Ricolfi e il lavoro che non c'é

di Carlo Cipiciani

Pubblicato il 2014-10-08

Leggi la proposta di Ricolfi per creare molti nuovi posti di lavoro a costo zero (anzi, con un aumento di gettito per lo Stato ) con il Job-Italia e pensi: accidenti, ma perché non ci ha mai pensato nessuno? Rileggi la proposta, ne analizzi i dettagli, guardi i conti. Sembra tutto in regola, a parte …

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Leggi la proposta di Ricolfi per creare molti nuovi posti di lavoro a costo zero (anzi, con un aumento di gettito per lo Stato ) con il Job-Italia e pensi: accidenti, ma perché non ci ha mai pensato nessuno? Rileggi la proposta, ne analizzi i dettagli, guardi i conti. Sembra tutto in regola, a parte che non è nuovissima: creare lavoro aggiuntivo riducendo il cuneo fiscale (la differenza tra quanto costa il posto di lavoro all’impresa e quanto percepisce il lavoratore, ergo “la cresta” che lo Stato incamera come gettito) non è la prima volta che la senti.
Ricolfi lavoro
Poi il keynesiano che è in te si sofferma su questa frase di Ricolfi:

Si potrebbe pensare che un contratto del genere ridurrebbe il gettito della Pubblica Amministrazione, a causa dei minori contributi sociali. E in effetti così sarebbe se, pur in presenza del nuovo contratto, le imprese non creassero alcun posto di lavoro addizionale; se, in altre parole, lo sgravio contributivo si limitasse a rendere più economici posti di lavoro che sarebbero stati creati comunque.

Dunque, il gioco funzionerebbe – dice Ricolfi – ammettendo che il lavoro creato sia “addizionale”, aggiuntivo, ovvero che un’impresa che assume n dipendenti nuovi li assumerebbe in più rispetto a quanto previsto. Ricolfi assicura che, da indagini svolte, questa addizionalità ci sarebbe. E sarebbe consistente. E che ci sarebbero meccanismi semplici per evitare “furbate” che la facciano sembrare aggiuntiva mentre non lo è.
Il keynesiano che è in te non dubita di questo: Ricolfi non è mica uno sprovveduto! Ma il keyneisiano che è in te pensa anche che le imprese assumerebbero dipendenti “in aggiunta” a quelli programmati se (e solo se) prevedessero un aumento della domanda aggregata, per aver trovato nuovi mercati esteri e/o per un rilancio della domanda interna. Che non si fa con i contratti di lavoro, ma o rilanciado la domanda privata, o aumentando la domanda pubblica. Con la spesa pubblica, magari quella in conto capitale.
E poi, il keynesiano che è in te si ricorderebbe che le imprese italiane hanno un problema di produttività, perché da troppo tempo non fanno investimenti e non “incrementano” il capitale. E che per convincerle a farlo, again, serve che abbiano prospettive di rilancio della domanda. E se la domanda privata langue, e non si sa come incentivarla, servono programmi di investimento pubblici.
Il lavoro non c’é, e Ricolfi fa bene a proporre idee per favorirne l’incremento. Ma mi sa che oltre alle sue proposte, servono azioni che rilancino la domanda aggregata. E il keynesiano che è in te si dispera che questa cosa così evidente fatichi a passare nella testa di politici, giornalisti e anche di parecchi che di economia ne sanno molto, ma molto più di te. E chissà che verrà dopo; o, se preferite, what comes neXt.

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