Reddito di cittadinanza: le promesse di Grillo & Vendola e la realtà

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-03-04

Quella del reddito minimo garantito è una bella proposta che si scontra con due realtà oggettive difficili da dimenticare: la difficoltà nello stabilire criteri di equità sociale nella platea degli aventi diritto e la fantasia delle coperture

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Nell’intervista rilasciata oggi al Corriere della Sera Beppe Grillo ha rilanciato la proposta del reddito di cittadinanza che il MoVimento 5 Stelle ha depositato a novembre 2013; in Senato è stato presentato nel dicembre 2014 ed è recentemente approdato in Commissione Lavoro. Così lo spiega Grillo: «È destinato a chi perde il lavoro, a chi non lo raggiunge. Sono 780 euro al mese, ma varia a secondo del numero dei componenti familiari. Penso a una coppia con figli, lei casalinga: gli si potrà garantire 1.200-1.300 euro. Nel frattempo chi ne usufruisce segue un percorso con lo Stato. Gli si offrono due-tre lavori, se non li accetta, perde il reddito. Cambierà anche il rapporto con lo Stato, i sindacati, le imprese: un conto è che puoi licenziare con il Jobs act che si abbatte come una scure con alle spalle il reddito di cittadinanza, un altro conto senza. Dobbiamo tenere presente una cosa: in Italia solo il 40% delle persone ha un reddito da lavoro, il 30% sono figli, persone a carico, il 20% vive da reddito indiretto – con le pensioni – e il 10% con i sussidi». La proposta ha visto una risposta interessata da parte di Nichi Vendola di SEL e di Pippo Civati del PD: «Rai dei cittadini e non dei partiti. Reddito minimo contro povertà. In Parlamento maggioranza possibile. Facciamolo. Ora», ha scritto Vendola su Twitter. Sul suo blog Civati è ancora più entusiasta: «Grillo insiste – con parole misurate e con una spiegazione più dettagliata del solito – sul reddito di cittadinanza che si è trasformato, però, opportunamente in un ‘reddito minimo garantito’ (espressione più corretta e precisa, perché il reddito di cittadinanza è strumento non condizionato e prescinde dalla situazione del reddito, del patrimonio e dell’occupazione), come nella proposta che caldeggio da tempo, trovando molte difficoltà e pochissimo ascolto nel Pd. Lo avevamo peraltro proposto con gli emendamenti alla legge di stabilità, ricordando che sotto agli 80 euro non c’era nulla, che la questione va affrontata con due mosse: l’introduzione del reddito minimo e la revisione in senso progressivo delle aliquote». Molto interessante il botta e risposta successivo tra Grillo ed Emanuele Buzzi, che firma l’intervista:

E per le coperture?
«I soldi li troviamo. Spendiamo 45 miliardi per gli armamenti, 20 per la formazione professionale. Poi c’è il gioco d’azzardo e le persone che hanno 2-3 milioni di euro di reddito. Se gli prendi lo 0,5-l’1% a questo scopo non credo siano contrari. Discuteremo anche con la Cei…».
In commissione avrete una audizione. Voi proponete di ritoccare l’otto per mille. Quale crede sarà la posizione della Chiesa?
«Ne discuteremo, ma credo che papa Francesco sarà sulla nostra stessa lunghezza d’onda».

Reddito di cittadinanza: le 10 slide del MoVimento 5 Stelle


REDDITO DI CITTADINANZA O REDDITO MINIMO GARANTITO?
La prima distinzione che va fatta è quella tra reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito. Il reddito di cittadinanza è un sussidio universale su base nazionale che si dà, semplicemente, a tutti i nati (o i cittadini, o i residenti) di un’area geografica. Quello che Grillo propone invece è un reddito minimo garantito, visto che nella proposta di legge si definisce il reddito di cittadinanza come « l’insieme delle misure volte al sostegno al reddito per tutti i soggetti residenti sul territorio nazionale che hanno un reddito inferiore alla soglia di povertà come definita alla lettera d) al fine di garantire la pari dignità sociale e la partecipazione al progresso della nazione». La soglia di povertà relativa, invece, dice sempre la legge, «è il valore convenzionale calcolato dall’ISTAT che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia anche composta da un singolo soggetto, viene definita povera in termini relativi ossia in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione». Tito Boeri, oggi presidente dell’INPS (che proprio ieri sul Corriere aveva parlato anche di reddito minimo tra le forme di welfare necessarie in Italia: «Bisognerebbe insomma spendere meglio le risorse pubbliche, prevedendo per esempio un reddito minimo per contrastare le situazioni di povertà, finanziato dalla fiscalità generale»), su LaVoce.info parlò dei problemi di equità presenti nella proposta del MoVimento 5 Stelle sul reddito di cittadinanza. Tra i difetti allora individuati da Boeri c’era ad esempio che le soglie di reddito sono definite in termini netti invece che lordi, e questo può costituire una sottovalutazione della posizione patrimoniale dell’individo: una famiglia che guadagna poco al mese ma è intestataria di tante case potrebbe usufruire del reddito minimo. C’è poi, sempre secondo Boeri, una problematica che riguarda il calcolo dei trasferimenti, dove si introduce una soglia inidividuale chiamata RxC (reddito di cittadinanza potenziale):

