Unioni civili all'italiana

di Chiara Lalli

Pubblicato il 2014-09-05

Matteo Renzi aveva promesso le unioni civili «alla tedesca». In Senato ristagnano alcuni disegni di legge. Ci sarà una legge prima o poi? Garantirà uguaglianza o la discriminazione rimarrà? Con un’intervista a Paolo Veronesi, professore di diritto costituzionale a Ferrara

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«Unioni civili alla tedesca», aveva promesso Matteo Renzi. In Senato stagnano alcuni disegni di legge, ché i diritti civili sono spesso rimandati perché l’economia e la disoccupazione sono questioni più importanti e più urgenti. Eccoli: Disciplina delle unioni civili (Manconi e Corsini); Modifiche al codice civile in materia di disciplina del patto di convivenza (Maria Elisabetta Alberti Casellati ed altri); Introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà (Giovanardi ed altri); Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi (Barani e Alessandra Mussolini); Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto (Alessia Petraglia ed altri); Modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei patti di convivenza (Marcucci ed altri) e Unione civile tra persone dello stesso sesso (Lumia ed altri). L’articolo 1 della prima, per esempio, stabilisce che: «1. Due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, di seguito denominate «parti dell’unione civile», possono contrarre tra loro un’unione civile per organizzare la loro vita in comune. 2. La registrazione dell’unione civile è effettuata, su istanza delle parti della stessa unione, e in presenza di due testimoni maggiorenni, dai soggetti di cui all’articolo 3». In tutti i casi, ovviamente, sono disegni di legge che mirano a istituire le unioni civili. A cosa servirebbero le unioni civili? «A creare diritti che oggi non ci sono, a rimediare alla presente ingiustizia» è la risposta.
 
NON SEI UGUALE A ME MA SIAMO PARI[pullquote]Sì, certo, i diritti dei singoli vanno garantiti, ma il matrimonio è un’altra cosa![/pullquote]
Leggendo la relazione introduttiva di Carlo Giovanardi si ha però la sensazione opposta. «La Corte costituzionale ha ribadito in una recente sentenza che la famiglia, come scolpita nell’articolo 29 della Costituzione, è «società naturale fondata sul matrimonio» fra un uomo ed una donna, come la stessa Corte ha più volte avuto modo di precisare. La Costituzione, all’articolo 31, pone tale famiglia, in particolare in presenza dei figli, in una situazione privilegiata fermo restando il principio fondamentale dell’articolo 3 che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Tutti i cittadini sono uguali ma alcuni sono più uguali di altri. È un dubbio intrinseco in qualunque istituzione x che vale per alcuni cittadini z e non per altri. «Il matrimonio è un’altra cosa! Diritti singoli, ma non esageriamo».
 
