Tutte le bufale che vi raccontano sull'ICI e l'IMU alle scuole cattoliche

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-07-26

Il governo si prepara ad aiutare di nuovo le scuole cattoliche private a non pagare la tassa sugli immobili. Vediamo cosa è successo in Cassazione e torniamo su qualche bugia raccontata nel dibattito pubblico. In attesa della solita soluzione finale

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Il governo si prepara a varare un provvedimento legislativo per favorire di nuovo le scuole private cattoliche dopo la sentenza della Corte di Cassazione che ha spiegato che i principi del fine di lucro individuati dai ministeri dopo la legge del governo Monti non sono corretti. Il tema è talmente sensibile che già era stato oggetto della Buona Scuola, con 473 milioni riconosciuti come esenzione fiscale (in calo di circa 20) per i figli che frequentavano questo tipo di istituti.  Il sottosegretario all’Istruzione De Vincenti ieri ha ammesso che la sentenza della Suprema Corte “segnala una difficoltà interpretativa” di una norma introdotta dal Governo Monti: da qui la promessa di aprire “un tavolo di confronto con le organizzazioni no profit, comprese quelle religiose, per arrivare a un definitivo chiarimento normativo a questo riguardo”. In attesa della decisione la CEI, attraverso l’Avvenire, ha dichiarato che quella della Corte di Cassazione è una sentenza “ideologica”. Molto più in là è andata Famiglia Cristiana: “Qualcuno, in Parlamento, vuol fare qualcosa? O la priorità resta la legge sulle unioni civili?”, ha scritto il settimanale cattolico che ha definito “una tassa sugli asili per l’infanzia” la decisione della Cassazione. Molti politici hanno attaccato con parole più o meno simili la sentenza, tra essi spiccavano molti esponenti cattolici del Partito Democratico. Ma forse, prima di decidere, vale la pena di comprendere cosa ha deciso davvero la Cassazione.
 
COSA HA DECISO LA CASSAZIONE SULLE SCUOLE PRIVATE
Riprendiamo quindi la storia dal principio, con l’ausilio di un’infografica e di un articolo del Sole 24 Ore a firma di Gianni Trovati. Il governo Monti ha inserito nel decreto “Libera-Italia” una norma che prevede che l’esenzione dal pagamento dell’IMU per le scuole tocca solo agli immobili per modalità non commerciali. Un decreto ministeriale ha poi, parecchi mesi dopo, spiegato in che modo si dovessero definire le modalità commerciali e non commerciali. Le attività non commerciali erano quelle che avevano tariffe simboliche e non collegate al costo del servizio: per quanto riguarda le scuole l’esenzione è invece riconosciuta fino a quando la retta media chiesta alle famiglie non supera il costo medio per studente pubblicato e aggiornato dal ministero dell’Istruzione. Questa soglia va quest’anno dai 5739,17 ai 6914,17 euro: in questo modo gran parte degli istituti privati è esente dall’Imu. Questa infografica riepiloga il calcolo del costo medio per studente per l’esenzione Imu-Tasi:

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L’infografica sul costo medio per studente da calcolare per le scuole cattoliche (Il Sole 24 Ore, 26 luglio 2015)

La Cassazione ha invece deciso che l’obbligo di pagamento scatta quando l’attività che si svolge ha carattere commerciale, e quindi basta l’esistenza di una retta per far scattare l’obbligo di pagamento. La motivazione? In attesa di leggere la sentenza, ecco la sintesi del comune di Livorno, che aveva sollevato il caso davanti alle commissioni tributarie nel 2010:

“Con le sentenze 14225 e 14226 depositate l’8 luglio la suprema Corte ha di fatto ribaltato quanto stabilito nei primi due gradi di giudizio, sentenziando che, poiché gli utenti della scuola paritaria pagano un corrispettivo per la frequenza, tale attività è di carattere commerciale, ‘senza che a ciò osti la gestione in perdita’. In proposito il giudice di legittimità ha precisato che, ai fini in esame, è giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, risultando sufficiente l’idoneità tendenziale dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio. E cioè, il conseguimento di ricavi è di per sé indice sufficiente del carattere commerciale dell’attività svolta”.
“In particolare gli importi relativi alle scuole ‘Santo Spirito’ ed ‘Immacolata’ sono pari a 422.178 euro. Si ricorda che anche la Commissione Provinciale Tributaria di Livorno aveva stabilito che l’Ici fosse dovuta, respingendo i ricorsi degli istituti. A questo punto, a seguito delle sentenze, si provvederà a notificare anche gli importi dovuti per le annualità 2010 e 2011, imponibili a fine Ici. Queste sentenze – conclude la nota – assumono, tra l’altro, rilievo ai fini dell’interpretazione delle disposizioni in materia di Imu, relativamente all’imposizione fiscale dall’anno 2012”.

Va infine ricordato che sarà  il giudice di merito a dover prendere l’ultima decisione nel contenzioso. Lo ribadisce in una nota il primo presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, dopo le polemiche “anche aspre” sulla sentenza che “obbligherebbe” le “scuole paritarie” cattoliche al pagamento dell’Ici e in prospettiva anche dell’Imu. “L’interpretazione sostenuta dalla sentenza in questione… e’ che l’esenzione spetti laddove l’attivitia’ cui l’immobile e’ destinato… non sia svolta in concreto con le modalita’ di un’attivita’ commerciale”, si legge sulla nota, sottolineando che “l’onore di provare tale ultima circostanza spetta, secondo le regole generali, al contribuente”. “Nel caso, la Corte ha ritenuto che il giudice d’appello non avesse congruamente motivato in ordine al conseguimento in giudiziio di siffatta prova da parte dell’istituto religioso, tenuto conto di quanto la giurisprudenza della Corte ha affermato circa gli elementi che contraddistinguono l’attività di impresa. Tant’è che la Corte ha cassato la sentenza impugnata con rinvio”.
 