Se un componente della famiglia ha un reddito personale superiore a Rcx, allora non ha diritto a percepire alcun reddito di cittadinanza, indipendentemente dalla soglia familiare e dall’esistenza o meno di altri redditi familiari.
L’extra reddito di tale componente è poi suddiviso in parti uguali tra gli altri componenti il nucleo familiare, che risultano beneficiari del reddito di cittadinanza solo se, a loro volta, hanno un reddito personale – incrementato dell’extra reddito – inferiore a Rxc.
Questo tipo di formula di calcolo dà risultati identici ad un top-up familiare nel caso di famiglie composte da una o due persone. Per nuclei familiari più numerosi, invece, il tipo di calcolo proposto dal M5S può dar luogo a differenze difficilmente comprensibili dal punto di vista dell’equità.
Un esempio può forse chiarire il problema.
Consideriamo due famiglie, di quattro componenti, entrambe con un reddito complessivo di 20mila euro netti annui, ma distribuito diversamente tra i vari membri del nucleo familiare:
Famiglia 1: tutti i quattro membri percepiscono 5mila euro annui.
Famiglia 2: un membro percepisce 16mila euro, un secondo 4mila, gli altri zero.
Se si applica uno schema di top-up familiare, nessuna delle due famiglie ha diritto al reddito di cittadinanza, poiché entrambe hanno redditi complessivi superiori alla soglia familiare (20.000> 19.590 euro). Se invece si applica il sistema di calcolo proposto dal M5S, la Famiglia 1 non ha diritto ad alcun reddito di cittadinanza (5.000>Rcx, pari in questo caso a 4.890). La Famiglia 2, invece, percepisce un’integrazione di 2.373 annui, totalizzando così un reddito totale annuo di 22.373 euro.
L’idea sottostante a questo tipo di calcolo – che trapela a tratti dalla lettura della proposta – è forse una concezione del reddito minimo come “diritto individuale”. Il risultato è tuttavia una certa dose di iniquità e una forte complessità.

I COSTI E LE COPERTURE
C’è poi la questione dei costi. Il M5S ipotizzava un costo di 16,961 miliardi di euro per nove milioni di cittadini. Boeri la stimava in 19 miliardi, arrivando a 20 con il sostegno all’affitto. In questa tabella tratta da Lavoce.info vediamo anche una ripartizione geografica dei beneficiari:

reddito di cittadinanza m5s beneficiari
Costi e beneficiari del reddito di cittadinanza del MoVimento 5 Stelle (Lavoce.info)

Chiara Saraceno, sempre su Lavoce, segnalava altre criticità presenti invece nella proposta di SEL rispetto alla Sia, la proposta di sostegno al reddito individuale che allora era allo studio del ministero:

Le differenze sarebbero ancora maggiori nel caso della proposta di Sel, che prevede di assegnare l’intero importo e non la differenza tra reddito disponibile e soglia di povertà individuata, creando così disuguaglianze tra gli stessi beneficiari. Ho il sospetto che in parte la lievitazione dei costi non sia voluta intenzionalmente, ma sia l’esito di un pressappochismo nel valutare i complessi meccanismi che occorre mettere a punto per attuare una misura di integrazione del reddito che sia non solo economicamente sostenibile: scale di equivalenza per eguagliare il reddito di famiglie di diversa ampiezza, valutazione del patrimonio e non solo del reddito corrente e così via.
Elementi, per altro, cui può venir incontro il nuovo Ise e che sono presenti e documentati nelle diverse stime e nei lavori di accompagnamento del Sia e nelle proposte di Acli e Irs/Capp. Così come va discusso l’importo di base. I 600 euro mensili per una persona sola che diventano velocemente oltre mille con il crescere della numerosità della famiglia proposti sia da Sel che da M5S sono un importo realistico in Italia, dove alcune pensioni minime, ma anche alcuni redditi da lavoro rischiano di essere più bassi?

Infine c’è la questione delle coperture. La battuta di Grillo sui soldi da chiedere alla CEI nasconde la realtà, tra le coperture indicate dai 5 Stelle, di prendere circa 600 milioni dalla quota dell’8 per mille destinato alla Chiesa. E probabilmente finirà come per la fecondazione eterologa e i fondi alle private. Senza contare che appare difficile anche legislativamente giustificare la destinazione ad altro di un importo che il contribuente decidere di dare a qualcun altro (anche se, come sappiamo, quella è una piccola parte dell’enorme totale che il meccanismo dell’otto per mille destina alla solidarietà cattolica). Tra le altre coperture indicate dal MoVimento 5 Stelle ci sono l’aumento della tassazione per il gioco d’azzardo (sacrosanto), l’aumento delle tasse alle imprese del petrolio e del gas (e qui è chiaro che questo ridimensionerà profitti e dividendi delle stesse, anche di quelle di proprietà dello Stato, che quindi troverà un altro buco nei conti da colmare), e la solita riduzione dei costi della politica che dovrebbe portare in cassa 1,1 miliardi. Dovrebbe, appunto, perché tra le voci ci sono anche l’eliminazione di enti inutili, che però è complessa da immaginare in un paese che ha ancora il CNEL, e il taglio alle consulenze della Pubblica Amministrazione, che in molti casi vuol dire creare altra disoccupazione (da cui poi si uscirà con un reddito minimo, si spera). Validi i tagli a pensioni d’oro, editoria e cumuli, difficilissimo da attuare il taglio alle spese della PA (che ha già lasciato vari Cottarelli sul selciato), così come quello delle spese militari. Quella del reddito minimo garantito è una bella proposta che si scontra con due realtà oggettive difficili da dimenticare: la difficoltà nello stabilire criteri di equità sociale nella platea degli aventi diritto e la fantasia delle coperture. Ma tanto i politici lo sanno bene: promettere è gratis.

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