Il mancato miracolo di Matteo

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-08-31

Una ricorrenza per nulla felice. Nei sei mesi di governo Renzi Pil giù dello 0,3%. Scarso l’effetto degli 80 euro in busta paga sui consumi. E mentre lui pensa al patto con Silvio le idee per l’uscita dalla crisi sono poche, e ben confuse. Eppure qualcosa da fare c’è: bisogna spendere. Vincendo le resistenze dell’Europa

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«Il re cessione»: Matteo Renzi può almeno togliersi la soddisfazione di aver fatto azzeccare una vignetta a Giannelli. Ma se persino il vignettista-bancario del Corriere della Sera riesce a ironizzare sul miracolo mancato (finora) del governo, significa che il bersaglio è davvero grosso. In effetti, l’andamento sostanzialmente immobile dei consumi delle famiglie sta raggelando le previsioni.

Il Prodotto interno lordo nel secondo trimestre 2014 scende ancora dello 0,2% rispetto al primo trimestre, quando aveva fatto registrare un altro dato negativo (meno 0,1%). Peggiore la diminuzione su base annua: meno 0,3%. Lo rivela la stima preliminare dell’Istat. Un rallentamento che arriva dopo i dati delle scorse settimane dalla Germania e che ha messo in agitazione la Borsa, che ha perso il 2,7%. Il termometro dello spread, dopo lunghe settimane nelle quali segnava stabile, è tornato a fibrillare: dai 158 punti di martedì a quota 171.

E c’è di più. Precisa l’Istat che dal lato della domanda, il contributo alla variazione congiunturale del PIL della componente nazionale al lordo delle scorte risulta nullo, mentre quello della componente estera netta è negativo. Il bonus di 80 euro, come ampiamente previsto, non sta dando i suoi frutti. Ci si pagano le bollette arretrate, la rata degli elettrodomestici, oppure semplicemente lo si tiene lì, immobile, nel conto corrente. E così i vaticini dell’onorevole Pina Picierno (+15% di consumi, uno sproposito) non si stanno materializzando.
 
MATTEO RENZI, IL RE-CESSIONE 
E qui sorge il problema per Matteo Renzi. Perché una propensione marginale al consumo (come la chiamano gli economisti) così bassa rende praticamente inutile lo sgravio fiscale al fine di alimentare la crescita. E le previsioni saltano. E quindi sarà inevitabile una manovra aggiuntiva che, tagliando le spese o aumentando le tasse, creerà nuova recessione. L’alternativa è aumentare il deficit, venendo meno agli impegni con l’Europa e alimentando ulteriormente il debito pubblico, senza però aver innescato un processo di crescita. Repubblica, in un articolo a firma di Federico Fubini, fornisce il quadro storico del declino italiano:

Le istituzioni economiche ereditate dal fascismo, sopravvissute con molte metamorfosi, si stanno dimostrando incompatibili con il ventunesimo secolo. Non si può più vivere di protezionismo e autarchia (oggi diremmo: tutela degli insider e «decrescita felice »). Ciò che fa vivere è la capacità di innovare e sostenere imprese pensate per stare su mercati globali, invece la  truttura dell’economia italiana ha prodotto l’opposto. Il  tempo medio per una causa civile o commerciale è di 2992  giorni (900 in Germania) perché gli avvocati continuano a   rendere parcelle basate sulla  durata di un caso, mentre i  magistrati sono pochi e non  vengono valutati sul loro rendimento.  Normale poi che in  queste condizioni gli investimenti  diretti esteri in Italia  fra il 2009 e il 2013 siano stati  di 80 miliardi, contro i 126 della  Francia, 143 della Spagna,  187 della Germania e 261 della  Gran Bretagna.  Quanto alle aziende, ormai  la loro dimensione media è di  appena quattro addetti e solo  una su cento ne ha più di   0. Gli imprenditori vengono incoraggiati a restare piccoli, con tanto di retorica sul loro eroismo, quando invece è ormai ovvio che per stare sul mercato hanno bisogno di una taglia più grande.

La situazione è attualmente questa:

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La crescita del pil nell’ultimo quinquennio (infografica da Libero)

Il Sole 24 Ore invece evidenzia anche le responsabilità estere:

Sia chiaro: la metà dei problemi non è colpa nostra. I troppi focolai di crisi geopolitica (Russia-Ucraina, Israele-Palestina, Siria, Iraq, Libia) frenano la crescita mondiale e chiudono fette di mercato per le nostre esportazioni, ma anche per quelle tedesche. Il vero rischio che corre l’Europa è quello di non prendere atto che, così com’è, la Germania non riesce ad essere una forza propulsiva per sé e per gli altri, manca il traino del suo mercato interno. Oggi, però, la Commissione è in stallo, la Bei non funziona come dovrebbe, la politica monetaria ha fatto e farà tutto il possibile per evitare la deflazione iniettando tanta liquidità in giro, ma perché la ripresa riparta ci vuole almeno una domanda potenziale.

Ma Roberto Napoletano propone a sorpresa anche un New Deal:

Per questo l’Europa sarà chiamata, nei tempi che riuscirà a darsi, a promuovere con forza un vero New Deal, dovrà dotarsi di un esercito e di una politica estera comuni. Per noi e per la nuova Europa in costruzione sarà vitale che il governo Renzi raddoppi gli sforzi e alimenti un circolo virtuoso di investimenti-aspettative-fiducia che si trasmette alle imprese e alle famiglie facendo sì che ritorni la voglia (sana) di spendere. Si deve percepire che ci sono il disegno e la reale volontà di attuarlo uscendo dalla logica del colpevole (l’Europa, la banca, il burocrate e così via) che aumenta i voti nell’urna, ma non risolleva l’economia.

