Libertà di stampa: peccato che in Italia ce ne sia troppa!

di David Puente

Pubblicato il 2016-04-20

Reporters sans Frontieres ha reso noto l’annuale classifica sulla “libertà di stampa”. Il nostro Paese, purtroppo, ha perso ben quattro posizioni passando dal 73° posto del 2015 al 77°. Un declassamento da poco se consideriamo quello del 2015, dove l’anno precedente veniamo riportati al 49° posto. Il rapporto in merito al nostro Paese parla chiaro, fra i motivi …

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Reporters sans Frontieres ha reso noto l’annuale classifica sulla “libertà di stampa”. Il nostro Paese, purtroppo, ha perso ben quattro posizioni passando dal 73° posto del 2015 al 77°. Un declassamento da poco se consideriamo quello del 2015, dove l’anno precedente veniamo riportati al 49° posto.

Reporters sans Frontieres, l'Italia al 77° posto sulla libertà di stampa.
Reporters sans Frontieres, l’Italia al 77° posto sulla libertà di stampa.

Il rapporto in merito al nostro Paese parla chiaro, fra i motivi della caduta ci sarebbe il fatto che “fra i 30 e 50 giornalisti” sarebbero sotto protezione per minacce di morte o intimidazioni, ma viene citato anche il caso Vatileaks con i procedimenti giudiziari a carico dei giornalisti coinvolti. Non bisogna sottovalutare questi fatti, a nessuno piace trovarsi di fronte a minacce di morte o intimidazioni per il semplice fatto di voler raccontare al mondo la verità, ma penso che il problema sia un altro e che il problema dell’informazione italiana sia proprio l’eccessiva libertà di stampa.
Non fraintendetemi, non è mio desiderio imporre un bavaglio ai giornalisti, privarli della penna o della tastiera per scrivere i loro articoli, così come non è mia pretesa imporre loro una ferrea e rigida linea editoriale che “riporti solo ciò che vuole il padrone”. Il problema è l’eccessiva libertà della stampa italiana di diffondere informazioni false dietro lo scudo di un presunto “giornalismo 2.0“, così definito di recente dal direttore dell’Unità Erasmo D’Angelis in un’intervista al Corsera, alla faccia del Testo unico dei doveri del giornalista.
Il caso Virginia Raggi è solo una piccola goccia d’acqua in un mare di bufale diffuse online dalla stampa italiana, sempre più alla ricerca del click e della condivisione. Si sta perdendo l’entusiasmo della verifica, l’emozione della scoperta e del fornire al lettore un servizio pubblico, sentimenti e obiettivi che vengono sostituiti dalla necessità di diffondere la “notizia” per primi nella maniera più dirompente possibile fregandosene delle conseguenze sociali che possono derivare.
Ad approfittare della malsana situazione sono numerosi blog e siti web spazzatura che “copia incollano” proprio certi articoli, eventualmente modificati ad arte, per diffonderli ulteriormente tramite i social permettendo ai loro proprietari di monetizzare sfruttando la credulità popolare degli utenti. Un circolo vizioso pericoloso, un’eccessiva libertà che sta consolidando il passaggio della figura del cosiddetto “watchdog journalism” (“giornalismo cane da guardia”) a quello di un “cane randagio”.

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