Matteo Renzi e le mozioni di Forza Italia copiate da Marco Travaglio (e i 5 Stelle?)

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-01-27

“Ma avete letto la mozione di Forza Italia? Hanno fatto copia incolla da un articolo di Marco Travaglio” sul Fatto quotidiano “e’ una cosa divertentissima, potevano ispirarsi a un giornale di centrodestra, il Giornale o Libero. Lo dice il presidente del Consiglio Matteo Renzi conversando con i cronisti lasciando il Senato dopo essere intervenuto in aula …

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“Ma avete letto la mozione di Forza Italia? Hanno fatto copia incolla da un articolo di Marco Travaglio” sul Fatto quotidiano “e’ una cosa divertentissima, potevano ispirarsi a un giornale di centrodestra, il Giornale o Libero. Lo dice il presidente del Consiglio Matteo Renzi conversando con i cronisti lasciando il Senato dopo essere intervenuto in aula sulle mozione di sfiducia al governo, secondo quanto racconta l’agenzia di stampa DIRE. “Marco Travaglio è bravissimo- aggiunge- ha sbagliato solo una data. Il punto non è questo, è fantastico che Forza Italia si sia ispirato a lui”. Quindi dice che uscendo dall’aula ha incrociato Niccolò Ghedini (Fi) e hanno scherzato appunto sui contenuti della mozione. “È stato divertente- spiega Renzi- Ghedini mi ha detto ‘ho visto la mozione e me ne vado'”. Ma dov’è che la mozione viene copiata? Diamo un’occhiata a questo punto della mozione, che è stata scritta e presentata a metà dicembre 2015:

in una nota, la banca aretina ha attribuito tale decisione del Ministero a «gravi perdite nel patrimonio» dovute a «consistenti rettifiche sul portafoglio crediti». In realtà, la banca popolare era già stata oggetto di osservazione da parte dell’authority, a causa dell’andamento anomalo di alcune operazioni, con scambi pari a circa 20 milioni di euro corrispondente al 12 per cento del capitale sociale, rilevate nelle contrattazioni successive al fallito tentativo volontario di trasformazione da parte della stessa banca popolare in società per azioni, durante l’estate 2014, nella speranza di facilitare il salvataggio dell’istituto;
già in passato, la Banca Etruria aveva avuto problemi e, nel 2012 e 2013, due ispezioni della Banca d’Italia nell’istituto aretino avevano portato ad una maxi multa per 18 tra sindaci e amministratori, fra cui anche il padre del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento in carica, multato per 144.000 euro a causa delle sue «violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza»;
in quel periodo, il settore crediti era curato dal fratello dello stesso Ministro, coinvolto nell’indagine da parte delle Procure di Arezzo e Firenze per false comunicazioni sociali a danno dei soci e dei creditori, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto;

neanche un anno dopo, la stessa banca è ancora oggetto di un provvedimento d’urgenza del Consiglio dei ministri: per la prima volta, con il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, recante “Disposizioni urgenti per il settore creditizio”, vengono applicate in Italia le nuove regole europee per il salvataggio bancario appena recepite con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, e Banca Etruria viene divisa in 2, separando, nel bilancio, la parte “buona”, a cui sono state conferite le attività in bonis, da quella cattiva (compresi tutti gli asset cattivi), ossia le attività in sofferenza, accumulati in un’unica bad bank;

E mettiamola a confronto con l’editoriale «Il vespino dei Boskerville» pubblicato sul Fatto del 12 dicembre, nel quale Marco Travaglio polemizza con Bruno Vespa per l’intervista a Maria Elena Boschi:

Ci scusi, Santo Padre, se abbiamo osato scrivere certe cose. Tipo che nel Cda di Etruria dal 2011, fu promosso vicepresidente nel maggio 2013, guardacaso tre mesi dopo che sua figlia divenne ministra, invertendo l’ordine dei fattori del familismo all’italiana: dai figli di papà al papà di figlia. E ci perdoni se azzardiamo ad accennare che due ispezioni di Bankitalia nell’istituto cattomassonico aretino, nel 2012 e nel 2013, portarono a una maxi-multa per 18 tra sindaci e amministratori che l’avevano trasformato nella Banca del Buco. E tra questi Pier Luigi Boschi, multato per 144 mila euro a causa delle sue “violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza”. Il settore crediti era curato da Emanuele Boschi, figlio di Pier Luigi e fratello di Maria Elena, giovin etrusco un po’ sbadato: non s’era accorto dei fidi spericolati che si autoassegnavano fior di amministratori. Ragion per cui le Procure di Arezzo e Firenze indagano per false comunicazioni sociali a danno dei soci o dei creditori, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto.

