Moody's rovina i conti dell'Italia e dell'Europa

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-08-18

I numeri dell’agenzia di rating: minore crescita del previsto in Italia e in Francia, una eventuale Grexit avrebbe l’effetto di fermare la ripresa nel Vecchio Continente

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Su una crescita globale prevista fiacca nei prossimi due anni pesano ulteriori rischi derivanti dalla Cina, dai tassi Usa e dalla Grecia. Così Moody’s in un rapporto sulle prospettive economiche 2015-16. L’agenzia di rating mantiene la previsione di una crescita del 2,7% per i Paesi del G20 quest’anno e del 3% l’anno prossimo dopo il 2,4% registrato nel 2014. Previsioni che rimangono sotto il tasso medio di crescita precedente alla crisi finanziaria che secondo Moody’s non verra’ recuperato nell’arco dei prossimi cinque anni. Attese che inoltre potrebbero ulteriormente peggiorare di fronte al rischio di “una forte o duratura correzione dei prezzi degli asset in Cina”, indica l’autrice del report, Marie Diron. “La ripresa negli Usa e, in misura minore, nell’Eurozona e in Giappone – osserva – sarà compensata dal perdurante rallentamento della Cina, dalla crescita bassa o negativa in America Latina e dal recupero solo parziale della Russia dopo la recessione di quest’anno”. Oltre a quelli relativi a una possibile ulteriore correzione dei prezzi azionari e immobiliari in Cina, i maggiori rischi vengono individuati in una possibile reazione disordinata alla prevista stretta sui tassi statunitensi e all’ipotesi di uscita della Grecia dall’Eurozona. Per la Cina, Moody’s prevede una crescita del 6,8% quest’anno e del 6,5% l’anno prossimo per arrivare a un tasso attorno al 6% alla fine del decennio.
 
MOODY’S E I CONTI DI ITALIA E FRANCIA
Nel 2016 la crescita economica dell’Italia si attesterà appena sopra o intorno all’1%, secondo l’agenzia, le cui stime sono dunque più basse di quelle del governo, che nella legge di stabilità ha previsto una crescita dell’1,6%. Per l’agenzia di rating americana anche la crescita della Francia sarà intorno all’1% mentre quella dell’Eurozona in generale sarà di circa l’1,5% nel 2015 e nel 2016. Per quest’anno invece Moody’s stima per l’Italia e per la Francia una crescita dell’1% o sotto tale soglia. I tassi di crescita di Italia e Francia, spiega l’agenzia “non saranno sufficienti a far calare la disoccupazione in modo significativo”. L’Eurozona nel complesso, prosegue l’agenzia, trae benefici dall’euro debole e dai bassi prezzi del petrolio ma una volta che questi effetti si saranno “esauriti”, la crescita non supererà l’1,5% “per molti anni a venire”. Moody’s spiega che al momento “non ci sono prove di un deciso aumento degli investimenti, della produttività e dell’occupazione” e che quindi “le riforme strutturali abbiano alzato il potenziale di crescita della regione”. Su una crescita globale prevista fiacca nei prossimi due anni pesano ulteriori rischi derivanti dalla Cina, dai tassi Usa e dalla Grecia. L’agenzia di rating mantiene la previsione di una crescita del 2,7% per i Paesi del G20 quest’anno e del 3% l’anno prossimo dopo il 2,4% registrato nel 2014. Previsioni che rimangono sotto il tasso medio di crescita precedente alla crisi finanziaria che secondo Moody’s non verrà recuperato nell’arco dei prossimi cinque anni. Attese che inoltre potrebbero ulteriormente peggiorare di fronte al rischio di «una forte o duratura correzione dei prezzi degli asset in Cina», indica l’autrice del report, Marie Diron. «La ripresa negli Usa e, in misura minore, nell’Eurozona e in Giappone – osserva – sarà compensata dal perdurante rallentamento della Cina, dalla crescita bassa o negativa in America Latina e dal recupero solo parziale della Russia dopo la recessione di quest’anno». Oltre a quelli relativi a una possibile ulteriore correzione dei prezzi azionari e immobiliari in Cina, i maggiori rischi vengono individuati in una possibile reazione disordinata alla prevista stretta sui tassi statunitensi e all’ipotesi di uscita della Grecia dall’Eurozona. Per la Cina, Moody’s prevede una crescita del 6,8% quest’anno e del 6,5% l’anno prossimo per arrivare a un tasso attorno al 6% alla fine del decennio.
 
LA GREXIT E LO YUAN
I rischi di un’uscita della Grecia dall’Eurozona sono diminuiti rispetto a giugno e luglio ma non sono del tutto scomparsi e una eventuale Grexit avrebbe l’effetto di fermare la ripresa nel vecchio continente. L’implementazione del terzo programma di aiuti al paese è “piena di difficoltà nel contesto di un clima di incertezza politica in Grecia, di una rottura del rapporto di fiducia tra l’amministrazione ellenica e i creditori internazionali e di una recessione economica. Come conseguenza la possibilità che la Grecia possa lasciare euro potrebbe riaffiorare”. Il principale canale di trasmissione dello shock provocato dall’uscita della Grecia dal blocco sarebbe costituito dall’impatto sulla fiducia degli investitori in quanto l’esposizione finanziaria e’ minima. Tuttavia i meccanismi posti in essere nel corso degli ultimi anni, come i progressi verso l’unione bancaria e l’Esm, dovrebbero aiutare a “prevenire grossi impatti negativi sulla fiducia”. “Una pronta reazione da parte della Bce – si legge nel rapporto – aiuterebbe anche a mitigare gli effetti negativi sul clima di fiducia”. Moody’s ritiene dunque che la Grexit farebbe scendere la crescita dell’eurozona vicino allo zero ma non la farebbe cadere in una lunga e difficile recessione. Allo stesso modo l’impatto sul debito sovrano europeo non sarebbe paragonabile a quello avuto nel 2011-12. Il graduale deprezzamento dello yuan messo in moto dal governo cinese e’ negativo per il profilo di credito dei costruttori di case cinesi data la loro significativa esposizione al debito denominato in valuta estera e principalmente in dollari. Tuttavia – osserva l’analista Simon Wong – riteniamo che la maggior parte dei costruttori valutati da noi potrebbero reggere una svalutazione dello yuan fino a un 10% del valore rispetto alle divise straniere senza che questo provochi un intervento sul loro rating”. Inoltre i costruttori potrebbero beneficiare di altri fattori a loro positivi, fra cui ulteriori riduzioni dei tassi di interesse domestici e nuovi progressi nell’apertura di un mercato del debito nazionale.

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