Oltre il caso Bifolco: perché i poliziotti sparano al bersaglio grosso

di John Battista

Pubblicato il 2014-09-15

Gli strumenti di coercizione in mano alle forze dell’ordine e il loro utilizzo concreto. Che dipende da tanti fattori oltre alle circostanze contingenti. Mantenere le strutture costa, i poligoni costano, gli istruttori costano, le munizioni costano. Eppure, «Meglio un brutto processo che un bel funerale»

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Davide Bifolco è morto a 17 anni, ucciso dal colpo partito dalla pistola di un carabiniere che lo aveva inseguito dopo che il giovane non si era fermato a un posto di controllo perché il motorino sul quale viaggiava non era coperto da assicurazione (questa la tesi dei suoi amici) o forse perché si trovava in compagnia di un latitante (questo il sospetto delle forze dell’ordine). Ai magistrati tocca il compito di stabilire la verità, soprattutto se quel colpo è stato sparato di proposito o è partito accidentalmente (come l’autopsia sembrerebbe avvalorare) per cui non è opportuno sbilanciarsi fra ipotesi e illazioni intanto che le indagini sono in corso. La questione si innesta, però, in un contesto che negli ultimi mesi ha più volte riproposto la questione dell’utilizzo della forza e degli strumenti di coercizione da parte delle forze di Polizia (qua usiamo il termine Polizia nel senso più lato, includendo quindi tutti gli enti che operano nel settore, sia a ordinamento militare che civile, sia di profilo nazionale che locale) nei confronti di fuggitivi, esagitati, fermati, manifestanti.
 
QUANDO I POLIZIOTTI USANO LA FORZA[pullquote]Meglio un brutto processo che un bel funerale[/pullquote]
E’ un problema molto complesso, perché le situazioni che possono presentarsi davanti a un operatore di Polizia sono molteplici ed è ben difficile regolamentarle preventivamente: dall’assassino con il coltello in mano al giovane esagitato, dal folle con il machete al manifestante con l’estintore. Spesso persino il volto e la natura della minaccia non sono chiari. Pensiamo a un inseguimento al buio, a un luccichio che non si capisce se è una pistola puntata, un coltello impugnato o semplicemente un mazzo di chiavi, a una maglietta troppo larga che può coprire un porta-telefonino così come una fondina… tantissime incognite, pochissimi secondi per decidere. La morte può giungere all’improvviso. Lo sanno bene i familiari di Davide Turazza, l’agente delle Volanti ucciso a Verona nel 2005 assieme al suo collega Giuseppe Cimarrusti. La famiglia aveva già perso Massimiliano, fratello di Davide, anche lui poliziotto, ucciso da un rapinatore. E’ per storie come questa che tra il personale delle forze dell’ordine (e non solo) è diffuso il detto secondo cui “è meglio un brutto processo che un bel funerale”. Che non significa solo sparare per primi, ma anche prepararsi al peggio, con l’arma impugnata e il colpo in canna, situazione che aumenta notevolmente il rischio di un errore o di tragico incidente.
 
FORMAZIONE ED EQUIPAGGIAMENTO[pullquote]…i poligoni costano, gli istruttori costano, le munizioni costano…[/pullquote]
C’è poi un problema di addestramento e di aggiornamento. Quando i sindacati dei poliziotti protestano per i tagli e per l’assenza di turn over, non lo fanno per una questione di bottega. Meno soldi e meno agenti significano che il personale non può essere addestrato e aggiornato a dovere. Mantenere le strutture costa, i poligoni costano, gli istruttori costano, le munizioni costano. Quando il personale non basta nemmeno a coprire i servizi prioritari, non si riesce a inviarne un’aliquota, a rotazione, ai corsi di aggiornamento. Ed ecco che quando tempo e risorse scarseggiano, gli istruttori devono operare delle scelte e privilegiare l’addestramento “salva vita”. Nel tiro, questo significa addestrare a sparare contro il “bersaglio grosso”, per aumentare le probabilità di mettere a segno il colpo, di salvare la pelle, di limitare il rischio che un colpo mancato finisca per uccidere un passante innocente. Per questa ragione, i bersagli standard utilizzati nel tiro pratico di addestramento sono questi:

