Quer pasticciaccio brutto del finto stupro all'Università della Virginia

di Elsa Stella

Pubblicato il 2014-12-12

Una ragazza denuncia alla rivista Rolling stone di essere stata stuprata dal branco , ma da ulteriori approfondimenti la sua storia sembra fare acqua

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Un pasticciaccio brutto, quello dello stupro denunciato da una studentessa dell’Università della Virginia alla rivista Rolling stone,  che getta un’ombra sull’etica del giornalismo americano e danneggia gravemente le donne vittime di violenza. Tutto ha inizio il mese scorso, quando la rivista (che nasce come foglio underground, antimilitarista e in generale anti-sistema) pubblica l’intervista a “Jackie”, che racconta che il 28 settembre del 2012, a 18 anni, entrata da pochi giorni all’università, era stata stuprata da sette studenti nella sede della loro confraternita Phi Kappa Psi.
 
LO STUPRO DI JACKIE
Le dichiarazioni della ragazza suscitano enorme scalpore, perché su diverse confraternite universitarie americane, sui loro brutali riti di iniziazione, sulle presunte violenze perpetrate dagli studenti ai danni delle ragazze si parla da tempo, e si è mossa anche la magistratura. Come prima conseguenza l’università (tra quelle – come decine di altre –  indagate dalle autorità federali per aver insabbiato denunce di stupro) sospende ogni attività delle sue trenta confraternite, senza aspettare l’esito dell’inchiesta tuttora in corso. Intanto si scatenano sit-in di protesta, furibonde prese di posizione sul web, vibranti articoli di condanna sulla stampa, mentre altre vittime di violenza della stessa università vengono allo scoperto.
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Ma alcuni giornali, primo fra tutti il Washington Post, cominciano a scrivere che nella storia di Jackie ci sono molte lacune. La confraternita respinge “con veemenza” le infamanti accuse e sostiene che nella sera in questione non era in programma alcuna festa; che nella sua sede non ci sono “camere da letto al piano di sopra” dove la ragazza aveva riferito di essere stata costretta a entrare; che nessun “Drew” fa il bagnino della piscina dell’università (Jackie sosteneva di essere stata attirata da lui, con il quale aveva lavorato, alla presunta festa) e nessuno con quel nome è membro  della Phi Kappa Psi.
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L’ERRORE DI ROLLING STONE
Jackie peraltro non aveva fornito altri nomi degli autori della violenza, e aveva espressamente chiesto alla giornalista di Rolling stone di non interpellare le “controparti”, nel timore di rappresaglie.  Dopo la violenza si era rivolta ad alcune amiche che le avevano consigliato di non denunciare lo stupro del branco, per non venire ostracizzata dai compagni. Qualcuno è anche andato a cercare le amiche, e ha scritto che secondo la versione di alcune di loro quando Jackie era tornata non aveva segni esteriori di violenza e aveva raccontato di essere stata costretta a praticare sesso orale su sette ragazzi: invitata a denunciare, avrebbe affermato che preferiva lasciar correre. E arriviamo a una settimana fa, quando il vicedirettore di Rolling stone pubblica un editoriale in cui dichiara che il giornale ha sbagliato a non sentire l’altra campana, chiede scusa per lo scivolone professionale e di fatto prende le distanze da Jackie. Ma la vicenda, e questo è il guaio, mette tragicamente in discussione la credibilità delle donne che denunciano uno stupro: sono ancora in molti a sostenere (anche in tribunale) che la vittima si è inventato tutto, anche se una donna su cinque negli Stati Uniti dichiara di aver subito violenze sessuali – ma solo il 5 per cento di loro si rivolge alla polizia  –  e se, stando alle statistiche, le false denunce di stupro non superano il numero delle false denunce per altri reati.
 
IL BOOMERANG CONTRO LE DONNE
Le femministe, per le quali la denuncia di Jackie sollevava finalmente il velo sulle violenze perpetrate impunemente nei campus, commentano ora che quella che doveva essere una storia che rendeva giustizia alle donne si ritorce tragicamente contro di loro, dando fiato a chi sostiene che il principio “la donna che denuncia ha sempre ragione” è solo un altro cascame del politicamente corretto, e ha ormai fatto il suo tempo. A prescindere da come stiano realmente le cose, e posto che si faccia definitivamente chiarezza su una storia intricata, il concetto che sta passando è che le donne che accusano un uomo di stupro il più delle volte mentono.  La vicenda di Jackie sta ricacciando indietro di mezzo secolo la battaglia sulla violenza contro le donne, proprio quando negli Stati Uniti sembrava assodato, anche in sede giudiziaria, che il punto non è il carattere, il comportamento, l’abbigliamento delle vittime, ma la volontà di far male dei colpevoli.
 
 

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