Pensioni, nel 2016 niente aumenti (tranne che…)

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-11-02

L’effetto del costo della vita azzerato e della crescita dei prezzi sotto zero porta un effetto collaterale ai trattamenti dopo il ritiro dal lavoro: niente incrementi. Tranne che per le pensioni tre volte il minimo, quelle rivalutate dalla sentenza della Consulta. La partita degli esodati ancora non è finita, dice intanto Boeri

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L’inflazione a zero ferma gli aumenti delle pensioni, tranne che per una categoria: i trattamenti tre volte superiori al minimo bloccati dalla Consulta. L’effetto del costo della vita azzerato e della crescita dei prezzi sotto zero porta un effetto collaterale ai trattamenti dopo il ritiro dal lavoro: l’ultima volta che l’indice dei prezzi al consumo ha avuto una variazione con il segno meno, ricorda oggi Luca Cifoni sul Messaggero, è stata nel 1959: questa insolita situazione è destinata, salvo sorprese, a ripetersi quest’anno: «non per l’indice principale con cui viene rilevata l’inflazione (Nic) ma per quello più antico relativo alle famiglie di operai e impiegati al netto dei tabacchi(Foi). Parametro che al di là della statistiche è fondamentale nella vita concreta perché serve tra l’altro a rivalutare pensioni e canoni d’affitto».

Pensioni, nel 2016 niente aumenti (tranne che…)

E quindi il tasso provvisorio di perequazione per il 2016, ricavato dall’indice Foi relativo ai primi mesi del 2015, è negativo fino a settembre. Anche ipotizzando una crescita nell’ultima parte dell’anno il calcolo totale dovrebbe arrivare secondo le previsioni a un -0,1%, mentre il NIC dovrebbe essere a 0,1. Quindi le pensioni dovrebbero subire una decurtazione percentuale di pari valore, anche se questo è vietato dalla legge che nel 1992 definiva il meccanismo di perequazione e parlava di aumenti e non di discese. Ci sarà quindi una rivalutazione zero:

 Così la maggior parte dei trattamenti previdenziali resterà inchiodata al valore nominale di quest’anno. Anche se concretamente la rata di gennaio isulterà di qualche euro più bassa di quella di dicembre. Questo perché insieme alla rivalutazione provvisoria (nulla) per il 2016 verràapplicata anche quella definitiva per il 2015, a svantaggio dei pensionati: a inizio anno infatti era stato riconosciuto un adeguamento al costo della vita pari allo 0,3 per cento, totale per gli assegni più bassi e parziale in base a percentuali decrescenti per gli altri. L’andamento effettivo dei prezzi è però risultato ancora più freddo del previsto e il tasso definitivo è stato fissato nello 0,2 per cento. Il decimale in più sarà trattenuto, se non ci saranno disposizioni diverse, con i cedolini di gennaio e febbraio.
Ad esempio una pensione pari nel 2014 a 1.000 euro lordi al mese dovrà restituirne 13. Una parziale eccezione al congelamento delle pensioni riguarderà quei trattamenti superiori alle tre volte il minimo(circa 1.500 euro lordi al mese) che in base alla sentenza della Cortecostituzionale della scorsa primavera devono ricevere anche sull’assegno 2016 – secondo le modalità fissate dal governo una parte della rivalutazione relativa agli anni 2012 e 2013 che era stata a suo tempo cancellata con il decreto salva-Italia del premier Mario Monti. Per questi pensionati, dopo lo scatto di agosto, l’assegno sarà ancora rialzato di una manciata di euro a parziale recupero di quanto perso in precedenza; ma poi su questa base non sarà applicata la rivalutazione, mentre i conteggi fatti dall’Inps nel giugno scorso ipotizzavano per il 2016 una perequazione pari allo 0,4 percento.

Un problema in qualche modo simile era stato già affrontato dal governo quest’anno, quando è emerso che sarebbe risultato negativo il tasso di rivalutazione del montante delle pensioni contributive, legato non all’indice dei prezzi al consumo ma al Pil nominale pesantemente condizionato dalla crisi economica. Alla fine la decisione fu di escludere, per legge,variazioni negative.

