Cosa c'entra Anis Amri con l'olio tunisino? Ve lo spiega Manlio Di Stefano

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-12-23

Il M5S se la prende con l’accordo sull’olio tunisino (2016) per la mancata espulsione di Anis Amri (2015). Oltre al danno la beffa, non solo abbiamo messo in crisi l’industria olearia italiana ma non riusciamo nemmeno a farci rispettare. Peccato che tutto questo non sia vero

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Il deputato Cinque Stelle Manlio Di Stefano in questi mesi ha avuto frequenti contatti con Mosca dove ha organizzato numerose visite ufficiali di delegazioni pentastellate. Non sappiamo se proprio in virtù dell’esperienza internazionale maturata “sul campo” ora Di Stefano abbia acquisito le competenze necessarie per spiegarci per quale motivo non è stato possibile rimpatriare Anis Amir, il cittadino tunisino responsabile dell’attentato ai mercatini di Natale di Berlino e ucciso ieri notte a Sesto San Giovanni durante un controllo di polizia.
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Cosa c’entra l’accordo sull’olio tunisino con Anis Amri? Niente

L’assunto di partenza del ragionamento di Manlio Di Stefano è che Anis Amri, prima di decidere dirottare un Tir e puntarlo sulla folla inerme del mercato di Breitscheidplatz, è stato a lungo nel nostro Paese dove è arrivato – sbarcando a Lampedusa – nel febbraio del 2011. All’epoca Amri, che era nato nel 1992, aveva 19 anni ma dal momento che ne dichiarò 17 in quanto minore non accompagnato venne ospitato in uno dei centri d’accoglienza dell’isola. Contestualmente al suo arrivo nel nostro Paese Amri, riferisce il New York Times, viene condannato in contumacia in patria a cinque anni di reclusione per furto d’auto. Nel frattempo in Italia Amri si distingue per la sua cattiva condotta all’interno dei centri d’accoglienza, arrivando ad appiccare il fuoco all’interno del centro d’accoglienza di Belpasso il 24 ottobre del 2011. Da quel momento Amri entra nel sistema carcerario italiano, dove a quanto sembra tiene una una condotta violenta ed inizia un processo di avvicinamento al radicalismo islamico. Amri resterà in carcere prima al minorile di Catania (perché per le autorità italiane Amri è ancora minorenne) e successivamente a Palermo fino al maggio 2015, una volta tornato in libertà viene raggiunto da un decreto di espulsione e condotto al CIE di Caltanissetta ma dal momento che la Tunisia (come spesso accade) non lo riconosce come cittadino tunisino le forze dell’ordine possono solo intimargli di lasciare il Paese; ma di fatto non lascerà mai l’Europa e si trasferirà in Germania, dove arriva nel luglio dello stesso anno. A questo punto nella vicenda interviene la ricostruzione dell’Onorevole Di Stefano che ci spiega che è tutta colpa dell’olio tunisino:

Perché Anis Amri non è stato caricato su un volo diretto a Tunisi e lì messo sotto sorveglianza?
Semplice, perché al Governo abbiamo dei poco di buono che non sanno farsi rispettare.
Ricordate quando ci dissero che l’Italia aveva fatto bene a liberalizzare l’importazione di olio tunisino? Avremmo rovinato l’economia pugliese ma avremmo sostenuto il Governo di Tunisi nella lotta al terrorismo e nella stabilità della regione garantendogli entrate economiche cospicue, ci dissero.
Uno quindi si aspetterebbe un Governo tunisino sull’attenti ogni volta che il Governo italiano lo chiama, ed invece porte in faccia.
Bella collaborazione abbiamo ottenuto in cambio, davvero complimenti, ci pisciano in testa e dicono che piove.

Come ricorderete il M5S e la Lega Nord (ma anche alcuni eurodeputati del PD) hanno condotto una dura e insensata battaglia contro l’olio tunisino. Ci sono due problemi però: il primo è di ordine cronologico, perché il provvedimento che consente alla Tunisia la possibilità di esportare in Europa 35 mila tonnellate di olio d’oliva in più ogni anno senza dazi  (una misura temporanea, valida solo per due anni e relativa all’olio d’oliva di cui si possa garantire la tracciabilità) è stata votata nel marzo del 2016. Come abbiamo visto però il decreto di espulsione nei confronti di Amri risale al maggio 2015 e già dopo due mesi il tunisino era in Germania (dove ha presentato una richiesta d’asilo politico poi respinta).
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Difficile quindi che in virtù di un accordo che è stato siglato un anno dopo le autorità tunisine possano accondiscendere ad una richiesta fatta in precedenza. Questo però Di Stefano si guarda bene dal dirlo, altrimenti il suo ragionamento cadrebbe come un castello di carte. Così come Di Stefano si guarda bene dal far sapere ai cittadini il motivo per cui è stato approvato quel provvedimento non è quello di poter “fare la voce grossa” con la Tunisia ma perché la produzione di olio in Italia tra 2015 e 2016 è stata di poco meno di 300mila tonnellate; i consumi invece hanno raggiunto quota 553mila tonnellate. L’Italia quindi già importa olio in quanto la produzione non riesce a soddisfare il mercato interno, anzi: i produttori tendono ad esportare quello di maggiore qualità a un prezzo maggiore di vendita rispetto a quello che riesce a spuntare in Italia. L’ olio tunisino quota mediamente 2-3 euro in meno rispetto a quello italiano: è chiaro quindi che andrà a fare concorrenza – grazie all’assenza dei dazi e quindi al calo del prezzo – agli altri prodotti importati, ma non alle produzioni italiane.

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