Il taglio strutturale al costo del lavoro

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-08-29

A fine anno scadono gli incentivi per il Jobs Act, che sono stati già ridotti di due terzi rispetto al 2015, e il governo pensa a tagliare il cuneo fiscale, ovvero la differenza tra la retribuzione lorda e quello che finisce nelle tasche del lavoratore

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Un taglio strutturale al costo del lavoro per un ammontare di due miliardi l’anno per i neoassunti. A fine anno scadono gli incentivi per il Jobs Act, che sono stati già ridotti di due terzi rispetto al 2015, e il governo pensa a tagliare il cuneo fiscale, ovvero la differenza tra la retribuzione lorda e quello che finisce nelle tasche del lavoratore. Oggi Repubblica racconta che il governo prevede uno sconto per due terzi a favore delle aziende e per un terzo sui dipendenti:

Un modo per invertire il trend e sostituire la “droga” del bonus con un segnale concreto alle imprese: assumete perché il lavoro stabile costerà meno e per sempre. Sei punti percentuali di taglio ai contributi previdenziali si traducono in 1.440 euro di risparmio sul costo di un lavoratore che guadagna 24 mila euro lordi (cioè prima delle tasse), simula la Uil – Servizio politiche economiche. Questo tesoretto si può dividere equamente tra datore e dipendente (720 euro a testa). Oppure nella nuova opzione del governo a favore dell’impresa, per incentivarne le assunzioni: 960 euro (due terzi, quattro punti di cuneo) contro 480 (un terzo, due punti). Le finanze pubbliche coprirebbero – nel gergo “fiscalizzerebbero” – il minore esborso all’Inps delle aziende. Mentre il lavoratore avrebbe davanti a sé due scelte: incassare i 720 euro lordi in busta paga dove sarebbero tassati, 329 netti cioè 27 euro al mese in più, oppure riversarli alla previdenza integrativa.

taglio costo lavoro
Gli effetti su imprese e lavoratori di un taglio sul costo del lavoro (la Repubblica, 29 agosto 2016)

Il nodo della questione riguarda la previdenza:

Se il taglio dei contributi previdenziali pagati dal lavoratore non viene fiscalizzato, cioè ripianato dallo Stato, diventa un buco nella futura pensione. Dove sarebbe allora la convenienza del dipendente? Avere più liquidità nell’immediato. Oppure puntare ai fondi pensione. Con due vantaggi possibili: un eventuale miglior rendimento rispetto alla gestione Inps e la deduzione fiscale di cui gode questo tipo di investimento. È chiaro che il governo vuole incentivare il secondo pilastro previdenziale. Ma a quel punto dovrebbe favorirlo abbassando le tasse che lui stesso ha alzato sui fondi pensione, dall’11,5 al 20% due anni fa.

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