Quelle 15 banche cooperative a rischio

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-01-11

Il governo sta studiando una riforma delle banche di credito cooperativo che dovrebbe vedere la luce a metà febbraio. Con un occhio a quelle a rischio nei prossimi diciotto mesi

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Una riforma per le banche di credito cooperativo dopo quella sulle Popolari. Il governo la avrebbe allo studio, secondo quanto racconta oggi Federico Fubini sul Corriere della Sera, e dovrebbe vedere la luce a metà febbraio. L’intenzione è quella di rendere più solido il sistema delle Bcc addossandone i rischi alle aziende con i conti più solidi. Con un occhio alle regole, scritte e non, dell’Europa e ai paletti che hanno fatto naufragare le intenzioni del governo all’epoca del Salvabanche. E con un altro occhio al rischio di sistema, visto che sono tra le 15 e le 17 le banche cooperative attualmente a rischio nei prossimi 18 mesi.

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Le banche cooperative in Italia (Corriere della Sera, 11 gennaio 2015)

Quelle 15 banche cooperative a rischio

Le banche cooperative si distinguono dagli altri istituti di credito perché la loro caratteristica principale è quella di essere società cooperative per azioni, mutualistiche e locali. Da oltre 130 anni svolgono il ruolo di banche del territorio, con l’obiettivo di promuovere sviluppo e rispondere alle necessità economiche e sociali delle comunità locali. Scrive Fubini che l’Italia vuole evitare una nuova serie di piccole implosioni bancarie localizzate: la strada del salvataggio pubblico è infatti sbarrata dalle nuove norme europee, che obbligano a colpire gli investitori e i depositanti se c’è aiuto di Stato. Tra le ipotesi allo studio c’è quella della creazione di una superholding, una capogruppo, dentro cui far confluire gli oltre 370 istituti sparsi in Italia. Si tratta di una proposta avanzata da Federcasse, l’associazione di rappresentanza, che però non ha trovato un’ampia convergenza.

Dipende dai dettagli di una riforma carica di rischi anche politici. A maggior ragione lo è perché gran parte delle Bcc più robuste sono basate al centro-nord, mentre quelle più bisognose di aiuto dalle altre sono al Sud. Probabile però che il governo non si fermi: creare una capogruppo ombrello sotto cui si trovino tutte le Bcc, sulla base di una rete di garanzie incrociate fra di esse, appare oggi a Palazzo Chigi la soluzione obbligata per mettere in sicurezza le frange più esposte e spingere il credito cooperativo verso il ventunesimo secolo. Non ci è del tutto, per ora. E non tanto perché Alessandro Azzi, presidente della federazione nazionale di settore, guida la sua Bcc del Garda da quando Bettino Craxi sedeva a Palazzo Chigi e Federcasse dai giorni del settimo governo di Giulio Andreotti. Oggi il credito cooperativo conta per il 6% degli attivi bancari in Italia ma ben il 15% degli sportelli. È un protagonista di quella stranezza – notata da Alberto Gallo di Rbs – per cui in Italia gli sportelli bancari oggi sono più numerosi degli alberghi, il doppio delle farmacie e quasi il doppio degli asili d’infanzia

Ma soprattutto, stanno emergendo altre situazioni critiche:

Alcune sono state risolte in silenzio tramite acquisizioni a fine 2015. La Bcc di Roma ha preso controllo della Bcc Padovana, a dimostrazione che non è sempre il Nord a salvare il Sud; e il mondo cooperativo del Trentino ha assorbito la Bcc di Folgaria. Ma soprattutto in certe regioni del Mezzogiorno, restano fra 15 e 17 aziende di credito cooperativo in situazioni tali che il loro funzionamento nei prossimi diciotto mesi è in dubbio. Un altro centinaio di Bcc, su 363, potrebbero poi rivelare problemi se e quando saranno sottoposte a un esame severo.

Le banche italiane più solide

Qualche tempo fa abbiamo parlato della classifica delle banche più sicure stilata da MF. La tabella utilizzava gli indici di solidità patrimoniale come il Cet I ratio, cioè il capitale versato facente capo alle azioni ordinari, rapportato agli asset ponderati per il rischio. Infatti non tutte le attività che si trovano nel bilancio di una banca sono computate nella stessa misura come asset ponderati: un titolo di un paese dell’OCSE o un credito nei confronti dello Stato non possono non essere valutati diversamente rispetto al credito nei confronti di un’azienda in difficoltà, come spiegava l’articolo su MF.

