Per Libero e il Giornale il razzismo non c'entra con la morte di Emmanuel Namdi

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-07-08

Per Nicola Porro l’Italia non è un paese razzista, su Libero invece parlano di una rissa da strada finita male e rifiutano di credere che ci sia un problema di intolleranza nel nostro Paese

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Ieri il Giornale e Libero non sapevano come giustificare l’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi, il rifugiato politico nigeriano scappato da Boko Haram e morto a Fermo il sei luglio in seguito alle ferite riportare durante la rissa con Amedeo Mancini. Oggi però la musica cambia, perché ieri è venuto fuori che Amedeo Mancini è uno che , racconta il fratello Simone, «tira le noccioline, quando vede un negro, ma lo fa per scherzare perché è un allegrone, ha avuto una vita difficile e a 39 anni non può neppure andare allo stadio: è diffidato». Razzista quindi, ma lo si poteva intuire anche dall’insulto rivolto alla moglie di Emmanuel, quell’insulto sprezzante – «Scimmia africana» – detto non per scherzare ma per provocare una reazione, detto non per evitare che i due “rubassero un auto” ma proprio per rimarcare la propria – presunta superiorità. Proprio come fanno generalmente i razzisti.
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Il razzismo strisciante nelle redazioni di Libero e del Giornale

Possiamo aggiungere un paio di dettagli sulla figura di Mancini che ci fanno capire meglio come in realtà sia davvero un razzista: il fatto che fosse di destra, che amasse “insultare i negri per divertimento”. Poi c’è una certa “propensione” alla violenza diversi Daspo alle spalle ed infine il fatto di aver fatto parte di un gruppo di ultras della Fermana – la Curva Duomo – che nel panorama politico delle curve calcistiche è considerata di destra (ma loro su Facebook smentiscono). Come definire quindi una persona che “come passatempo” si divertiva ad insultare “i negri”? Razzista, verrebbe da dire. E invece no, perché su Libero ci spiegano che nonostante Mancini sia accusato di omicidio preterintenzionale con l’aggravante della finalità razziale il morto è peggio dell’assassino perché sarebbe stato Emmanuel ad iniziare la rissa mentre l’italiano si sarebbe solo difeso. Il meglio sulle pagine del quotidiano diretto da Vittorio Feltri lo dà Francesco Borgonovo che punta il dito contro lo storytelling “buonista” che per spiegare “una rissa da strada finita male” arriva a parlare di cose orribili come xenofobia e razzismo e punta il dito contro certi politici responsabili di fomentare l’odio contro gli stranieri.

Non è una consolazione e nemmeno bisogna cantare vittoria: la violenza rimane, latragediapure. Un uomo, un marito è morto. Non si gioisce. Però significa che bisogna andarci piano prima di parlare di odio verso l’immigrato, di razzismo diffuso. Un conto è il pogrom, la persecuzione etnica. Un altro conto è una rissa in strada finita male.

Eppure, nota l’acuto Borgonovo, in Italia non c’è un clima di Pogrom, non assistiamo a persecuzioni o a linciaggi in piazza come invece dovrebbe senza dubbio essere se fossimo un paese razzista. Poco importa che ci siano politici e giornali, solitamente schierati a destra, pronti a denunciare i crimini degli immigrati anche quando gli immigrati non hanno colpe. Il lettore di Libero evidentemente ha bisogno di essere consolato e rassicurato e vuole sentirsi dire che provare certi sentimenti nei confronti degli immigrati e degli stranieri non è razzismo, anzi è la “naturale” reazione all’invasione (come suggeriva ieri Salvini).

È spaventosa la strumentalizzazione che i Profeti dell’Accoglienza hanno fatto della vicenda, allo scopo di dimostrare che chiunque si opponga all’immigrazione sregolata sia un propagatore di odio e, potenzialmente, un assassino.

E la vittima? Non è altro che un modo per ottenere attenzione, perché le vittime la ottengono sempre:

Di questi tempi, per ottenere attenzione bisogna essere vittime. E il nigeriano Emmanuel Chidi Namdi era la vittima ideale. Partito dal suo Paese per sfuggire alla brutale violenza
dei jihadisti di Boko Haram. Giunto in Italia tra mille peripezie, ma desideroso di «integrarsi».Aveva fatto richiesta di asilo, ma nell’attesa è stato ammazzato – così recita il
copione – da un facinoroso, un picchiatore da stadio, per un motivo orribile: era nero.

