«Terapie» riparative: lettere ubriache al direttore

di Chiara Lalli

Pubblicato il 2015-02-01

Le terapie riparative sono inutili e dannose, ma se un riparatore viene tanato ecco sollevarsi la difesa codina e bigotta in nome della «libertà»

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Le lettere al direttore di Avvenire sono spesso molto belle. Quelle di ieri riguardano le «terapie» riparative e, in particolare, (Quel certo clima d’intimidazione al quale non possiamo rassegnarci, 31 gennaio 2015, Avvenire) la condanna di Paolo Zucconi, psicologo con aspirazioni riparative.
Si va dai complottismi («Perché i nomi delle persone soggette a provvedimento disciplinare sono sbandierati, come nel caso del professor Zucconi, mentre si omette di rendere noti sia il nome del denunciate sia i nomi di chi ha comminato la sanzione?») alla ideologia del gender imposta dalla lobby omosessualista («Credo che l’ingiusta sanzione comminata al professor Zucconi sia frutto di quel turbine ideologico che tuttora impera sui massmedia e che coinvolge purtroppo anche varie associazioni e qualche magistrato»), dai dubbi scientifici («Ma è proprio così sicuro quel signore che per la comunità scientifica sia così evidente che l’omosessualità stia sullo stesso piano del rapporto uomo donna?») alla delirante e presunta violazione della «libertà di esprimersi» («Viene messa in discussione la libertà di esprimersi di chi dimostra di non voler sottostare al pensiero unico»).
Ma la più bella è la lettera di Anna.
Caro direttore
La risposta di Marco Tarquinio non delude.

Grazie per queste vostre lettere, care amiche e cari amici. Sono indirizzate a noi, ma nella sostanza sono rivolte anche e soprattutto allo psicoterapeuta professor Zucconi, al quale confermiamo così, ancora una volta, stima e solidarietà. Sono ricche di contenuto, e perciò capaci da sole di suscitare diverse pertinenti riflessioni. Mi colpiscono, tuttavia, la richiesta di due lettrici di non firmare per esteso la loro rispettiva lettera. Trovo assolutamente logico il desiderio di riservatezza della signora Anna, alla quale va un grazie speciale per aver condiviso con noi, con sobria efficacia, la sua dura vicenda. Considero, invece, un ulteriore campanello d’allarme la ritrosia della signora Patrizia, una persona coraggiosa e attenta che chiede vera trasparenza in processi che così trasparenti non considera. In realtà, vorrei ricordare che in quella storia tutto è chiaro: l’Ordine degli psicologi lombardi è piuttosto trasparente visto che attraverso il sito internet rende possibile reperire molte informazioni e dato che l’identità del «denunciante», come abbiamo scritto, è nota (si tratta di uno psicologo napoletano). Eppure il problema posto dagli eccessi di prudenza (che, sia chiaro, comprendo) sono un serio campanello d’allarme e confermano ciò che è stato ben colto da tanti nostri lettori. Si punta a instaurare all’insegna di peregrine accuse di «omofobia» e di un battage vittimistico-aggressivo «filo gender» un clima intimidatorio e liberticida, si vorrebbero impedire parola e attività a chi non si allinea al pensiero dominante o presunto tale. Ovviamente noi di Avvenire non ci rassegniamo a questa dieta di «polpette avvelenate», per usare l’immagine a cui ha fatto ricorso ieri il segretario generale della Cei, il vescovo Nunzio Galantino. E neppure siamo disponibili a condirle con invettive: lo faccia chi vuole, e si guardi allo specchio se vuole la rissa. Del resto, è noto un po’ a tutti che con pacifica determinazione continueremo a resistere a quella che papa Francesco ha definito una vera e propria «colonizzazione culturale». E, grazie a Dio e a voi tutti, sappiamo di non essere i soli. Chiudo con un altro grazie speciale: a Francesco Belletti, presidente del Forum delle Associazioni familiari, deciso come noi a coniugare chiarezza e dialogo, allergia alle confusioni e totale rispetto per le persone.


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