Chi metteva le bombe alle chiese di Fermo

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-07-20

Secondo le prime indiscrezioni, proverrebbero dall’ambiente degli ultrà della Fermana. Uno dei due sarebbe una sorta di ideologo, convertito dai valori ultrà di destra a quelli anarchici. Il primo M.B. ha 30 anni mentre M.P. ne ha 44. Sono entrambi destinatari di due provvedimenti di Fermo di indiziati di reato.

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Due persone sono state arrestati dai carabinieri di Ascoli Piceno in collaborazione con i Ros di Ancona perché ritenute responsabili degli attentati con esplosivo contro quattro chiese dell’ arcidiocesi di Fermo tra febbraio e maggio scorsi.Secondo le prime indiscrezioni, proverrebbero dall’ambiente degli ultrà della Fermana. Uno dei due sarebbe una sorta di ideologo, convertito dai valori ultrà di destra a quelli anarchici. Sono entrambi destinatari di due provvedimenti di Fermo di indiziati di reato. I loro nomi sono Martino Paniconi, 40 anni, e Marco Bordoni, di 30.  In casa dei due sono state trovate delle micce, oltre a barattoli in lamiera e i resti di lavorazione di ordigni rudimentali. Fondamentale anche la prova del Dna da un’impronta digitale.

Chi metteva le bombe alle chiese di Fermo

“Il movente dei 4 atti criminali è l’assolutezza dissennatezza dei due uomini che hanno li hanno compiuti”, ha detto il procuratore di Fermo Domenica Seccia. “Siamo stati fortunati che non è accaduto niente, perché non vi erano passanti”.  In casa dell’uomo i carabinieri hanno trovato e sequestrato alcuni libri che testimonierebbero questo passaggio e gli orientamenti ideologici dell’indagato. In questo contesto avrebbe maturato la decisione di colpire l’ordine costituito, scegliendo in particolare le chiese. Sarebbe stato lui a dare incarico all’altro fermato di confezionare gli ordigni che avrebbero poi materialmente posizionato insieme nei luoghi da colpire.  Gli ordigni fatti esplodere negli ultimi mesi davanti ad altrettante chiese di Fermo sono quattro: tra febbraio e marzo due bombe rudimentali sono scoppiate davanti al Duomo e davanti all’ingresso della chiesa di San Tommaso, nel quartiere di Lido Tre Archi. Nella notte tra il 12 e il 13 aprile, un altro ordigno ha danneggiato l’ingresso della chiesa di San Marco alle Paludi, parrocchia retta da mons. Vinicio Albanesi della Comunità di Capodarco. A fine maggio, un ordigno inesploso era stato trovato davanti alla Chiesa di San Gabriele dell’Addolorata. L’inchiesta sui quattro episodi è condotta dalla Procura di Fermo. Tra le ipotesi fatte finora, quella di gesti intimidatori nei confronti della chiesa fermana, particolarmente attiva a fianco di poveri, immigrati, disagiati. “Siamo una chiesa che dà fastidio” aveva detto lo stesso don Vinicio in occasione dell’attentato a San Marco. Poi, dopo l’omicidio di Emmanuel, il migrante nigeriano colpito con un pugno dall’ultrà Amedeo Mancini e morto dopo poco, il sacerdote aveva rilevato che dietro gli episodi vi sarebbe lo stesso ‘clima’: “un contenitore di un magma formato da violenza, aggressività, frustrazione, esibizionismo”, non organizzato ma formato da “schegge impazzite in grado di coagularsi all’occorrenza”. L’ultima (in realtà un tonante avanzato dalle feste popolari) è scoppiata in un paesello in provincia di Fermo, Montottone, davanti alla chiesa di Santa Maria, proprio dove si accolgono i profughi. L’autore del gesto è stato individuato, si è trattato di una bravata diversa dalle bombe precedenti. Tre fra febbraio e aprile al Duomo, a San Tommaso e a San Marco alle Paludi di Fermo. L’ordigno fatto scoppiare nella notte fra il 27 e il 28 marzo davanti alla Cattedrale, quello del 7-8 marzo a San Tommaso e l’ultimo erano quasi identici: semplici barattoli riempiti di polvere pirica o da sparo ”rinforzata”, di facile realizzazione. Come quella non esplosa alla chiesa di San Gabriele dell’Addolorata a Campiglione di Fermo, sempre in zona, nel maggio scorso.

Le bombe e i vigliacchi

Raid mai dimenticati: d’altro canto a piazzare le bombe sono i vigliacchi.  Don Vinicio Albanesi, il prete simbolo dell’accoglienza nelle Marche, non ritiene che ci sia la stessa mano nelle bombe piazzate nei mesi scorsi davanti alle chiese di A Fermo e nell’omicidio di Emmanuel, il migrante nigeriano pestato da Amedeo Mancini, ora in stato di fermo per omicidio preterintenzionale aggravato. Piuttosto ritiene che dietro ai due episodi ci sia lo stesso clima. “Un contenitore – dice – di un magma formato da violenza, aggressività, frustrazione, esibizionismo”, non organizzato ma formato da” schegge impazzite in grado di coagularsi all’occorrenza. Non solo e non tanto razzismo che richiede un pensiero, un’idea. Qui invece c’è il vuoto. E in città c’è un clima melmoso che copre e minimizza”.

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La chiesa di San Marco alle paludi di Fermo

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