Che Mancini sia un picchiatore da stadio non lo dice il copione ma la Procura che ha descritto così l’aggressore: “un soggetto altamente pericoloso per effetto della sua natura violenta e aggressiva“. Riguardo alle vittime, è noto che Libero non ha pietà per nessuno, nemmeno per gli italiani “buonisti” uccisi a Dacca qualche giorno fa. Libero, un giornale che non fa nulla per fomentare l’odio. Per terrorizzare gli italiani sui pericoli che vengono dall’Africa. Del resto in Italia i giornali di destra non fanno proprio nulla per farci credere che gli immigrati siano tutti pericolosi terroristi, a proposito vi ricordate di quando il Giornale e Libero si inventarono di sana pianta la storia dei vù cumprà senegalesi pronti a farsi saltare in aria sulle nostre spiagge? E che dire di quando Borgonovo ci voleva vendere la bufala dell’Olanda che “si sottomette all’Islam” vietando le minigonne? Difficile dire che su certa stampa italiana non si faccia nulla per aizzare gli italiani contro gli stranieri.
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Il capolavoro di Nicola Porro

Ma tutto questo è niente in confronto al pezzo di Nicola Porro (uno che fino a poco fa conduceva un inutile programma in Rai) che punta il dito contro chi specula sulla tragedia di Fermo. Direte voi, ce l’avrà con quelli come Salvini che mentre pregano per la vittima la accusano di far parte di un esercito che sta invadendo il nostro paese! E invece no, Porro ce l’ha con quelli che parlano di razzismo tra i moventi della tragedia. Il pezzo di Porro è un piccolo capolavoro, prima paragona l’episodio del pestaggio alla morte di Beau Solomon, lo studente americano trovato morto nel Tevere, annegato dopo essere stato spinto nel fiume da un senza fissa dimora.

Un giovane americano, proprio questa settimana, è stato ucciso a Roma da un punkabbestia. Nessuno può e deve ritenere che ciò sia avvenuto per una presunta contestazione, che so, dell’imperialismo americano. È violenza allo stato puro.

Una vicenda che non c’entra naturalmente nulla, perché le circostanze sono completamente diverse ma che serve ad uno scopo: derubricare la morte di Emmanuel Namdi ad una tragica fatalità. Il gesto di un folle isolato che non c’entra nulla con il razzismo. Un po’ come quando in America qualcuno compie una strage: se è nero o musulmano è terrorismo, se è bianco è un folle isolato e non è mai terrorismo. Per Porro, che arriva addirittura a citare Hannah Arendt e la banalità del male quello di Mancini è un gesto folle ma non è razzismo perché il razzismo “è una cosa seria” impalpabile che si deposita negli atteggiamenti sociali (un po’ come le battutine sui negri “fatte per ridere”) che nulla c’entra con questo episodio di violenza brutale.

C’è una cronaca di ordinaria, ma non per questo meno condannabile, violenza. Si ripongano le armi della propaganda. Il razzismo è una cosa seria, impalpabile, si deposita negli atteggiamenti sociali con il peso impercettibile del borotalco, non con il clamore rosso della brutale e occasionale violenza di Fermo. E non si combatte con la retorica. Il razzismo può certamente sfociare nella violenza, ma ha bisogno di un brodo di cultura che lo accetti, che almeno lo tolleri.

Il motivo? Il Razzismo ha bisogno “di un brodo di cultura che lo accetti”. E guardando i commenti lasciati in giro sul Giornale, sulla pagina di Salvini e sulle decine di pagine fascio-gentiste direi che questo brodo di cultura c’è. Peccato che Porro si rifiuti di leggerli. Ma in fondo è un lavoro troppo faticoso per un giornalista come lui. Voglio aiutarlo con un breve filmato, dove si discute se “porch monkey” sia o meno un insulto razzista.
https://www.youtube.com/watch?v=dWdVwt2deY4

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