Bersaglio
Bersaglio standard dopo esercitazione in un poligono di Polizia

C’è solo il busto, non sono raffigurati gli arti inferiori, e il punteggio massimo si ottiene sparando contro il tronco che è anche la superficie maggiore e quindi più facile da colpire ed è lì che il tiratore ha indirizzato tutti i suoi colpi. Non si può rischiare che, per tentare di colpire una gamba o un braccio, il colpo vada a vuoto: le armi in dotazione ai poliziotti sono armi da guerra, in calibro 9 Parabellum. La pallottola è camiciata (ossia rivestita di metallo duro), ogivale (quindi a punta) e viaggia a varie centinaia di metri al secondo. Il suo potere di penetrazione è elevatissimo, può trapassare un tessuto molle da parte a parte e continuare a viaggiare e anche a rimbalzare per centinaia di metri conservando gran parte della sua letalità. E questo chiama in causa un altro aspetto: gli equipaggiamenti. Mancano strumenti che consentano di dosare l’uso della forza. Ad esempio, gli spray al peperoncino, i Taser, i fucili a pompa (che possono essere caricati con munizionamento non letale). Se consideriamo tutti gli aspetti descritti (che sono solo una parte dei tanti), aggiungiamo che non ci sono risorse per garantire un sistema di sorveglianza psicologica dei poliziotti (che consenta di individuare situazioni di stress psico-fisico o emotivo, alterazioni dell’equilibrio mentale e del comportamento) e consideriamo pure che in Italia abbiamo qualcosa come 350.000 appartenenti a varie forze di Polizia armate, senza contare i militari (che pure partecipano al controllo del territorio), è quasi un miracolo che incidenti e problemi non siano all’ordine del giorno e restino, tutto sommato, casi abbastanza isolati. La situazione, però, si va deteriorando progressivamente e peggiorerà moltissimo se non si assicurano al sistema sicurezza le risorse e gli investimenti necessari per i poliziotti. E proprio le risorse non ci sono: tutti i comparti pubblici e privati lamentano di essere allo stremo e nessuno è disposto a subire ulteriori tagli.
 
UNIFICARE LE FORZE DI POLIZIA?[pullquote]In termini di proporzione rispetto alla popolazione, siamo il terzo paese al mondo[/pullquote]
Eppure una soluzione ci sarebbe ed è quella che uno dei sindacati di Polizia, il S.A.P., va proponendo da mesi: unificare le forze di Polizia. In Italia abbiamo la Polizia Municipale, la Polizia Provinciale, la Polizia Forestale, la Polizia Penitenziaria, la Polizia di Stato, i Carabinieri, la Guardia di Finanza, per non parlare dei vari istituti di vigilanza privata. Un carrozzone enorme, che richiede strutture logistiche e amministrative ridondanti e costose. E’ per questo che abbiamo un numero di appartenenti alle forze di polizia tra i più alti al mondo. In termini di proporzione rispetto alla popolazione, siamo il terzo paese al mondo come poliziotti, preceduti solo dalla Russia e dalla Turchia (statistiche ONU del 2013). Tuttavia gran parte di questa forza è assorbita dagli apparati logistici e amministrativi e non contribuisce al controllo del territorio e alla sicurezza in senso stretto.
Poliziotti per 100.000 abitanti
Poliziotti per 100.000 abitanti

Un lusso che non ci possiamo più permettere, con i tempi che corrono, eppure le resistenze sono tantissime, probabilmente perché le poltrone in gioco sono tante e nessuno ha intenzione di rinunciare alle proprie. In Austria, in Belgio, in Francia, in Germania, in Spagna, ci si è mossi o ci si sta muovendo seriamente e velocemente in questa direzione, perché non dovremmo fare altrettanto? I risparmi che potremmo ottenere non sono pochi: parliamo di miliardi di euro all’anno. Soldi da reinvestire nella formazione del personale, nell’addestramento, negli equipaggiamenti. Si può fare, basta volerlo davvero.
(L’autore è poliziotto in servizio a Bari e sindacalista del SAP)

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