Tfr in busta paga: 180 euro in tasca a che prezzo?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-10-01

Le frescacce del premier a Ballarò. E chi paga per la liquidazione ai lavoratori. Soprattutto con gli eventuali nuovi calcoli per il bonus da 80 euro. Mentre la Bce dovrebbe fare quello che dice Renzi, secondo Renzi. Draghi sarà d’accordo?

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«Il tfr c’è solo in Italia. Se diamo il tfr in busta paga si crea un problema di liquidità per le imprese. Le grandi ce la fanno, le piccole sono in difficoltà. Stiamo pensando di dare i soldi che arrivano dalla Bce alle piccole e medie imprese per i lavoratori […] per uno che guadagna 1.300 euro, un altro centinaio di euro al mese che uniti agli 80 euro inizia a fare una bella dote, circa 180 euro»: in questo delirio di onnipotenza andato in scena ieri a Ballarò c’è tutto Matteo Renzi: la faciloneria dei conti in tasca alle imprese, la propaganda nel “dimenticare” l’effetto sull’economia degli 80 euro e nel non ricordare che la liquidazione sono soldi del lavoratore, la castroneria di “dare i soldi della Bce”, come se il governo avesse il potere di costringere le banche a dare credito alle PMI. In realtà l’ipotesi di mettere parte della liquidazione nella busta paga del lavoratore – anticipata all’epoca dal Sole 24 Ore e smentita da alleati di governo – crea più problemi di quanti ne risolva. Dal punto di vista del dipendente: chi guadagna 1.550 euro ne otterrebbe 55 (e non cento), ma con l’aliquota Irpef il dipendente ci perde. E poi c’è il pericolo di superare la fascia di reddito che dà diritto al bonus di 80 euro. Da quello delle imprese: le piccole e medie usano il Tfr come fonte di finanziamento. E accedere al credito potrebbe essere più difficile di quanto il premier creda, per molti.
 
IL TFR IN BUSTA PAGA: COME FUNZIONA
Libero pubblica oggi questo schema riassuntivo del piano del governo sul Tfr in busta paga:
tfr busta paga come funziona
Il Trattamento di fine rapporto oggi ha un valore di 25 miliardi l’anno: 5,2 vanno ai fondi pensione per il cosiddetto secondo pilastro della previdenza integrativa, per coloro che hanno scelto di destinarlo ai fondi. Altri 6 vanno all’Inps. Quattordici miliardi invece rimane nelle casse delle imprese, soprattutto le piccole e medie aziende che oggi si troverebbero in difficoltà. Scrive il Corriere:

«Trasferire fondi dalla Bce alla piccola impresa è cosa che non si era mai vista. Non si può affrontare un tema così serio con leggerezza», taglia corto Giorgio Merletti, alla guida di Rete Imprese oltre che presidente di Confartigianato. Il timore delle piccole aziende è che il tfr in busta paga serva anche ad alleggerire (a loro spese) l’onere per le casse dello Stato dell’operazione «80 euro». Una volta che il tfr finisse sullo stipendio, infatti, per una certa fascia di popolazione la retribuzione supererebbe il tetto oltre il quale il bonus non è concesso.

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L’infografica de LaVoce.info pubblicata da Repubblica sulle ipotesi riguardo il Tfr

Tutto da capire il meccanismo con cui le banche potrebbero garantire le risorse alle imprese che devono privarsi dei tfr accantonati. Ogni anno le aziende rivalutano le liquidazioni per un ammontarepari al 75% dell’inflazionepiù un 1,5%. Questo significa che alle imprese il tfr quest’anno costerà circa l’1,5% di interessi. Difficilmente le banche potrebbero prestare soldi a tassi migliori. Ultimo ma non trascurabile: all’Inps verrebbero a mancare sei miliardi l’anno.

Due infografiche sul Trattamento di fine rapporto in busta paga


TUTTI I FRONTI CHE SI APRONO SUL TFR
Ma il Tfr apre più fronti di quanti ne chiuda, soprattutto alle imprese. Scrive oggi Milano Finanza che proprio per questo Renzi, per non dare un colpo mortale alle Pmi, che si finanziano anche con il Tfr dei dipendenti, pensa a una triangolazione proprio con gli istituti di credito. Il progetto è a grandi linee quello ipotizzato proprio ieri sul sito de lavoce.info, dal professor Stefano Patriarca, che è stato presidente del Formez oltre che aver guidato i centri studi di Cgil e Cisl. Patriarca ha descritto nel suo articolo un meccanismo in parte già ipotizzato ai tempi di Tremonti da Giuseppe Vitaletti.

«Si tratta», ha spiegato, «di traslare il credito (liquidazione futura) dei lavoratori nei confronti dell’impresa in un credito della banca nei confronti dell’impresa. Le aziende», prosegue Patriarca, «continuerebbero a fare l’accantonamento nel modo attualmente previsto (nel proprio bilancio, versandolo all’Inps o a un fondo di previdenza, secondo della normativa) e a pagare l’importo della liquidazione al momento della chiusura del rapporto di lavoro. La quota annuale al lavoratore che ne fa richiesta verrebbe erogata da un’istituzione finanziaria (banche o Cdp) che anticiperebbe ai lavoratori che ne facessero richiesta l’importo lordo del Tfr. Le imprese dovrebbero continuare, come oggi, ad accantonare in bilancio il Tfr con la rivalutazione dovuta per legge (tasso di interesse pari). Al momento della chiusura del rapporto di lavoro, l’impresa erogherebbe la liquidazione non al lavoratore (che già l’ha ricevuta), bensì all’istituto bancario che ha erogato l’anticipo e che avrebbe una remunerazione sul prestito pari al tasso di rivalutazione del Tfr all’ 1,5% più lo 0,75% dell’inflazione (oggi equivalente a 2,25%), e tale costo dell’intermediazione bancaria (a carico dell’impresa) sarebbe esattamente quello che l’impresa già oggi sostiene per remunerare il Tfr». Il meccanismo ideato da Patriarca risolverebbe anche i problemi di merito di credito che potrebbero bloccare il prestito ad aziende dal profilo di rischio troppo alto. Spiega infatti Patriarca: «Per le banche il prestito sarebbe esente dal rischio di insolvenza del datore di lavoro, in quanto quel rischio è già coperto da un apposito fondo assicurativo presso l’Inps, alimentato con un contributo dello 0,2%».

E non finisce qui. I problemi nascono anche sul lato del lavoratore. Anticipare in busta paga mensilmente la metà del Tft porterebbe circa il4% in più(lordo)alla retribuzione mensile. In soldoni – scrive Libero – (stipendio di 1.500 euro lordi) si tratta di un aggiunta di 55 euro al mese. Ma come si rapporterà all’aliquota Irpef? In questo modo molti non rischiano di andare oltre la soglia che gli garantiva gli 80 euro di bonus? Infine, il colpo alla previdenza complementare. Che appena dieci anni fa veniva lanciata per “salvare” i nuovi pensionati dal nuovo sistema pensionistico contributivo. Oggi che fine farà?

Leggi sull’argomento: Tfr in busta paga: 55 euro in più da gennaio 2015?

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