Matteo Renzi e il gioco delle tre carte sull'occupazione

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-08-11

Crescono nei sei mesi i contratti stabili, anche se il picco c’è stato a marzo e a giugno la crescita è rallentata. Ma il numero totale degli occupati non sale. E resta l’incognita incentivi. Mentre il premier esulta su Twitter

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La crescita dei contratti stabili è la buona notizia dal fronte dell’occupazione. Nei primi sei mesi di quest’anno i nuovi contratti a tempo indeterminato nel settore privato sono stati circa 950 mila, il 36% in più rispetto allo stesso periodo del 2014. E anche le trasformazioni dei rapporti di lavoro a termine (compresi gli apprendistati) in contratti a tutele crescenti sono aumentate del 30%. Nei primi sei mesi dell’anno l’Inps ha registrato 2.815.242 avviamenti contro 2.177.002 cessazioni di rapporti di lavoro: più 638.240 opportunità di lavoro. La quota di assunzioni con rapporti stabili sul totale dei rapporti di lavoro attivati/variati è passata dal 33,6% dei primi sei mesi del 2014 al 40,8% dei primi sei mesi del 2015. E permette a Matteo Renzi di tornare, dopo un lungo silenzio, a tornare a parlare di lavoro dopo che aveva perso la voce in seguito ai numeri sulla disoccupazione diffusi qualche giorno fa dall’Istat. Un trionfalismo però in gran parte ingiustificato, come spesso capita quando c’è di mezzo il premier.

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Il tweet di Renzi che festeggia i dati INPS

LA CRESCITA DEI CONTRATTI STABILI
Le stabilizzazioni, racconta oggi il Corriere della Sera, sono aumentate in particolare in Friuli (+85%) e Umbria (+67%), mentre Sicilia, Puglia e Abruzzo sono molto sotto la media nazionale. I nuovi rapporti di lavoro stabili sono 252 mila in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, circa 161 mila sono operai e 90 mila impiegati. È anche in aumento il lavoro full time rispetto al part time: sono a tempo pieno il 63,4% dei nuovi rapporti, 1,1 in percentuale in più che 12 mesi fa. Ma i dati vanno letti in controluce per acquistare maggior significato:

C’è da rilevare che la percentuale dei contratti stabili sul totale ha fatto un balzo notevole, quasi 7 punti, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, un po’ meno rispetto al 2013 (3 punti, erano il 38%). E che il picco di assunzioni/stabilizzazioni c’è stato in aprile, quando i contratti a tutele crescenti erano stati quasi il 45% dei nuovi rapporti di lavoro, ma tra maggio e giugno la curva si è invertita, per tornare al 34,5%. Bisognerà vedere cosa succederà nei prossimi mesi, se le aziende che hanno intenzione di assumere coglieranno l’occasione. E attendere un segnale dal governo su un’eventuale proroga in legge di Stabilità dei benefici per il prossimo anno.

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Gli ultimi sei mesi del mercato del lavoro (Corriere della Sera, 11 agosto 2015)

Il picco, come si vede dall’infografica, è stato in effetti raggiunto a marzo/aprile, mentre a giugno il ritmo è diminuito di dieci punti percentuali. In più c’è da considerare un elemento ancora più preoccupante: il numero totale degli occupati non sale. Spiega Enrico Marro, facendo il punto sulla politica economica del governo e incrociandola con i risultati degli indicatori economici:

Rispetto al picco raggiunto ad aprile 2008 con 23,2 milioni di occupati oggi ce ne sono 1,1 milioni in meno. Stanno aumentando, è vero, le assunzioni a tempo indeterminato col nuovo contratto a tutele crescenti (non gravato dall’articolo 18 sui licenziamenti). Tanto che rappresentano ormai più del 40% del totale. Ma a caro prezzo, visto che solo quest’anno per lo Stato la decontribuzione costerà 1,9 miliardi di euro (ma, a consuntivo, forse di più) e quasi altri 10 miliardi fino al 2019. E questo senza contare una proroga probabile.
Infine, l’esecutivo Renzi ha provato a spingere i consumi, mettendo 80 euro al mese nelle buste paga di 10 milioni di lavoratori. Ma i risultati sulla domanda interna sono stati deludenti. Molte famiglie hanno ricostituito i risparmi intaccati nella crisi. Forse per l’aumento dei consumi bisogna aspettare. Come per l’occupazione, dove le imprese stanno intanto richiamando i dipendenti dalla cassa integrazione.

Insomma, carta vince e carta perde. Basta guardare da un lato invece che da un altro per notare che quello che si guadagna da una parte va a perdersi rapidamente dall’altra. Con gli effetti che vediamo su PIL e occupazione.
 
LA LENTA USCITA DALLA CRISI
Se si incrociano i numeri con i dati sulla produttività, sulla produzione industriale, e con quelli sui grandi gruppi comunicati ieri da Mediobanca, si ha in risposta un quadro non certo trionfalistico. Il paese dà obiettivamente segnali di ripresa, dovuti in gran parte a fattori esogeni. I numeri positivi dal lato dell’occupazione sono spiegabili in massima parte con gli incentivi che adesso il governo dovrà coerentemente prorogare, per non rischiare uno sboom nei prossimi anni che sarebbe molto più rumoroso dei dati di oggi. Nel frattempo però poco o nulla cambia dal punto di vista del quadro generale. Nel primo trimestre 2015 l’Italia, con una crescita del Pil dello 0,3%, è uscita dalla recessione. Venerdì l’Istat comunicherà il Pil del secondo trimestre. Lo stesso istituto ha stimato a maggio un +0,2%. Altri enti si spingono fino allo 0,3%. Ma intanto l’Italia che produce perde sempre più terreno. Scrive Federico Fubini sempre sul Corriere:

il «Corriere» ha condotto un piccolo test: ha messo a confronto il numero di occupati in ogni Paese dell’area euro con altri adulti, quelli che in pensione, o disoccupati oppure invisibili nei dati di disoccupazione anche se vorrebbero lavorare, perché non cercano più. Il test è condotto prima sui dati Eurostat 2007 e poi su quelli 2014 (quelli più recenti sulle pensioni, peraltro stabili nel tempo, sono disponibili per il 2012). Ne emergono alcune lezioni. La più evidente è che la Germania ha avuto un’ottima crisi: è la sola economia di Eurolandia che in questi otto anni sia riuscita a incrementare il numero di persone che lavorano rispetto a chi dipende da trasferimenti monetari da parte di qualcun altro. Nella Repubblica Federale 163 occupati sostenevano cento persone dell’altro gruppo nel 2007, ma nel 2014 gli occupati erano già dodici di più. Malgrado le tensioni nel Bundestag per il salvataggio di Atene, l’euro sta funzionando egregiamente per i tedeschi e i tedeschi si sono dimostrati bravi nel farlo funzionare per sé.

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Quante persone lavorano ogni cento disoccupati nell’area euro (Corriere della Sera, 11 agosto 2015)

Il dato è  indiscutibile: nell’intera area euro soltanto la Grecia fa peggio di noi. E nei prossimi quindici anni, con l’invecchiamento della popolazione, l’Italia perderà tre milioni di persone tra i 30 e i 50 anni, nell’età più produttiva del lavoro, per acquistare altri 3 tra chi ha più di 65 anni. Ce n’è abbastanza per capire che la corsa dell’occupazione o comincia adesso o partirà troppo tardi per avere effetti concreti. E tagliare le tasse per sostenere i consumi a quel punto potrebbe non solo non bastare, ma essere del tutto inutile.

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