Se l'Europa non regge agli shock

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-04-08

«La Bce non può creare da sola le condizioni per una ripresa sostenibile», ha detto a Lisbona. E ha ripetuto il suo richiamo ai Governi sulla politica fiscale e le riforme strutturali. Una severità che in altri lidi gli avrebbe fatto guadagnare l’appellativo di gufo. Intanto Visco spiega quanto vale la ripresa italiana: poco o nulla

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La BCE farà tutto quello che è in suo potere, ma non ha il potere di fare tutto da sola. Per questo «si pongono interrogativi riguardo alla direzione in cui andrà l’Europa e alla sua capacità di tenuta a fronte di nuovi shock». Mario Draghi ieri è stato chiarissimo sul pericolo che gli shock esterni finiscano per colpire la fragile economia dell’Eurozona facendo danni irreparabili, anche se la Bce, «anche davanti a forze disinflazionistiche su scala mondiale, non si piega a un livello di inflazione eccessivamente basso», ha scritto nella prefazione al rapporto annuale della banca presentato ieri.

Quel gufo di Draghi?

Per Draghi, la Bce non ha esitato ad agire a sostegno della ripresa, ma questa ha bisogno di un’azione decisa da parte di tutti gli attori della politica economica europea. «La Bce non può creare da sola le condizioni per una ripresa sostenibile», ha detto a Lisbona. E ha ripetuto il suo richiamo ai Governi sulla politica fiscale e le riforme strutturali. Una severità che in altri lidi gli avrebbe fatto guadagnare l’appellativo di gufo. Ma per fortuna non è stato questo il caso. Il banchiere centrale riconosce che in molti Paesi lo spazio nel bilancio pubblico per sostenere la crescita è limitato e che bisogna evitare di allargare le maglie della politica fiscale al punto in cui perdono credibilità. Ma ritiene che in tutti i Paesi ci sia la possibilità di aumentare gli sforzi per rendere la composizione della struttura delle imposte e della spesa pubblica favorevoli alla crescita, e indirizzare la spesa verso investimenti, ricerca e istruzione. «E senza l’intervento dei Governi e dei Parlamenti per migliorare la competitività dell’economia, ha affermato, l’eurozona non sarà in grado di alzare il potenziale di crescita e ridurre la disoccupazione strutturale. Draghi parla in particolare di riforme che facilitino l’attività d’impresa e migliorino la produttività. In un richiamo al Portogallo, dove l’attuale Governo ha tentato una parziale marcia indietro rispetto ai progressi del precedente, ha sollecitato ulteriori misure fiscali e sconsigliato di disfare le riforme già compiute», scrive oggi Il Sole 24 Ore.

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Le componenti della crescita dell’Eurozona (Il Sole 24 Ore, 8 aprile 2016)

Non è solo il presidente della Bce, del resto, a parlare di shock, usando un termine che non è proprio rassicurante. “Se dovessero esserci ulteriori shock, le nostre misure potrebbero essere ricalibrate nuovamente”, gli fa eco il capo economista della Bce, Peter Praet avvertendo dei rischi di tassi così bassi per le banche. E dai verbali della riunione Bce del 10 marzo, quella del maxi-pacchetto chiamato Qe3, emerge che già allora non si era escluso di tagliare nuovamente i tassi nonostante siano all’osso (il tasso principale a 0,00% e quello sui depositi a -0,40%).

La verità sulla crescita e i governi

il governatore di Bankitalia Ignazio Visco a un convegno a Francoforte ieri intanto ha ricordato come “senza le misure (di Qe) prese dalla Bce fra giugno 2014 e dicembre 2015 “la recessione italiana sarebbe finita solo nel 2017, e l’inflazione sarebbe rimasta negativa per l’intero periodo di tre anni”. Questo spiega anche indirettamente quanto valore abbiano i proclami sui governi e sulla crescita che arrivano così spesso dai premier in crisi di argomenti. I rischi di nuovi shock non sono mai stati così tanti. La crescita – come avverte il Fmi – è più bassa del previsto. La Grecia è ancora una mina innescata: la ‘review’ del suo programma doveva essere completata a ottobre e il negoziato è ancora in alto mare. L’Europa, nonostante la tregua in Siria, è lambita da un conflitto che rischia di diventare incontrollabile. La deflazione è un rischio concreto e il governatore di Bankitalia, sottolinea come se alcuni rinnovi contrattuali conclusi di recente in Italia (che prevedono come parte dei futuri aumenti salariali sia rivista al ribasso nel caso in cui il tasso di inflazione si riveli inferiore alle stime) dovessero diventare la norma, potrebbero scattare quegli “effetti secondari” a carattere deflazionistico, in pratica l’incubo di ogni banca centrale. Il governatore rileva quindi come in un contesto di inflazione persistentemente bassa c’è evidenza che le aspettative d’inflazione stiano giocando un ruolo crescente nelle contrattazioni salariali e che quindi aspettative di inflazione sfavorevoli possano auto-alimentarsi. E poi la crisi dei rifugiati che rischia di trasformarsi in problema esistenziale per l’Europa, e la ‘bomba’ a orologeria del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, con un sì alla Brexit che costerebbe alle banche europee oltre 100 miliardi secondo stime Bloomberg. Non è sfuggito a molti osservatori che le parole di Draghi assomigliano a quelle dei governatori della Fed, emerse dai verbali della riunione di marzo che parlano di “sviluppi economici-finanziari globali che continuano a porre rischi” tanto da far sfumare una stretta monetaria ad aprile. Ecco allora che più alla risposta della Bce o della Fed, gli investitori stanno prestando attenzione ai loro ragionamenti, a quello che dicono e (ancora) non dicono. Con un possibile epicentro ancora una volta nelle banche.

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