Pier Carlo Padoan e la battaglia della flessibilità

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-05-12

Il ministro torna a dare lezioni di economia all’Europa dopo la risposta del 2014 alla Commissione riguardo il Pil potenziale dell’Italia: «Una politica di bilancio più restrittiva non solo ridurrebbe la crescita dell’economia e aggraverebbe le pressioni deflazionistiche, ma renderebbe più difficile la stessa riduzione del debito»

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In vista del giudizio sul rispetto del Patto di stabilità per il 2015, in arrivo il 18 maggio assieme alla risposta sulla flessibilità, l’Italia prova a rassicurare la Commissione europea preoccupata dal suo debito elevato. Convincere la Ue è necessario per fugare il rischio di una procedura che nessuna delle due parti vuole che si concretizzi. Ma, per farlo, c’è bisogno di argomentazioni convincenti che aiutino Bruxelles a ‘interpretare’ al meglio le regole, evitando di applicare alla lettera quella rigida disciplina che non vedrebbe alternativa alle sanzioni visto che l’Italia, nel 2015, è in conclamata violazione della ‘regola del debito’. E’ per questo che il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan ha inviato una lettera a Bruxelles, accompagnata da un articolato documento che illustra i ‘fattori rilevanti’ alla base dell’andamento del debito. Fattori che, secondo l’Italia, giustificano gli scostamenti dagli obiettivi. Il problema è tutto nel target di riduzione del debito, espresso in termini di ‘sforzo strutturale’.

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Padoan e la battaglia della flessibilità (Corriere della Sera, 12 maggio 2016)

Pier Carlo Padoan e la battaglia della flessibilità

La Commissione si aspettava dall’Italia per il 2015 una riduzione del deficit strutturale di 0,2%, e invece lo scorso ottobre ha preso atto che lo sforzo è stato di appena 0,1%. Nel 2016 aveva chiesto 0,1%, e invece il saldo strutturale è peggiorato di 0,7%. Con la conseguenza che il debito non ha seguito la traiettoria di discesa concordata, ma è invece rimasto fermo al 132,7%. Per Padoan ci sono buoni motivi, o ‘fattori rilevanti’, che Bruxelles dovrebbe tenere in considerazione. Prima di tutto, la dinamica dei prezzi e la pressione deflazionistica che rendono il rispetto della regola del debito “particolarmente impegnativo”. C’è poi da tenere conto dell’impatto negativo che avrebbe una politica di consolidamento più marcata in condizioni di bassa crescita, della differenza di calcolo dell’output gap che penalizza l’Italia e “impatta severamente sulla valutazione del rispetto del Patto di stabilità”, e delle riforme strutturali che migliorano il potenziale di crescita dell’economia, ma che nella fase iniziale di attuazione comportano dei costi. Padoan invita anche a considerare elementi di virtuosismo delle finanze pubbliche del Paese, come l’evoluzione dell’avanzo primario e la sostenibilità di lungo periodo del debito. “Siamo fiduciosi che questi elementi siano tenuti nella dovuta considerazione dalla Commissione”, scrive il ministro. Bruxelles, che aveva già scritto all’Italia il 2 maggio scorso chiedendo di illustrare proprio i ‘fattori rilevanti’, ha ricevuto la missiva ma non si pronuncerà fino al 18 maggio. Nel frattempo, proseguirà il confronto con le autorità italiane per cercare una soluzione sul 2015 che non aggravi le richieste al Paese. Come invece dovrebbe succedere con Spagna e Portogallo, contro cui la Commissione sarebbe intenzionata ad aprire una procedura sanzionatoria per mancato rispetto della riduzione del deficit. Il Corriere della Sera dettaglia il documento di 80 pagina che Padoan ha inviato in risposta alla commissione:

Secondo lo studio trasmesso a Bruxelles, se nel 2017 dovesse essere varata una manovra correttiva di mezzo punto di Pil, cioè una riduzione del deficit di 8 miliardi, il rapporto debito/Pil salirebbe anche nel 2016 e inizierebbe a scendere un anno dopo, e con ritmi più lenti. Nella lettera alla Commissione il Tesoro si sofferma a lungo sui metodi usati a Bruxelles per valutare le condizioni strutturali della finanza pubblica, e le conseguenti politiche di bilancio, che sono ritenuti estremamente penalizzanti per l’Italia. Alla base c’è un diverso metodo di calcolo del prodotto potenziale, contestato senza mezzi termini dal governo, e che se fosse aggiornato e migliorato produrrebbe risultati assai diversi. E migliori: il deficit strutturale del 2015, ad esempio, sarebbe stato di appena lo 0,1% (quindi di fatto in pareggio di bilancio), contro l’1% calcolato da Bruxelles. Nel 2016 e nel 2017 sarebbe pari allo 0,7% e allo 0,6% del Pil (e non dell’1,7% nei due anni come dice l’Unione Europea).