 
I FAMOSI SEI MILIARDI CHE SI RISPARMIANO GRAZIE ALLE SCUOLE PRIVATE
E difatti le scuole private non religiose sono felicissime per la scelta: “Non sono per nulla pericolose e non limitano affatto, né minimamente, la libertà di educazione, anzi la rafforzano”, le sentenze della Cassazione che hanno ribadito che gli istituti scolastici religiosi di Livorno dovranno pagare l’Ici, secondo quanto sostiene l’Associazione Nazionale degli Istituti Non Statali di Educazione e di Istruzione in un comunicato stampa. Anzi, le pronunce “riportano equità e ordine, ponendo fine ad un ingiustificato discrimine tra le scuole paritarie in base alla tipologia dell’ente gestore. “Non è possibile che scuole che applicano rette equivalenti e danno servizi equivalenti vengano discriminate per il presunto o meno scopo di lucro della gestione- spiega Luigi Sepiacci, presidente dell’ Aninsei- Giustamente la Suprema corte ha affermato che è giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, risultando sufficiente l’idoneità tendenziale dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio”. “La Cei dovrebbe affrontare l’argomento con meno ideologia”, sostiene il rappresentante delle scuole Paritarie Laiche d’Italia; gli istituti sia religiosi sia laici, “forniscono un servizio fondamentale e irrinunciabile allo Stato Italiano e alle famiglie degli studenti”, ma le gerarchie ecclesiastiche sembrano auspicare “un trattamento di favore: cioè non pagare le tasse (che noi già paghiamo con grandi difficoltà) e avere sostegni economici da parte dell’Italia”, così “negando a una cospicua parte della scuola paritaria quella libertà di educazione che a gran voce invocano per loro. Cosa c’è di più anticoncorrenziale e di più fuorviante del mercato e quindi contrario alle direttive europee, di questo modo di procedere?” “Mi auguro che il Governo italiano non stia pensando a come aiutare gli Istituti religiosi, proprio a discapito della Scuola non statale laica”, conclude Sepiacci, che auspica “un tavolo di trattativa” tra la Scuola non statale, rappresentata sia dagli Istituti religiosi che da quelli laici, e il MIUR per “trovare una possibile soluzione condivisa, perché è giusto aiutare tutti, ma che questo non crei assurdi e illegittimi favoritismi verso l’uno o l’altro dei soggetti interessati”.

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Imposta Municipale Propria ( IMU) e Tributo per i Servizi Indivisibili (TASI): come lo spiega il MIUR

C’è poi un altro tema: quello del fantomatico risparmio di sei miliardi di euro per lo Stato grazie all’esistenza delle scuole paritarie. La cifra è il risultato della moltiplicazione del milione di studenti che frequenta oggi le scuole paritarie al costo medio di seimila euro l’anno che costa ogni alunno agli istituti pubblici. Ma secondo la Fondazione Agnelli non è così:

Infatti da questo conto bisogna togliere le scuole dell’infanzia comunali già a carico della Repubblica, perché in questo milione di ragazzi delle paritarie sono inclusi anche circa 200 mila bambini delle scuole dell’infanzia comunali, sostenute quindi dalle amministrazioni locali: formalmente non sono costi a carico del Ministero, ma a carico della Repubblica certamente sì. Solo questo ridurrebbe la cifra di 6 miliardi a 4,8 miliardi.
Ma non finisce qui, secondo la Fondazione Agnelli. Infatti per la stima della spesa complessiva non è corretto utilizzare come fattore il costo «medio» per allievo: bisognerebbe utilizzare invece quello che gli economisti chiamano «costo marginale».
«Se anche “per assurdo” tutte le scuole paritarie chiudessero e lo Stato dovesse riassorbirne gli allievi – spiega Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli – il costo aggiuntivo che lo Stato dovrebbe affrontare sarebbe molto modesto. Infatti per accomodare i circa 400 mila studenti di scuola primaria e secondaria in più provenienti dalle paritarie non sarebbe necessario un significativo incremento di aule e insegnanti; basterebbe aumentare di poco più di un’unità la composizione media di ciascuna classe, con qualche variazione territoriale». In pratica basterebbe aggiungere una sedia e un banco per classe.
«Per chiarire il concetto – conclude Andrea Gavosto – se ho degli invitati a cena e ne arriva uno inatteso, quasi mai è necessario comprare un nuovo tavolo. Spesso basta aggiungere una sedia. E così si dovrebbe ragionare anche per i costi per lo Stato della scuola paritaria».
Per quanto riguarda invece la scuola dell’infanzia, va notato che il 70% delle scuole paritarie dell’infanzia è al Nord e quindi non aiuterebbe a soddisfare il bisogno dove esso è più forte e cioè al Sud.

Come abbiamo detto De Vincenti ieri ha ammesso che la sentenza della Suprema Corte “segnala una difficoltà interpretativa” di una norma introdotta dal Governo Monti: da qui la promessa di aprire “un tavolo di confronto con le organizzazioni no profit, comprese quelle religiose, per arrivare a un definitivo chiarimento normativo a questo riguardo”. Anche il legale delle scuole che hanno perso in Cassazione dice che “più che i giudici serve la politica”. Come finirà è facile prevederlo. Un atto di legge superiore al decreto ministeriale sterilizzerà le decisioni della Cassazione. Perché in Italia è sempre andata così. Ma almeno abbiamo approfittato dell’occasione per fare chiarezza.

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