La tabella in pagina, frutto di un’elaborazione di MF-Milano Finanza, riporta per le principali banche italiane, quotate e non, i dati relativi al Cet I ratio come risulta al 30 settembre 2015 (o al 30 giugno 2015 per gli istituti che non hanno rilasciato la terza trimestrale), e il confronto con il ratio alla stessa data del 2014. I dati sono confrontati con i livelli raccomandati dalla Bce, per le banche il cui attivo di bilancio supera 30 miliardi di euro, a seguito del cosiddetto Srep (acronimo di Stability Review and Evaluaton Process), che è la replica dell’esame approfondito cui furono già sottoposte le banche nell’ottobre dello scorso anno. Dalla tabella emerge che, a livello generale, chi a vario titolo ha investito nelle banche italiane non dovrebbe correre troppi rischi, perché nella quasi totalità dei casi il Cet ratio è notevolmente superiore a quello suggerito dalla Bee (nei casi in cui questo è disponibile), per non parlare del limite minimo fissato dal Comitato di Basilea, cioè il 7%.
Le banche più solide risultano in pratica le private bank. Questo è abbastanza intuitivo perché questi istituti non erogano prestiti, se non in ridottissima misura, bensì forniscono servizi di gestione di portafogli, in cambio dei quali percepiscono delle commissioni. Ai fini del controllo dei rischi è una situazione ideale. Meno intuitivo, anzi quasi sorprendente, è il caso di Banca Ifis, l’istituto guidato da Giovanni Bossi dapprima specializzato nell’acquisto pro-soluto di crediti commerciali (factoring), ma che da qualche tempo sta puntando molte carte sul business dei crediti in sofferenza. Si tratta quindi di una banca che del rischio di credito fa la sua ragion d’essere. Senonché, i crediti vengono acquistati a sconti fortissimi. Per quanto riguarda invece la banche più tradizionali, ai vertici della solidità troviamo il Credito Emiliano e Intesa Sanpaolo, rispettivamente con Cet ratio del 13,7 e del 13,4%. Valori elevati in assoluto ma ancora più significativi se si pensa che, almeno per la Ca’ de Sass, il livello raccomandato dalla Bce dopo la radiografia è del 9,6%. Bene anche molte delle maggiori banche popolari, prime fra tutte il Credito Valtellinese, la Bper, la Bipiemme e la Sondrio, anch’esse con livelli del Cet l ratio ben superiori a quanto richiesta dai tecnocrati di Eurotower guidati da Daniele Nouy.

Questa la tabella di Milano Finanza ripresa da Libero:

I REQUISITI PATRIMONIALI DELLE BANCHE ITALIANE (1) rapporto percentuale tra il capitale primario di classe 1 e le attività di rischio ponderate (“) solo per gli istituti soggetti alla Vigilanza europea (2) rapporto percentuale tra il capitale di classe 1 e le attività di rischio ponderate (3) rapporto percentuale tra i mezzi propri (già patrimonio di vigilanza) e le attività di rischio ponderate ( ) requisiti patrimoniali al 30/9/2015 (C) esclusa la riserva di conservazione del capitale

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Anche Il Fatto Quotidiano aveva riepilogato qualche tempo fa in una tabella pubblicata a corredo di un pezzo a firma di Salvatore Graziano il check up delle banche:

Non tutti i risparmiatori magari avranno il tempo e le competenze di leggere il bilancio della propria banca ma qualche precauzione possono prenderla per monitorare periodicamente lo stato del proprio istituto. Un indicatore che è diventato molto importante per misurare la solidità degli istituti bancari è il Common equity tier 1 in sigla Cet1. Qui potete vedere nella tabella quelli che abbiamo rilevato dalle ultime trimestrali di alcune delle banche italiane più conosciute. Con questo indicatore si rapporta il patrimonio netto della banca ai rischi assunti.
I parametri europei prevedono al minimo un Cet1 Ratio dell’8 per cento che equivale a dire che una banca può effettuare investimenti (finanziamenti, prestiti, mutui, investimenti su titoli e così via) ponderati per il rischio superiori a 12,5 volte il capitale proprio. Più questo indicatore è elevato, maggiore dovrebbe essere la solidità dell’istituto ovvero la capacità di affrontare eventuali scenari negativi avendo un maggiore “cuscinetto”di garanzia.Balza subito all’occhio come alcune banche piùspecializzate e più giovani (come Mediolanum o Fineco o Banca Ifis) presentano degli indicatori migliori rispetto alle banche più commerciali o alle banche popolari, poiché hanno spesso un basso livello di sofferenze rispetto ad altre banche più esposte sul fronte degli impieghi.

bail in quanto solida tua banca
Quanto sono solide le banche italiane (Il Fatto Quotidiano, 18 novembre 2015)

Leggi sull’argomento: Le banche che non rischiano di fallire

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