Il PD e il guaio dei fondi pubblici usati per il sì al referendum

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-10-23

I fondi con cui è finanziata parte della campagna di comunicazione per il referendum sono quelli dei gruppi parlamentari. Ma è lecito che siano spesi in questo modo?

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Paola Zanca sul Fatto Quotidiano racconta oggi del manifesto Basta un sì “pagato” da deputati e senatori PD, nel senso che i fondi con cui è finanziata parte della campagna di comunicazione per il referendum sono quelli dei gruppi parlamentari. Ma è lecito che quei fondi siano spesi in questo modo?

Ogni anno vengono ripartite tra le forze politiche elette in Parlamento risorse destinate soprattutto alla retribuzione dei dipendenti. Il Pd alla Camera, per dire, in questa legislatura spende in stipendi circa 11 milioni di euro dei 14 che riceve ogni anno. Il resto può essere usato, tra le altre cose, per promuovere le attività realizzate durante il mandato parlamentare: per intenderci, la Buona Scuola, il Jobs Act e così via. A febbraio, quando il governo Renzi ha compiuto due anni, sono stati i gruppi a finanziare la campagna Era un impegno. Ora è realtà, ovvero le slide con i risultati raggiunti da Palazzo Chigi, ovviamente transitati –m agari di fretta –anche per le aule del Parlamento.
VALE LO STESSO anche per la riforma costituzionale? Se lo domanda il capogruppo diSinistra Italiana alla Camera, Arturo Scotto, che venerdì si è rivolto ai Questori di Montecitorio per chiedere se “le spese eventualmente sostenute dai gruppi per le campagne referendarie”siano “inerenti”alle finalità previste dal regolamento sull’uso dei fondi destinati ai gruppi. Alcuni manifesti della campagna del Pd infatti, più che promuovere i contenuti della riforma, fanno campagna elettorale, indicano la data della consultazione e danno indicazioni di voto.

basta un sì campagna
E quindi ora i questori dovranno decidere chi pagare:

Nell’ultimo rendiconto, quello chiuso a fine 2015, i dem avevano messo le mani avanti: “Il 2016 è per il Gruppo un anno importante e decisivo” perché “sarà impegnato nel referendum costituzionale” (…) “Saranno previste campagne d’informazione e a tal fine utilizzeremo, oltre che i soliti mezzi d’informazione, anche la consulenza di autorevoli esperti ” (vedi il comunicatore Jim Messina). Le spese “referendarie” rendi contate sul sito del gruppo Pd del Senato da maggio ad agosto 2016 si aggirano sugli 80 mila euro. Ora i questori diranno chi deve pagare.

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