I sondaggi del referendum dicono no

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-11-18

L’ultimo giorno di diffusione delle rilevazioni vede il consenso unanime degli istituti sulla vittoria del fronte opposto a quello governativo. Il trend mostrato dagli intervistati è stabile per il No in misura che sembra essere solo marginalmente discutibile. Anche se per qualcuno la partita è ancora aperta e si deciderà negli ultimi giorni

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Oggi è l’ultimo giorno in cui è possibile pubblicare i risultati dei sondaggi sul referendum costituzionale che deve approvare o respingere il DDL Boschi sulle riforme. A due settimane dall’apertura delle urne gli orientamenti di voto degli italiani sembrano consolidarsi a favore del No. Anche se in alcuni casi lo scarto è basso e gli indecisi in numero talmente ampio che il risultato potrebbe essere ribaltato.

I sondaggi del referendum dicono no

Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera riporta i risultati della rilevazione di IPSOS, in base alla quale il vantaggio del No sul Sì appare netto: 55% a 45%. La quota di indecisi (al 6,4%) nella rilevazione più l’alto numero di persone che non hanno intenzione di andare a votare ci dicono che il risultato odierno potrebbe essere già ribaltato. Ma ci vuole un evento importante per cambiare questi numeri.

Queste stime sembrano determinate da almeno tre aspetti che hanno caratterizzato la lunghissima campagna referendaria. Innanzitutto, come abbiamo fatto notare, la limitata conoscenza dei temi istituzionali nonché la loro distanza rispetto alle priorità dei cittadini che hanno indotto i sostenitori dei due fronti ad adottare una strategia che in larga misura ha prescisso dai contenuti della riforma. La personalizzazione della campagna ha quindi spostato il piano del confronto sul terreno politico e le strategie comunicative adottate erano più assimilabili a quelle di una competizione elettorale che di un referendum costituzionale.

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Il sondaggio di Ipsos pubblicato dal Corriere della Sera (18 novembre 2016)

Per Ilvo Diamanti, che ne parla su Repubblica, in un mese i contrari alla riforma hanno guadagnato il 3% ma l’alta percentuale di incerti potrebbe alla fine condizionare ampiamente il risultato.

Un referendum “a favore o contro Renzi e il suo governo”, che sta assumendo un orientamento decisamente negativo. Anche perché il giudizio popolare, al proposito, si sta deteriorando in modo rapido e profondo. Oggi, infatti, il 40% degli elettori attribuisce un voto positivo al governo. Dunque, 4 punti in meno rispetto al mese scorso e 6 rispetto a un anno fa. Questo giudizio, però, può essere letto anche in modo inverso e speculare. Che 6 persone su 10, dunque la larga maggioranza, valuta il governo negativamente.

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I risultati delle rilevazioni di Ilvo Diamanti su Repubblica (18 novembre 2016)

Ma soprattutto, rileva il quotidiano, l’attivismo del premier, nel corso delle ultime settimane, non sembra avere prodotto effetti apprezzabili, se misurati con il metro del consenso popolare. Al contrario: l’esecutivo e il suo capo arretrano di qualche punto, rispetto ad ottobre, nel giudizio dei cittadini. Mentre, nelle intenzioni di voto, Pd e M5S sono ormai appaiati. Sospinti dal vento americano, tornano invece a crescere, nel frammentato campo del centro-destra, la Lega e Salvini.

Le rilevazioni a due settimane dal voto per la riforma costituzionale

Anche il Fatto Quotidiano pubblica una serie di rilevazioni sul voto al referendum costituzionale dell’istituto GPF. L’identikit di chi è già convinto di votare Sì secondo il sondaggio GPF per Il Fatto è questo: maschio (al 61%), ha più di 65 anni (il 44%), vive nel Nord-ovest (il 34%), è pensionato (il 44%) e, se ancora lavora, ha un contratto a tempo indeterminato (il 72%). Il suo nucleo familiare è composto di 3 persone e si autocolloca nello schieramento politico di centrosinistra. Chi vota no  è invece in maggioranza una donna (al 54%), ha tra i 35 e i 54 anni (al 39%), vive al Sud o nelle isole (38%), è impiegata o insegnante (29%). Quelli che lavorano hanno per il 58% un contratto a tempo indeterminato, ma c’è anche un’alta percentuale di partite Iva (17%). Il nucleo familiare tipico è di 2 persone, chi vota No non si riconosce in uno schieramento politico.

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I risultati di IGF per Il Fatto (18 novembre 2016)

Gli indecisi sono in maggioranza donne (57%) tra i 34 e 54 anni (39%) – ma il 37% ha tra 18 e 34 anni –, risiedono al Sud e nelle isole, sono impiegate o insegnanti. Il 61% ha un contratto a tempo indeterminato, il 19% è precario. Il nucleo familiare è di 4 persone, si autodefiniscono di centrosinistra.
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I sondaggi sul referendum di Piepoli per La Stampa (18 novembre 2016)

Anche per La Stampa i risultati del sondaggio di Nicola Piepoli danno in netto vantaggio il no. «Qualsiasi sia la ragione che spingerà gli italiani a votare, la ricerca ci dice che la maggioranza della popolazione andrà a votare. – commenta il sondaggista – Non si tratterà del 90%, come dice il nostro sondaggio, ma probabilmente si supererà il 50% e potremmo arrivare a 30 milioni di voti validi. Ci troviamo di fronte a un paradosso: rispetto ai referendum recenti, non validi perché non avevano raggiunto il quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto, questo non ha bisogno di quorum ma lo avrebbe comunque superato». Il trend mostrato dagli intervistati è stabile per il No in misura che sembra essere solo marginalmente discutibile. Cosa ci dice infatti il trend, avendo noi compiuto finora 12 rilevazioni in 7 mesi? Che il Sì aveva cominciato alla grande a maggio per essere doppiato dal No a metà luglio. Dopo questo mese non c’è stata praticamente storia: una continua maggioranza di No.

Infine il Messaggero riporta i risultati di tre sondaggi dei giorni scorsi ed è l’unico quotidiano a dire che la partita è ancora aperta. Sostiene Antonio Noto, direttore di Ipr Marketing: «Nell’ultima settimana i No sono stabili intorno al 52,5%, ma con 2,5 punti di differenza la partita è aperta. Incideranno gli indecisi che sono un po’ più a favore del Sì, anche se bisogna distinguere tra i vari livelli di indecisione, quella politica e quella di andare o non andare alle urne. E questi decideranno cosa fare solo negli ultimi 3-4 giorni».

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