Perché il crollo del rublo fa male all'Europa (e all'Italia)

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2014-12-17

Nel complesso degli scambi mondiali l’euro si rafforza. Il contrario di quello che voleva la BCE. E così l’export italiano va in difficoltà. La crisi provocata da sanzioni e crollo del petrolio sta mettendo in ginocchio Putin. Ma anche gli altri

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Il crollo del rublo non fa bene alla Russia, ma nemmeno all’Europa e all’Italia. Il combinato disposto di crollo dei prezzi del petrolio e sanzioni sta mettendo in difficoltà Putin: ieri la valuta nazionale è arrivata a oltre 100 rubli per un euro prima di attestarsi a 97,02 e risalire ancora in serata fino a 84,55. Numeri che comunque fanno paura se si pensa che solo ai primi di settembre il cambio si aggirava sui 40 a 1. Risparmi e stipendi sono dunque crollati e i russi cominciano a rivivere l’incubo del 1998, l’anno del default, il punto più basso sul piano economico e sociale della breve storia della Russia post-comunista. La mossa della banca centrale russa è apparsa tardiva e inefficace, mentre la Sberbank, la più grande banca del Paese, ha deciso di sospendere mutui e prestiti e Gazprom ha annunciato di avere allo studio tagli del 40% del suo budget.

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Il crollo del rublo (La Repubblica, 17 dicembre 2014)

WHERE IS YOUR PUTIN NOW?
E se l’America ha il diritto di dire “Where is your Putin now?”, l’Europa non ha nulla da ridere. Soprattutto se guarda cosa sta succedendo all’euro, la cui complessiva svalutazione, secondo le intenzioni della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea avrebbe dovuto aiutare l’export anche e soprattutto nei paesi in difficoltà come l’Italia. Spiega Federico Fubini oggi su Repubblica:

È stata una delle poche buone notizie di un 2014 in cui l’Europa ha mancato la ripresa e ha visto la dinamica dei prezzi finire in ibernazione a quota zero. Un moneta più debole può aiutare molto, in una situazione del genere. Facilita l’export di prodotti europei verso il resto del mondo, perché ne rende i prezzi più competitivi in valuta locale, dunque favorisce l’occupazione, i consumi e gli investimenti in Europa. Ha anche un altro effetto, che la Bce persegue ormai quasi apertamente: rendendo un po’ più cari i beni importati, può impedire che l’indice dei prezzi crolli in una deflazione nella quale famiglie e imprese bloccano consumi e investimenti nell’attesa di prezzi più bassi domani.

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L’export italiano verso la Russia in calo (Il Sole 24 Ore, 17 dicembre 2014)

 
Se questo era il contributo che il tasso di cambio doveva portare, non sta solo venendo meno nel pieno del terremoto finanziario russo. Si sta invertendo nel suo contrario, e diventa un ostacolo in più nella lotta contro la deflazione:

L’indice della moneta unica pubblicato dalla Bce, ponderato in proporzione sulle valute delle economie con le quali l’Europa commercia, mostra che da fine settembre il valore dell’euro sul resto del mondo si è apprezzato dell’1,5% anche mentre la moneta unica accelerava la caduta sul dollaro. In altri termini, gli europei hanno avuto l’illusione di una svalutazione della loro moneta perché si sono concentrati sul valore relativo al biglietto verde. Da fine settembre però accade il contrario: nel complesso degli scambi mondiali, l’euro si sta rafforzando.

Un rafforzamento che non ci voleva proprio, in questo momento. La crisi di Mosca zavorra infatti le esportazioni, l’export in Russia delle imprese italiane cala del 15% ad ottobre 2014, quando l’effetto valuta ancora non c’era, e numeri peggiori si attendono per novembre e dicembre. Claudio Marenzi di Sistema Moda Italia dice al Sole 24 Ore che «se le cose non cambiano, il sell in del nostro settore in Russia potrebbe scendere del 50%», mentre Federlegno si aspetta numeri ancora più duri.

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Il cambio euro/rublo e la corsa del petrolio (Il Sole 24 Ore, 17 dicembre 2014)

UNA CRISI PROVOCATA

Bisogna ricordare che l’effetto odierno è dovuto a una serie di fattori assolutamente sotto il controllo di Europa e Usa, e che va nell’ottica di punire Putin per l’Ucraina. Le diplomazie dei Paesi occidentali, dopo aver introdotto sanzioni commerciali che sembravano di dubbia efficacia, hanno fatto un ragionamento: metà del bilancio di Mosca viene finanziato con i profitti che ne derivano, nasce così l’idea che una discesa del prezzo del petrolio -alimentata dagli Usa e concessa dagli amici Sauditi – possa mettere in difficoltà l’economia russa più di una escalation militare. Il bilancio di Mosca soffre e i mercati reagiscono vendendo rubli. Per quanto questo possa aiutare le esportazioni, la svalutazione fa salire anche il costo di tutto ciò che viene importato. Così aumenta l’inflazione. Per quanto la Russia sia un grande Paese, la ricchezza è mal distribuita: 110 persone detengono circa l’85% della ricchezza. In altre parole l’intera popolazione si spartisce le briciole e l’aumento del costo della vita ha un impatto pesante: la Banca centrale di Mosca tenta allora di contenere l’inflazione alzando i tassi e cerca di limitare la svalutazione della moneta vendendo dollari ed euro delle proprie riserve. Da inizio anno però, a forza di vendere divise occidentali, la Banca centrale sta esaurendo le proprie riserve valutarie e non può certo stampare dollari o euro, ma neanche rubli (visto che vuole contenere la svalutazione). Così ha provveduto ad alzare sempre di più i tassi, portandoli ieri da 10,5% a 17% in un colpo solo. Ma a poco serve incentivare il risparmio in un paese dove i poveri sono troppo poveri per farlo e i ricchi troppo furbi per cascarci.
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E LA RIPRESA EUROPEA?
L’attuale contesto finanziario a Mosca e dintorni desta preoccupazione – se non addirittura panico – tra i risparmiatori, che si affrettano a comprare valute straniere temendo un tracollo del rublo che polverizzi i loro risparmi. L’uomo forte di Mosca ieri non ha pronunciato una sola parola sulla crisi economica, ma i russi si attendono da lui delle risposte concrete in una conferenza stampa fissata per giovedì prossimo. Intanto, dopo un vertice di emergenza nella residenza del premier Dmitri Medvedev a Gorki, il ministro dell’Economia Alexiei Uliukaiev ha annunciato delle non ben precisate misure per stabilizzare la situazione. E ha dato così anche una boccata d’ossigeno al rublo, che ha permesso di tornare a scambiare l’euro a 87 rubli e il dollaro a 70: valori comunque ben più alti di quelli – già da record – registrati ieri in chiusura, cioé 78,87 rubli per un euro e 64,44 per un dollaro. E c’è già chi traccia dei paralleli con la terribile crisi del 1998 e addirittura chi – come il professor Vasilii Solodkov, della scuola superiore di economia – intravede un rischio default «se la banca centrale userà tutte le riserve valutarie e se contemporaneamente proseguirà il calo del prezzo del petrolio». Di certo l’instabilità del rublo fa diventare inverosimile la proposta di Putin di usare la valuta russa come moneta di riferimento nelle transizioni con i Paesi asiatici (Cina e India in primis). Ma taglia anche le gambe all’eventualità di una ripresa europea. E a quella italiana.
Foto copertina e interno: freakingnews.com

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