"Io, maschio, vorrei essere una femmina per…": il nuovo caso Gender nel libro per bambini

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2015-11-03

Se la paura per il diverso nasce dall’ignoranza alla Lega fa comodo alimentare con falsi allarmi questa paura per avere più voti

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Ennesimo allarme gender sull’Internet, alla centrale operativa di NeXtquotidiano è arrivata una segnalazione e dopo aver indossato le nostre tutine arcobaleno e aver acceso i lampeggianti rosa siamo partiti per andare sulla scena del grimine. A denunziare il gender sono stati quelli Lega Nord, partito che da tempo ha assunto il ruolo di difensore dei genitori spaventati dai pericolo del gender. Questa volta siamo nelle Marche all’istituto comprensivo Don Bosco. Come sempre il pericolo arriva dai libri di testo in adozione (parola pericolosissima di questi tempi) nelle scuole italiane. E allora forza, prendiamoci per mano e urliamo «qualcuno pensi ai bambini!!» così li potremo salvare dai pericoli dell’ideologia gender.

Ci sono quelli che prendono una sola parte del testo e ci fanno un dramma
Ci sono quelli che prendono una sola parte del testo e ci fanno un dramma

 
Strano a dirsi ma anche questa volta si tratta di un falso allarme. Ma andiamo con ordine, in una pagina di attività (per altro non ancora svolta) di un testo approvato dal ministero si chiede agli alunni di completare una frase: “io, maschio, vorrei essere femmina per…” e “io, femmina, vorrei essere maschio per…” OMG cosa vogliono fare alle menti dei nostri figli? Li vogliono costringere ad immaginarsi del sesso opposto per omosessualizzarli, transessualizzarli e genderizzarli!1 Come si può costringere un minore a pensare cose del genere? Cose che nessuno dovrebbe nemmeno essere in grado di stampare su un libro, pena la dannazione eterna.
allarme gender
Manteniamo la calma, innanzitutto andiamo a guardare la pagina completa del libro in questione, che è questa qui:
gender libro maschio femmina marche
Si tratta quindi (ah-a!) di un’attività dove nella prima parte gli alunni raccontano cosa significa, per loro, essere maschio oppure essere femmina. Un lavoro molto semplice e interessante che non ha nulla a che fare con il gender. L’idea infatti è quella di aiutare i piccoli allievi a trovare le parole per definire le sensazioni. A quell’età infatti i bambini e le bambine non sono in grado di definire quello che hanno dentro. L’attività proposta in questa pagina (posto che è svolta con la supervisione dell’insegnante e che quindi i bambini non sono abbandonati a loro stessi) ha lo scopo molto semplice di consentire agli studenti di poter esprimere dei concetti. Un momento molto importante del percorso educativo. Non si tratta di un’educazione alla sessualità ma di un’educazione all’empatia e al rispetto per la diversità. Inoltre la domanda scritta dà la possibilità al bambino di rispondere ad un quesito che si è già posto ma che non ha mai avuto modo di poter esprimere. Quante bambine hanno invidiato che i loro compagni maschi fanno la pipì in piedi? Si pensi ad esempio che un compito del genere avrebbe potuto benissimo essere affrontato anche in un altro modo, ovvero partendo dalla provenienza degli alunni, ci sono gli italiani e ci sono gli stranieri, oppure ci sono quelli con la pelle bianca e quelli con la pelle nera. In entrambi i casi ai bambini viene insegnato a comparare le due situazioni differenti senza dover dire quale delle due è meglio ma imparano invece che le diversità possono essere compresenti. Invece di chiedere ai maschi “perché i maschi sono meglio delle femmine?” o alle femmine “perché le femmine sono meglio dei maschi?“, questioni che sono in grado letteralmente di distruggere temporaneamente l’armonia del gruppo classe si è preferito un approccio non contrastivo dove le differenze vengono valorizzate e dove si insegna il rispetto per l’altro che sia un altro di sesso diverso, che parla una lingua diversa o con il colore della pelle diversa. Incredibilmente questi ultimi due aspetti, ovvero la superiorità dell’italiano (o del padano) sullo straniero e sul terrone, sono proprio due concetti chiave del leghismo, che quando parla di migranti lo fa per tracciare un solco che separa “noi” da “loro”, innalzando muri che lasciano fuori i diversi e che quando deve rapportarsi con il dramma di coloro che muoiono nel tentativo di raggiungere le coste italiane lo fa in un modo totalmente privo di empatia, magari proponendo l’affondamento dei barconi. Ecco quindi che i vari allarmi gender lanciati dai leghisti in Lombardia, Veneto e ora anche nelle Marche non solo hanno lo scopo di fare propaganda elettorale, di proporsi come difensori dei valori della tradizione, ma rappresentano l’ultimo disperato tentativo del leghismo di matrice salviniana di potersi garantire la spinta propulsiva della paura per il diverso. Paura che nasce ovviamente dall’ignoranza. Ignoranza che si combatte anche con esercizi come questi.
 
 
 

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