QUALCHE DOMANDA A PAOLO VERONESI[pullquote]È ragionevole accettare vie intermedie per arrivare alla effettiva uguaglianza?[/pullquote]
E sembra essere una caratteristica intrinseca non solo del pensiero di Giovanardi ma di qualunque legge sulle unioni civili, anche la migliore delle leggi possibili. Sono due le domande principali cui rispondere. La prima è: è giusto che le persone in base all’orientamento sessuale abbiano accesso diverso ad alcuni diritti fondamentali? La risposta è facile: no. La seconda è: è ragionevole accettare vie intermedie – e ancora discriminatorie – per arrivare (se mai ci arriveremo) alla effettiva uguaglianza di accesso? Ne parlo con Paolo Veronesi, professore associato di Diritto costituzionale all’Università di Ferrara.
Quanta discriminazione rimarrebbe anche in presenza di una legge perfetta sulle unioni civili?
«Se per “legge perfetta sulle unioni civili” ti riferisci a una legge che concedesse alle unioni omosessuali gli stessi diritti riconosciuti alla famiglia eterosessuale rimarrebbe certo lo stigma dell’esclusione da un istituto qualificante e tradizionale. Ciò porterebbe a sottolineare una sorta di status depotenziato delle coppie formate da persone dello stesso sesso. Non vi sarebbe nessuna equivalenza tra queste ultime e la situazione di una coppia etero che decidesse consciamente di non sposarsi e accedere a una convivenza “ufficiale”: quest’ultima potrebbe comunque scegliere il matrimonio mentre la coppia omosessuale che volesse regolarizzare la propria unione sarebbe invece costretta ad accedere al nuovo istituto. Detto questo, ritengo comunque che giungere a un simile approdo sarebbe comunque un ottimo risultato. Almeno per il momento».
Come si può conciliare la «situazione privilegiata» che, secondo Giovanardi, «la Costituzione attribuisce alla famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio» fra un uomo ed una donna» (uomo e donna lo dice Giovanardi poi) con la «pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»? Se c’è un privilegio per qualcuno, può esserci davvero parità?
«Le due affermazioni – a mio avviso – non si conciliano. L’articolo 3 della Costituzione impone il principio di uguaglianza senza distinzione di sesso e di condizioni personali e sociali dei singoli (tra le quali, evidentemente, si colloca anche l’orientamento sessuale). E il principio di uguaglianza – come ha affermato la Corte costituzionale – è un “principio fondativo” del nostro ordinamento. In ciò risiede insomma quello che i giuristi definiscono il “nucleo duro” dell’articolo 3, mai sopprimibile, neppure mediante una legge di revisione costituzionale. [pullquote]L’articolo 3 della Costituzione impone il principio di uguaglianza senza distinzione di sesso e di altre condizioni personali[/pullquote] Purtroppo però è stata la stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 138/2010 (nonché, più di recente, con la n. 170/2014) a interpretare l’articolo 29 della Costituzione – che disciplina il matrimonio – nel senso che esso imporrebbe l’eterosessualità del coniugio. Mi sembra un’interpretazione sbagliata, ma questo è il contesto entro il quale siamo costretti – almeno al momento – a operare giuridicamente. Tra qualche tempo non è detto che la giurisprudenza non possa mutare, come tante volte è accaduto in passato con riguardo a quei temi che alcuni definiscono – chissà perché – “sensibili” (è avvenuto con la punizione penale dell’adulterio femminile, con il transessualismo, con la stessa procreazione assistita). Ci conto, anche perché credo che la tesi della Corte non sia condivisibile e sia frutto di strabismo».
[pullquote]L’articolo 29 della Costituzione non lascia affatto trapelare la necessità che i coniugi appartengano a sessi diversi[/pullquote]
La Costituzione non è dunque un ostacolo al matrimonio senza discriminazione d’accesso?
«È proprio questo il punto. L’articolo 29 si riferisce solo ai “coniugi” e non lascia affatto trapelare la necessità che i coniugi appartengano a sessi diversi. In Spagna, a fronte di una norma costituzionale che si riferisce espressamente al “marito“ e alla “moglie”, la Corte costituzionale non ha avuto remore a ritenere comunque costituzionalmente legittima la legge che disciplina il matrimonio same sex. Da noi la Corte è andata a recuperare quel che poi reputa essere stato l’original intent dei Costituenti. Con ciò essa ha però dimenticato la necessità di interpretare anche storicamente le disposizioni costituzionali. Del resto, il tema non venne affatto preso in esame in Assemblea costituente; di segno contrario stanno anzi le tesi sostenute a spada tratta da Dossetti, da Moro e da Togliatti nel senso che lo Stato avrebbe dovuto astenersi dall’entrare nel profondo dell’istituto familiare, nella piena consapevolezza che il concetto di famiglia evolve storicamente in forma anche imprevedibili e non va pietrificato. Da qui la formula estremamente ampia accolta nell’articolo 29. La Corte non ha inoltre interpretato sistematicamente l’articolo 29, avvicinandolo almeno all’articolo 3, e quindi alla necessità che non vi siano – come ho già detto – discriminazioni d’accesso legate alle condizioni personali degli aspiranti coniugi. Né si può affermare che il matrimonio ha da essere eterosessuale perché questa era la disciplina del codice civile al momento della discussione assembleare dell’articolo 29. Non è la Costituzione a dover essere interpretata alla luce del codice civile; al contrario, sono le norme legislative che vanno sondate e superate alla luce della Costituzione. E neppure mi convince il richiamo della Corte alla dimensione procreativa della famiglia: l’esistenza di prole non è una necessità imprescindibile per aversi famiglia. Seguendo la medesima logica bisognerebbe allora escludere il matrimonio tra persone anziane, sterili o transessuali, mentre invece la stessa Corte ha affermato che si tratta di un diritto fondamentale (da ultimo nella sentenza n. 245/2011). Condividendo la prospettiva della Consulta in materia di matrimonio omosessuale divengono inoltre (e addirittura) incomprensibili le decisioni giurisdizionali che ammettono il divorzio per chi non condivide l’indisponibilità del proprio coniuge ad avere rapporti sessuali non destinati alla procreazione».