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Gli assegni delle pensioni (Corriere della Sera, 21 ottobre 2015)

La partita degli esodati

Una situazione che si va a intrecciare con la partita degli esodati. A lanciare l’allarme il presidente dell’Inps Tito Boeri, secondo il quale “non tutto è risolto” con la settima salvaguardia, e c’è “un rischio strascico”. Boeri in una lunga intervista televisiva fa il punto su tutto il capitolo pensioni e rilancia anche l’idea di un drastico tagli ai vitalizi dei politici. Sugli esodati quello messo in campo dal governo con la manovra è un nuovo intervento “parziale”, che aggiungerà costi a quelli già “alti” sostenuti finora, senza risolvere la questione, come invece aveva annunciato il ministro Giuliano Poletti, avverte Boeri: “già ci sono forti pressioni per una ottava salvaguardia”. “Se sarà necessario la faremo”, ribatte il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano, ricordando che proprio dai calcoli dell’Inps “rimangono esclusi altri 20mila circa”. L’ex ministro dissente dal presidente dell’Inps anche sulle risorse: “Gli 11,6 miliardi” spesi finora per le prime sei salvaguardie sono serviti a porre “un parziale riparo agli errori della riforma delle pensioni voluta dal Governo Monti, quando non si è tenuto conto di alcuna gradualità”. E ora la settima salvaguardia, per circa 31mila esodati, è ‘coperta’ grazie ai risparmi su quelle precedenti, senza stanziamenti aggiuntivi. Una risposta strutturale, per Boeri, dovrebbe occuparsi anche dei “veri esodati”, chi cioè è stato “semplicemente licenziato, tra i 55 e i 65 anni”. E la soluzione, oltre a forme di sostegno al reddito, è quella della “flessibilità in uscita” ma “equiparando chi va a 63 e chi va a 67 anni. Per farlo dobbiamo dare una pensione più bassa a chi va in pensione prima”. Un principio ben presente nell’esecutivo, che aveva valutato la possibilità di muoversi in questa direzione già in legge di Stabilità, salvo poi decidere di dedicarsi alle pensioni con un provvedimento ad hoc il prossimo anno, dopo aver ben vagliato le possibili soluzioni e le risorse necessarie. Risorse che si potrebbero reperire, rilancia Boeri, anche chiedendo un contributo, pure “limitato, parziale”, a chi “ha importi elevati e ha goduto di trattamenti di favore”.
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In tutto si tratterebbe di una platea ridotta “circa 200mila persone”, compresi i politici. Per loro Boeri immagina, e aveva proposto a giugno a Matteo Renzi, “una riduzione che arriva anche fino al 50%, su vitalizi sopra gli 80-85mila euro all’anno”. Il governo faccia presto la riforma, è il messaggio che manda Boeri. E proprio la flessibilità in uscita sarà uno dei temi caldi in Parlamento, di cui è probabile che il premier parlerà di nuovo con il ministero Pier Carlo Padoan domani, prima che si entri nel vivo dell’iter della legge di Stabilità. Incontro che servirà a fare un punto sulle prime richieste di modifica, prima dell’incontro di martedì con i parlamentari Dem. Intanto da domani partiranno le audizioni con cui si faranno più chiare anche le richieste delle categorie e delle parti sociali, a partire dalle risorse per il pubblico impiego, considerate insufficienti dai sindacati che già hanno annunciato mobilitazione e una manifestazione a fine mese. L’incontro coi gruppi del Pd, comunque, potrebbe già essere l’occasione nella quale fare capire quali sono i punti su cui ci saranno reali aperture. Uno dovrebbe essere il Mezzogiorno. L’altro potrebbe essere quello dei money transfer – il circuito parallelo alle banche che permette di inviare denaro in qualsiasi parte del mondo, utilizzato in prevalenza dagli stranieri ma anche da chi fa riciclaggio – che, al momento, godono del generalizzato aumento della soglia del contante da mille a 3mila euro. “Una svista” da correggere, dice il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti, ricordando “che anche quando il tetto generale era a 12.500 euro, per i money transfert era previsto un tetto di 2.000.

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