Perché Nigel Farage ha fatto un "passo di lato"?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-07-06

Non affrettatevi a dire addio Boris Johnson e Nigel Farage, l’obiettivo vero dei due sono le general elections del 2020 dove vorranno proporsi – di nuovo – come salvatori della patria

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«It ain’t over ’til it’s over» diceva Rocky Balboa parafrasando Babe Ruth e nel Regno Unito i giochi per il Trono di Spade non si sono certo chiusi con il ritiro di Boris Johnson dalla corsa per la candidatura a leader del partito Conservatore e il passo indietro di Nigel Farage che ha annunciato di volersi dimettere da leader dell’UKIP. Molti potrebbero aver tirato un sospiro di sollievo vedendo i due principali promotori della causa dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea ritirarsi dalla scena politica, ma la realtà delle cose è ben diversa.

Nigel Farage: l’uomo del destino

La mossa di Farage e Johnson è vile, tant’è che c’è chi ha paragonato l’addio di Farage alla politica (ma non al suo seggio da europarlamentare) come la proverbiale fuga del topo che abbandona la nave che sta affondando. Il che però non è del tutto esatto, perché l’UKIP al momento non sta affatto affondando, il Paese invece potrebbe essere sull’orlo di una recessione ma questo non riguarda Farage che non è eletto al Parlamento britannico e che quindi non ha alcun potere di manovrare quello che accadrà da qui ai prossimi due o tre anni. Possiamo dormire sogni tranquilli: vedremo ancora Farage agitarsi sui banchi dell’EFDD all’Europarlamento, almeno fino a fine legislatura. E non è escluso che Farage ritorni sui suoi passi, del resto non è la prima volta (è la terza) che annuncia le dimissioni: le aveva promesse anche all’indomani della sconfitta (un solo seggio nonostante il 13%) alle politiche inglesi del 2015 e sappiamo poi come è andata a finire. Nel frattempo i Tory dovranno trovare il modo per limitare i danni a breve termine della Brexit, e soprattutto dovranno tentare di portare il Paese fuori dall’Unione senza autodistruggersi. Farage ha detto di aver vinto la sua storica battaglia per far tornare l’Inghilterra di nuovo grande e quindi come Cincinnato se ne torna a curare il suo orticello dopo aver “salvato” il Paese. Piccolo problema: la narrazione storica vuole che Cincinnato sia stato chiamato una seconda volta al governo di Roma. Ed è possibile che sia quello che ha in mente anche l’ex-leader dell’UKIP, lasciare agli altri la gestione del disastro che si sta per abbattere sul Regno Unito ed arrivare fresco fresco alle prossime elezioni politiche nel 2020. Ed è lì che Farage punta ad arrivare, convinto com’è che potrà approfittare di quello che succederà nei prossimi anni. Se il governo temporeggerà sulla Brexit potrà tornare a ricordare agli elettori che i politici hanno tradito il mandato popolare e chiedere di nuovo l’indipendenza dalla UE. Se l’uscita non sarà indolore (e non lo sarà) potrà dire che lui avrebbe negoziato un accordo migliore. E del resto nessuno potrebbe smentirlo perché l’UKIP a Westminster ora non conta nulla e difficilmente potrebbero accusarlo di non aver fatto abbastanza. In ogni caso Farage potrà tornare, se lo vorrà, e proporsi come l’uomo che – di nuovo – salverà la patria, dopo averla guidata verso la liberazione dalle pastoie dell’Unione sarà pronto a promettere di farla uscire definitvamentedalla recessione. Di fatto Farage ha giocato tutte le sue carte e ha messo sotto scacco un intero continente, razionalmente l’annuncio delle dimissioni è l’unica cosa che poteva fare, visto che oggi (ma non fra quattro anni) non ha nessuna speranza di guidare l’uscita del Paese dalla UE, semplicemente perché – oggi – non ha i numeri in Parlamento per farlo. Ma domani chissà.

Boris Johnson 2020, il ritorno

Leggermente diversa è la partita che sta giocando Boris Johnson; il suo partito politico è al governo, e lo sarà anche ad ottobre quando verrà eletto il nuovo segretario e futuro premier. Dal momento che è poco probabile che si vada ad elezioni anticipate visto che non è mai successo negli ultimi trent’anni, nemmeno quando la Thatcher dovette dare le dimissioni e le succedette John Major che rimase in carica fino alle successive. Non bisogna commettere l’errore di pensare che l’Inghilterra sia come l’Italia, perché le maggioranze parlamentari sono molto più stabili: negli ultimi trent’anni i britannici hanno avuto solo cinque diversi Premier (la Thatcher, Major, Blair, Brown e Cameron), fante un conto di quanti ne sono stati nominati da noi nello stesso periodo di tempo. I conservatori inoltre hanno numeri sufficienti per continuare ad essere la maggioranza parlamentare. Di fatto i Tories dovranno farsi piacere il nuovo capo del partito e dargli la fiducia in aula. A quel punto il Premier avrà in mano la patata bollente della Brexit e dovrà condurre i negoziati con il Consiglio Europeo. Negoziati che non saranno brevissimi, nonostante quello che auspica una delle candidate alla leadership Andrea Leadsom (che guarda caso ha ottenuto il sostegno di Boris). Questo è lo scenario del prossimo futuro e Johnson ha capito che la mossa di Cameron e l’entrata in gioco di altri candidati più graditi al partito lo avrebbe condannato ad una sonora sconfitta. Visto che nemmeno l’ex-sindaco di Londra siede al Parlamento britannico la mossa più saggia – dal suo punto di vista – è aspettare le prossime elezioni per candidarsi alla guida del partito. A quel punto potrà agevolmente raccogliere i cocci di una formazione politica sull’orlo di una crisi di nervi e tentare una vera scalata. A differenza di Farage però Johnson dovrà darsi molto più da fare per rimanere a galla; mentre l’ex-leader dell’UKIP infatti può contare sul palcoscenico dell’Europarlamento per continuare a pungolare il Governo Johnson dovrà inventarsi qualcosa per non scomparire del tutto dalla scena politica inglese.

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