La Procura spiega perché le ONG non sono taxi del mare

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-06-27

Nella richiesta di archiviazione per l’accusa di associazione a delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione nei confronti della Sea Watch i pm di Palermo spiegano come le operazioni di salvataggio avvengano nel rispetto delle normative. E sottolineano come allo stato attuale non esista un’area SAR libica ufficialmente riconosciuta

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Abbiamo assistito a mesi e mesi di campagna elettorale dove i due partiti di maggioranza si sono impegnati a criminalizzare il lavoro delle Ong. Il vicepremier Di Maio le ha definite taxi del mare e ha pure provato a negare di averlo mai detto. Altri invece – ed è il caso del ministro dell’Interno Salvini – le hanno soprannominate “vicescafisti“. Tutto in nome di rapporti e inchieste che avrebbero dovuto dimostrare il ruolo preponderante delle Ong nel far arrivare in Italia migranti e rifugiati. I dati, quelli veri, però parlano chiaro; dei circa seicentomila migranti arrivati nel nostro Paese nel quadriennio 2014-2017 solo un sesto (poco più di centomila) è arrivato sulle navi delle Ong. Gli altri lo hanno fatto a bordo di navi della Guardia Costiera, della Marina Militare, di assetti navali delle missioni di Frontex o di imbarcazioni mercantili.

Perché la procura di Palermo ha chiesto l’archiviazione

Rimanevano le inchieste. Ma quella tolta al procuratore di Catania Carmelo Zuccaro – quelle delle “ipotesi di lavoro” sulle connivenze tra Ong e trafficanti – sulla Open Arms della Ong Proactiva è stata archiviata. L’accusa era la solita: associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. Ovvero l’accusa che il MoVimento 5 Stelle, la Lega e altri partiti sovranisti hanno mosso alle Ong. Nei giorni scorsi anche la Procura di Palermo ha chiesto l’archiviazione per l’accusa di associazione per delinquere (art. 416, comma 6, cp) e favoreggiamento dell’immigrazione irregolare (art. 12 D. Lgs 286 del 1998) nei confronti del personale di due Ong che operano nel Mediterraneo Centrale in operazioni di soccorso al largo della Libia.

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La lettura del documento della Procura di Palermo è illuminante perché fa chiarezza sul ruolo delle Ong e su come il loro operato nelle aree SAR di competenza italiana (ivi compresa la cosiddetta “area SAR libica”) si sia svolto entro il perimetro della legge italiana nonché dei trattati internazionali. La Procura osserva innanzitutto quello che andiamo spiegando da mesi: le operazioni di salvataggio da parte della Golfo Azzurro sono avvenute sotto il coordinamento del IRMCC della Guardia Costiera, con sede a Roma.

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Si ricorderà che all’epoca dei fatti le Ong vennero accusate di aiutare i trafficanti libici favorendo il recupero dei motori usati per spingere al largo i gommoni. la vicenda fu anche oggetto di un servizio di Report dove non si metteva minimamente in dubbio l’impianto accusatorio (eppure in Italia vige il principio della presunzione d’innocenza). Nella richiesta d’archiviazione la Procura scrive che alla luce delle indagini svolte «non si ravvisano elementi concreti che portano a ritenere alcuna connessione tra i soggetti intervenuti nel corso delle operazioni di salvataggio a bordo delle navi delle ONG e i trafficanti operanti sul territorio libico». In particolare «non  è emersa la prova che i soggetti che materialmente tranciarono i motori fuori dei gommoni con a bordo i migranti facevano parte della ONG “Juventa”, né d’altra parte una loro connessione di qualche tipo con i trafficanti». Insomma non ci sono prove, e non a caso né Di Maio, né Salvini né altri sono mai riusciti a trovare una prova concreta. Nessuno invece parla di come la guardia costiera libica sia coinvolta, secondo l’ONU, in operazioni di traffico di esseri umani.

Le attività di soccorso e assistenza umanitaria non costituiscono reato

Ma non c’è solo questo nella richiesta di archiviazione. Si parla anche di come la condotta delle Ong sia stata ineccepibile dal punto di vista del rispetto delle normative vigenti. La Procura innanzitutto contestualizza l’operato delle Ong spiegando che «lo Stato responsabile per una determinata area SAR ha l’obbligo di andare in soccorso e di coordinare l’operazione di salvataggio e le adeguate misure di protezione». L’intervento della Ong quindi è giustificato dalle norme del diritto internazionale anche perché – si legge – «occorre infine sottolineare come, allo stato, non vi siano acque SAR libiche ufficialmente riconosciute». Esattamente quello che abbiamo scritto qui.

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Dal momento che le persone a bordo dei gommoni erano in pericolo (a causa del sovraffollamento dei gommoni e per la presenza a bordo di donne e minori) l’intervento degli operatori di soccorso (a maggior ragione se coordinati dal MRCC di Roma) era legittimo «anche se le condizioni meteorologiche non dovessero rappresentare, al momento del salvataggio, un problema». Secondo la Procura non rappresenta un fatto di rilevanza penale nemmeno il mancato raggiungimento di altri porti di approdo più vicini al punto dei soccorsi perché il cosiddetto place of safety non deve essere individuato esclusivamente riguardo la posizione geografica (come sostengono dalle parti di Salvini) ma in base al criterio del rispetto dei diritti dei migranti. Ragion per cui, ad esempio, i migranti non possono essere rimandati in Tunisia (che non riconosce il diritto all’asilo politico), in Libia o in Niger. Paesi questi ultimi dove – come spiega l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo – non esiste un’autorità statale in grado di garantire il rispetto dei diritti umani.

Foto copertina via Twitter.com

Leggi sull’argomento: Come hanno preso Salvini e Di Maio l’archiviazione dell’inchiesta sulle ONG

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