Ma c’è di più. Perché Renzi forse non si è accorto di un altro passaggio problematico nella mozione del MoVimento 5 Stelle. Ovvero questo:

valutato, inoltre, che:
nell’anno 2014, il signor Tiziano Renzi, padre del Presidente del Consiglio dei ministri, risulta aver rilevato il 40 per cento di una società, la Party Srl, della quale la moglie (madre del Presidente del Consiglio dei ministri) è diventata amministratore unico. Gli altri soci risultano essere Creazioni Focardi (Gucci Firenze, 20 per cento) e Nikila Invest (40 per cento), azienda che ha rilevato il teatro comunale di Firenze all’epoca in cui sindaco era proprio Matteo Renzi. Nikila Invest, con altri soci, avrebbe dato vita, inoltre, ad una nuova società: la Egnazia Shopping Mall, alla quale fonti stampa ricondurrebbero 2 società panamensi (Torrado Holdings inc che ha il 23 per cento e Tressel Overseas sa che ha l’11 per cento) e due aziende che fanno riferimento a Lorenzo Rosi, già manager di Banca Etruria, che risulterebbe indagato in una inchiesta della Procura della Republica di Arezzo: la Castelnuovese società cooperativa con il 5 per cento e Syntagma Srl che ha l’11 per cento. Amministratore unico della predetta società è Lorenzo Rosi, ultimo presidente di BPEL, che secondo l’accusa avrebbe operato in conflitto d’interesse per la concessione di finanziamenti milionari della banca aretina, già in dissesto, alla cooperativa di costruzioni La Castelnuovese, di cui egli stesso è stato presidente fino a luglio 2014. La Egnazia Shopping Mall appare punto di collegamento economico-finanziario tra i genitori del Presidente del Consiglio dei ministri e l’ex presidente di Banca Etruria, Lorenzo Rosi, al momento coinvolto nelle indagini da parte della Procura della Repubblica di Arezzo;
ne risulta svelato, quindi, in tutta la sua evidenza, il conflitto di interesse, diretto ed indiretto, in capo al Presidente del Consiglio dei ministri nella vicenda in questione, e ciò in forza di operazioni economico-finanziarie messe in atto dalla sua famiglia, grazie al fondamentale apporto finanziario da parte di Banca Etruria, e peculiarmente attraverso Lorenzo Rosi, presidente della Banca in questione, direttamente interessata dai decreti governativi esposti;

Che somiglia pericolosamente a questo articolo del Tempo firmato da Gianni di Capua:
 

Nella dichiarazione dei redditi consegnata nel 2015 i genitori di Matteo Renzi denunciano che nessuna variazione è intervenuta nella loro situazione patrimoniale. Ma così non sembra. Perché in realtà nel 2014 Tiziano Renzi aveva rilevato il 40 per cento di una società, la Party srl, della quale la moglie è diventata amministratore unico. Gli altri soci sono sono Creazioni Focardi (Gucci Firenze, 20%) e Nikila Invest (40%). Bisogna fare attenzione a quest’ultima società perché è in questo intreccio che entra in gioco l’ex presidente di Banca Etruria, rimasto in carica fino al commissariamento della banca.
Ma che cosa è Nikila Invest? È l’azienda che ha rilevato il vecchio teatro comunale di corso Italia a Firenze, attraverso una triangolazione. Il Comune, quando sindaco era proprio Matteo Renzi, lo aveva messo in vendita a 44,5 milioni e a comprarlo era stata la Cassa depositi e prestiti per 23 milioni e mezzo. A sua volta la Cassa, nel settembre del 2015, lo ha rivenduto a Nikila (nel frattempo diventata socia di papà Renzi) per 25 milioni.

Qualche mese prima c’era stato però un altro cambio di scena: il 4 marzo Nikila Invest insieme ad altri soci si presenta dal notaio Rita Abbate di Reggello, un paese in provincia di Firenze, e fonda una nuova società: la Egnazia Shopping Mall, di cui fanno parte due società panamensi (Torrado Holdings inc che ha il 23% e Tressel Overseas sa che ha l’11%) ma anche due aziende che fanno riferimento proprio a Lorenzo Rosi: la Castelnuovese società cooperativa con il 5% e Syntagma srl che ha l’11%. Inoltre c’è una quota diretta di Andrea Bacci (7%), manager che Renzi figlio aveva voluto in partecipate del comune di Firenze, e una quota di Mora real estate di Roma. E chi è l’amministratore unico della società? Proprio Lorenzo Rosi. Il quale chiama ad assistere la società nel business la Party srl dei genitori di Renzi, che per altro come la Egnazia ha la Nikila come socia principale. Tra le pieghe di questi intrecci emerge anche un altro fatto, l’apparente conflitto d’interesse per la concessione di finanziamenti milionari di Banca Etruria alla cooperativa di costruzioni La Castelnuovese di San Giovanni Val d’Arno, di cui Rosi è stato presidente fino a luglio 2014.
Ma gli affari sono affari e la Egnazia – società di collegamento tra i genitori di Matteo Renzi e l’ex presidente di Banca Etruria – da un paio di mesi avrebbe iniziato a occuparsi della costruzione di due nuovi grossi centri commerciali a Fasano in Puglia e a Genova. Due colossi «figli» di The Mall, grosso centro commerciale di Firenze.

Coincidenze?

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