Le lezioni di economia di Padoan all’Europa

Le osservazioni di Padoan sono le stesse contenute nella bozza di bilancio del 2014 inviata alla Commissione di cui abbiamo parlato. Scriveva all’epoca il Ministro nella bozza mandata alla Commissione:

Le analisi empiriche mostrano che in Italia il NAWRU [tasso di disoccupazione non inflazionistico, ndt] stimato dal modello tende a seguire le variazioni della disoccupazione ciclica. Nello scenario attuale, caratterizzato da un aumento prolungato del tasso di disoccupazione, la stima del NAWRU è quindi superiore a quella ottenuta tenendo conto dell’impatto di fattori congiunturali; nei paesi che hanno sperimentato un particolarmente pesante declino cumulativo del PIL, il modello offre risultati improbabili: ad esempio in Spagna il tasso di disoccupazione non inflazionistico di equilibrio sarebbe vicino al 21 per cento. Più grande è il valore del NAWRU, minore è il [PIL] potenziale; per quanto riguarda la politica fiscale, durante recessioni prolungate e intense vi è il rischio concreto che il modello sovrastimi i deficit strutturali.
Per stimare il NAWRU, il modello sfrutta la relazione dinamica tra il salario e il tasso di disoccupazione (curva di Phillips); ma in un ambiente di tassi di interesse storicamente bassi e prezzi deboli, questa relazione sembra aver perso significato, probabilmente riflettendo un break strutturale.
Anche supponendo effetti significativi di isteresi [la tendenza dell’economia a risentire degli effetti di una crisi una volta che questa sia alle spalle, ndt], sembra che una riduzione da 1,4% a -0,2% del tasso di crescita del PIL potenziale – dal periodo prima a quello dopo la crisi – sia particolarmente grande. Per esempio, assumendo dal 2008 una significativa diminuzione del tasso di crescita del PIL potenziale, ma non così marcato come quello stimato dal modello – per esempio, dall’1,4 allo 0,4 per cento, piuttosto che -0,2% – il saldo di bilancio strutturale avrebbe praticamente raggiunto l’obiettivo a medio termine, già nel 2012.

E qui Padoan mostrava un grafico che la dice tutta su come l’UE ci stia costringendo ad una inutile austerità.

Verde: deficit/surplus dell'Italia calcolato dall'UE; in arancio: deficit/surplus secondo Padoan
Verde: deficit/surplus dell’Italia calcolato dall’UE; in arancio: deficit/surplus secondo Padoan

 
Le colonnine verdi rappresentano il deficit strutturale calcolato secondo il modello UE, supponendo che il Pil potenziale decresca mediamente dello 0,2% l’anno, un’ipotesi che Padoan giudica irrealistica. Quelle arancio lo stesso deficit calcolato tenendo conto di un tasso di crescita del Pil potenziale modestissimo, ma almeno positivo, lo 0,4% l’anno invece dell’1,4% del periodo pre-crisi. Il risultato è chiaro: non solo nel 2012 abbiamo raggiunto il pareggio strutturale (come richiede il Fiscal Compact) ma dal 2013 siamo addirittura in avanzo. Se la Commissione UE facesse propri questi numeri, ben più realistici eppure molto prudenti, non staremmo combattendo per qualche decimale di “flessibilità”. In base a ciò Padoan sembra intenzionato a insistere sul rinvio del pareggio di bilancio. Per il ministro, in realtà, il pareggio strutturale è già raggiunto, mentre per la commissione no. E il documento, per rafforzare il concetto, spiega anche che i decisori politici devono prendere le stime del Pil potenziale con estrema cautela, al fine di evitare politiche controproducenti. E se anche quei numeri fossero realistici – aggiunge Padoan – a maggior ragione bisognerebbe evitare di deprimere ulteriormente le economie. Al contrario, secondo il ministro, il modello usato dall’Unione europea, con i dati “giusti”, rafforza gli argomenti di quanti chiedono maggiore flessibilità di bilancio. Un’inversione non da poco per colui che solo un anno e mezzo fa aveva sostenuto che “il dolore sta funzionando”.

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