Renzi, il piano Ring e l'affare della banda larga

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-03-01

Il governo vuole garantire l’arrivo di internet veloce in tutte le case a prezzi ragionevoli per il 2021. Ci vorranno soldi pubblici. E l’affare potrebbe intrecciarsi con quello delle torri Rai. Mediaset e Telecom in una sola società?

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Nessun decreto, come annunciato ieri dal Corriere della Sera. Ma un grande piano sulla banda larga che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe rovesciare le classifiche europee che ci vedono ultimi nella diffusione di Internet veloce, che prevede due punti cardine per l’introduzione del servizio universale allo scopo di garantire la copertura integrale del territorio fin dall’entrata in vigore del decreto e lo spegnimento (switch off) del rame. Il primo punto prevede che entro il 2021 dovranno essere garantiti i 30 megabit al secondo di velocità; il secondo che ci siano due fasi intermedie: «Al 2020, la strategia del governo prevede che gli operatori potranno stanziare in tutto tra i 4 e i 6 miliardi di euro. In particolare, Telecom prevede di coprire il 75% della popolazione entro il 2017 con la banda ultra larga, ma non in tutti i casi arrivando con la fibra fin dentro le case. Mentre il Piano stabilisce che a un anno dall’arrivo della fibra ottica in casa da parte di qualsiasi operatore, sarà obbligatorio l’abbandono del rame» (Repubblica, 1/03/2015).
 
IL PIANO RING DI MATTEO RENZI
Il documento di 146 pagine messo a punto da Graziano Delrio e dal sottosegretario Antonello Giacomelli si chiama “Strategia italiana per la banda ultralarga”. Spiega il Corriere in un articolo a firma di Massimo Sideri:

La bozza introduce i  concetti di «richiesta ragionevole » da parte dell’utente e di «accesso efficace». Inoltre dovrebbe rimandare a un programma del governo le fasi intermedie dello switch off, anche se sono già indicate due date: quella del 2020 per il cambio di almeno metà delle connessioni in Fiber to the building (cioè fibra fino all’edificio, mentre Telecom spinge per la fibra fino al cabinet) e quella del 2030 come sostituzione totale del rame. «I provvedimenti che saranno adottati dal governo si limiteranno ad applicare il Piano banda ultralarga per stimolare gli investimenti di tutti gli operatori: non sarà presentato alcun decreto su Telecom o che imponga spegnimenti della rete in rame», ha fatto sapere in una nota il sottosegretario Antonello Giacomelli.
E ha aggiunto: «Martedì verrà adottato il piano, apprezzato nella consultazione pubblica». È possibile che il servizio universale venga usato come parziale compensazione per Telecom che con lo switch off vedrebbe cambiare le valutazioni sull’unico asset che garantisce il debito di 27 miliardi e produce flussi di cassa con le tariffe di terminazione.

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Il piano Ring: come sarà finanziata la banda larga (Repubblica, 1 marzo 2015)

Al lavoro per ridurre i passaggi molto delicati c’è anche Andrea Guerra, consulente su vari dossier di Renzi. Il piano prevede anche che quando arriverà la banda larga sarà obbligatorio per l’operatore l’abbandono del rame, e gli utenti dovranno poter accedere alla banda larga senza sovrapprezzi finali, perché la differenza di costo – che oggi ammonta a circa cinque o dieci euro – sarà coperta dal contributo pubblico. Oggi le offerte di 20 megabit al secondo teorici che offrono le compagnie sono, appunto, soltanto teorici a causa delle interferenze, della congestione e della scarsa qualità della rete. Con la fibra saranno possibili due ipotesi di cablaggio: la prima è la FTTC (fiber to the cabinet) o FTTS (fiber to the street), con la fibra che arriva fino alle centraline, e alle case attraverso il rame. Migliora la qualità, ma non al livello della FTTH (fiber to the home), che prevede invece l’arrivo della banda larga fino a casa, ovvero fino al confine esterno della costruzione. Per cablare così l’Italia bisognerà raggiungere 28 milioni di punti distinti, oppure 15 milioni in caso di arrivo solo fino agli edifici.
 
L’AFFARE DELLA RETE E LA BANDA LARGA
Ettore Livini su Repubblica invece immagina (?) come l’affare della banda larga potrebbe intrecciarsi con quello delle torri di trasmissione del digitale, Mediaset e Rai: dopo il lancio dell’OPAS su RaiWay da parte del gruppo che fa capo a Silvio Berlusconi la strategia potrebbe diventare di sistema, con l’opportunità della costruzione di una società che contenga la rete universale di Internet e insieme la rete del digitale terrestre:

L’assalto del Biscione alle torri di viale Mazzini, che pure ha una sua logica industriale, ha una spiegazione precisa: i tralicci delle tv sono strutture che rischiano di diventare obsolete in un mondo dove buona parte dei segnali, televisione compresa, correrà in futuro sul telefono. Arcore l’ha capito da tempo. E ha puntato su Rai Way — prima negoziando dietro le quinte, ora con l’arma finale dell’Opa — per iniziare a ridurre i costi senza perdere il controllo dell’autostrada su cui corre il suo business. L’affondo muscolare del governo sulla banda larga è figlio di un’altra serie di equivoci hi-tech.
L’esecutivo— ammirevolmente — vuole lanciare il piano per la modernizzazione digitale del Paese. Ma non ha i soldi per farlo. Il piano industriale di Telecom Italia — forte del monopolio sulla rete in rame e spolpata dalle Opa a debito dei “capitani coraggiosi” — prevede 500 milioni di investimenti su questa tecnologia in tre anni. Troppo pochi per la politica che ha sfoderato il “piano B”: convincere la società a entrare assieme a lei (che l’ha fatto attraverso Cassa depositi e prestiti) nel capitale di Metroweb, la società che ha cablato Milano e vorrebbe replicare il progetto nel resto d’Italia.

La scorsa settimana, dopoun lungo tira e molla, la trattativa è saltata sul tema del controllo: Telecom vuole il 51%. Ma Cdp — che ha il 46,2% — non è d’accordo. E a stretto giro di posta, guarda un po’, è arrivata l’ipotesi del decreto anti-Telecom. Ma, ipotizza Livini, la partita potrebbe risolversi in un tavolo a tre tra governo, Mediaset e Telecom (che conferirebbe le sue torri) per la creazione di un polo azzurro in cui scaricare i ripetitori. Tutta l’Italia, da Telecom a Mediaset, in una sola grande società che avrebbe l’obiettivo di migliorare la connessione di rete, considerata bene pubblico da salvaguardare. Ma nella polemica politica che ne seguirà sarà difficile invece non gridare ancora al Grande Inciucio con il “patto del Nazzzzzareno” risorto per la centomillesima volta. A prima vista sembra una buona idea. Per questo, statene certi, non se ne farà niente.
 

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