998 D’Alema?
«D’Alema sottolineò un fatto: Mediaset è e resta una grande azienda italiana. Ma non possiamo scoprire l’italianità in modo casuale. Bolloré ha acquisito Telecom senza che il governo battesse ciglio. Lo stesso governo ha taciuto quando gli Agnelli hanno lasciato l’Italia per l’Olanda. Berlusconi è diverso? Non si può riscoprire oggi il conflitto di interessi quando si è dormito così a lungo». Il premier Gentiloni ha detto che “l’Italia non è aperta a scorribande”.
Si riferiva anche a Vivendi?
«Non credo. La miglior risposta del governo non è la riscoperta ad personam dei campioni nazionali, che meritano ben altre riflessioni, ma è dare un futuro innovativo alla Rai, su cui ha competenza, e nuove politiche pro concorrenziali sugli Over the top. Riapra il dossier sulla privatizzazione della Rai commerciale. Prodi la voleva. Credo di ricordare un Gentiloni d’accordo».

vivendi mediaset 12
Gli acquisti di aziende italiane da parte di francesi (La Stampa, 14 dicembre 2016)

E in effetti l’Italia ha lasciato fare durante l’acquisizione di Telecom nonostante non solo fosse in ballo l’italianità, ma si trattasse anche di un’azienda strategica visto che il suo business sono le comunicazioni. Ma lì gli italiani non erano molto patrioti: volevano vendere. Oggi che il Biscione chiede aiuto, invece, Piersilvio Berlusconi rischia di passare per Goffredo Mameli. Vediamo in quanti ci cascheranno.
 

Potrebbe interessarti anche