PROPOSTE INDECENTI
Ieri Matteo Renzi, in risposta ai dati del Pil ha rilanciato con una lettera in dieci punti per il rilancio del governo. La sensazione è che non abbia capito la domanda, visto che tutto quello che segnala non sembra possa avere un vero impatto sulla crescita: sotto il profilo politico «riforma costituzionale, riforma elettorale, con la garanzia di un vincitore e la stabilità per chi vince, poi la politica estera («c’è bisogno di Italia, di più Italia, specie nel  editerraneo »), la sfida educativa (Rai, scuola, cultura «attendono un disegno organico di riscrittura e riscoperta»). Poi la spending review, i risparmi che provengono dai tagli alla spesa, quelli da rivendicare in questo modo, ancora una volta, «ci  anno detto che la spending è una questione tecnica. Ma è una finzione. La scelta di cosa tagliare e cosa non tagliare è la suprema scelta politica. La spending è ontologicamente questione politica, che non possiamo rinviare. Ci siamo dati  obiettivi che manterremo». Poi c’è il profilo amministrativo, la riforma del lavoro («abbiamo già approvato il decreto Poletti e siamo contenti dell’aumento di centomila posti di lavoro tra maggio e giugno. Ma alla ripresa va accelerato il disegno di  egge delega»), la riforma della pubblica amministrazione («il decreto Madia è in approvazione, il disegno di legge delega inizierà a breve il proprio iter: l’obiettivo è uscire dalla cultura del certificato per reimpostare il rapporto cittadinomacchina pubblica»), la riforma del fisco, la riforma della giustizia. In queste ore stiamo procedendo con la consultazione pubblica, lo sblocca Italia («un provvedimento di legge impegnativo ma affascinante, finalizzato a rendere operativi  li interventi infrastrutturali troppo spesso fermi, conterrà anche le misure sull’efficientamento energetico, sulle reti digitali, sulle semplificazioni burocratiche. Anche questo sarà in Consiglio dei ministri il 29 agosto»).

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Vignetta di Giannelli sul Corriere del 7 agosto. In copertina: caricatura di Benny per Libero

 
Tra le soluzioni possibili, Il Corriere della Sera ne suggerisce una:

Quel meno 0,2% è la conferma che l’Italia è ancora in recessione. E di quelle «circostanze eccezionali», contemplate dai Trattati Ue, che consentono un allentamento del piano di risanamento dei conti pubblici. Il governo Renzi le ha invocate già ad aprile, per giustificare il maggior debito dovuto al pagamento degli arretrati dello Stato, e per spostare il pareggio strutturale di bilancio dal 2015 al 2016. Sono le stesse «circostanze» che restano oggi, e che anzi si aggravano: la crescita, negativa, sempre molto al di sotto del prodotto potenziale, la scarsa liquidità delle imprese, la necessità di varare imponenti riforme strutturali. Se erano motivi validi ad aprile, a maggior ragione lo sono ora. Quella di un ulteriore rinvio del pareggio è una strada percorribile. Il presupposto c’è, ma in base ai nuovi accordi Ue, bisognerà rispettare alcune altre condizioni. La prima è quella di mantenersi sempre sotto il 3% del deficit. Poi bisogna rispettare la regola della spesa e quella del debito. Sulla prima non dovrebbero esserci problemi, a patto che i tagli previsti si facciano. Per stare a posto anche con il debito, invece, bisognerà fare alcune dismissioni. Niente di impossibile, comunque, tenuto conto che la stessa crisi dalla quale l’Italia non esce dopo una raffica mostruosa di manovre correttive (solo quelle fatte dal 2011 a oggi pesano sui conti 2014 per 67 miliardi) è di per sé una buona carta da giocare per avere dalla Ue più flessibilità. Resta, tuttavia, un’ultima condizione, la più importante: il gradimento dei mercati, che al di là dei Trattati, può vanificare ogni strategia.

C’è una strada alternativa, indicata dal professor Gustavo Piga: stanziare 15-16 miliardi all’anno, poca roba, per dare un lavoro temporaneo a 1000 euro al mese ai giovani disoccupati, quelli che non percepiscono alcun reddito. Una sorta di servizio civile retribuito, sul modello dei “corpi” creati dal presidente americano Roosevelt durante la Grande Depressione degli anni ’30. Questo metterebbe nelle mani dei nuovi assunti un reddito che prima non avevano e che verrebbe speso in percentuale molto maggiore rispetto agli 80 euro di Matteo Renzi. Il PIL in questo modo aumenterebbe e quindi il rapporto deficit/PIL non crescerebbe, come invece accade con gli 80 euro che restano “sotto il materasso” e che, insieme alle altre previsioni mancate, ci porteranno alla manovra restrittiva in autunno. Non solo: si eviterebbe la svalutazione del capitale umano che questi giovani rappresentano, mentre oggi finiscono via via nelle file degli “scoraggiati”. Per misure di questo genere varrebbe la pena litigare con Bruxelles e il suo stupido rigorismo economico.
 

Leggi sull’argomento: Matteo Renzi e i gufi: la verità

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