Perché non si riesce a parlare di matrimonio per tutti, cioè di uguaglianza?
«Credo che su questo profilo entrino in gioco reazioni pavloviane legate alla tradizione, alla religione e all’ideologia. Non esistono altre spiegazioni. Non regge neppure il richiamo alla “natura delle cose”. Del resto, Montaigne sosteneva che definiamo naturale ciò che in realtà appartiene alla nostra consuetudine. Lo stesso Norberto Bobbio affermava che un simile argomento logico sfocia nella tirannia, posto che tutto viene a dipendere da chi se ne fa interprete. Per tornare a noi, anche gli etologi ci hanno insegnato che l’omosessualità esiste in natura, tanto è vero che è condivisa da moltissime specie animali.[pullquote]La tradizione non va appoggiata per solo ossequio della tradizione stessa, servono motivi razionali[/pullquote]La sola realtà che dovrebbe contare è che – a mio parere – in un sistema democratico la tradizione non va appoggiata per solo ossequio della tradizione stessa. Occorrono motivi razionali per giustificarne il persistere; se questi vengono meno – e può accadere che occorrano anni per accorgersene – anche la tradizione va cambiata, specie quando ormai si percepisce che essa conculca i diritti e l’eguaglianza. Anche per questo non mi convincono le decisioni della Corte costituzionale italiana o della stessa Corte Edu che ritengono ragionevole che lo Stato tuteli la tradizione eterosessuale del matrimonio (quest’ultima, tuttavia, a dire il vero aggiunge che sarebbe comunque legittimo disciplinare anche il same sex marriage). Occorrono invece delle ragioni “forti” (e non ideologiche o date per scontate) perché questo abbia un senso. In base alla stessa logica in molti degli stati americani del nord non si sarebbero dovute colpire le leggi che vietavano i matrimoni interraziali. Anche allora, peraltro, non si lesinavano i richiami alla natura e alla religione: Dio ha creato le razze – si diceva – e pertanto esse devono rimanere separate. Un ragionamento che oggi ci appare folle (e che conferma alla lettera le considerazioni di Bobbio)».
[pullquote]Potrebbe essere il primo passo per tentare di raggiungere anche il “bersaglio grosso”, cioè la fine della discriminazione?[/pullquote]
Potrebbe essere ragionevole (o inevitabile) accettare vie intermedie (unioni civili) – e ancora discriminatorie – per arrivare alla effettiva uguaglianza di accesso (matrimonio)?
«Allo stato ritengo che non solo sarebbe ragionevole ma addirittura indispensabile. Paradossalmente, puntare oggi al matrimonio omosessuale e ottenere una legge che lo riconoscesse potrebbe avere conseguenze giuridicamente nefaste. Se un simile provvedimento venisse impugnato davanti alla Corte costituzionale è credibile supporre che, dopo i due suoi ravvicinati precedenti già richiamati, essa sarebbe indotta a dichiararne l’illegittimità. Quanto meno ci sarebbe questo serio rischio. Gli omosessuali si troverebbero con un pugno di mosche in mano e gli omofobi avrebbero una legittimazione in più. Ritengo perciò che sarebbe strategico ottenere al più presto una legge sulle unioni civili il più avanzata possibile. Questo potrebbe essere il primo passo per tentare di raggiungere, poco più in là, anche il “bersaglio grosso”. Anche negli altri Stati ben di rado si è del resto passati – in materia – dal nulla al tutto. C’è sempre stata una fase intermedia, la quale serve altresì a rassicurare quella parte di popolazione che teme chissà cosa. A quel punto sarebbe altresì possibile contare anche su un cambio di giurisprudenza della Corte costituzionale, anche perché continueranno le pressioni della giurisdizione ordinaria – peraltro sollecitata dalla stessa Corte costituzionale a estendere i diritti riconosciuti ai coniugi anche alle coppie gay –, della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e delle legislazioni straniere. Sarebbe così auspicabile che tra il risultato parziale e quello auspicato possa trascorrere poco tempo. Anche per questo credo che ci siano state (e ci siano ancora) così tante resistenze all’approvazione di una legge in materia: si teme la normalità delle coppie omosessuali, non la loro (tutta presunta) devianza».
[pullquote]Succederà qualcosa in tempi ragionevoli o i diritti civili saranno ancora rimandati?[/pullquote]
Matteo Renzi aveva promesso un suo disegno di legge. Pare sia finalmente in arrivo e pare che i senatori PD lo considerino una perdita di tempo perché c’è già il testo unificato (Monica Cirinnà relatrice). Succederà qualcosa in tempi ragionevoli? Ci sarà una maggioranza in grado di portare avanti la legge senza straziarla?
«Non ho la sfera di cristallo ma credo che qualcosa succederà. Le pressioni ormai sono troppe. Anche la Corte costituzionale ha del resto sottolineato che c’è l’obbligo, per il legislatore italiano, d’intervenire sulla materia. La latitanza del nostro Parlamento potrebbe anzi, prima o poi, essere portata sul banco degli imputati a Strasburgo. Non rivendicando un diritto al matrimonio – questo sarebbe sbagliato, la Corte ha già detto che in materia esiste un margine di apprezzamento dei singoli Stati – bensì il diritto a vivere in un’unione civile regolamentata. Una sequela di condanne europee – sulla scia di quanto successo di recente per il sovraffollamento carcerario – potrebbe anzi essere un ulteriore modo per convincere Camera e Senato a intervenire. Dalla legge a venire – qualunque sia il suo contenuto – potrebbero poi scaturire altre conseguenze positive. Ad esempio, è ormai consolidato l’orientamento della Corte Edu di non ammettere discriminazioni tra ciò che è consentito a una coppia etero unita in una convivenza legalizzata e quanto riconosciuto invece in capo a una coppia omosessuale che abbia fatto uso del medesimo istituto. A quel punto, le rivendicazioni delle coppie etero – o quanto venisse ad esempio loro sin da subito o progressivamente riconosciuto – potrebbe poi essere rivendicato a ragione anche dalle coppie omosessuali. Si potrebbe anzi cominciare già da ora a tentare questa strada: ad esempio, la legge n. 40/2004 sulla procreazione assistita consente solo alle coppie di eterosessuali (anche solo occasionalmente) conviventi di accedere a simili pratiche…».

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