Mafia Capitale: i Quattro Re che se so' pijati Roma

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-12-12

Massimo Carminati, Michele Senese, Giuseppe Fasciani, Giuseppe Casamonica: quattro nomi che si sono spartiti la Capitale in zone d’influenza, come ai tempi della Banda della Magliana. Con un insospettabile sopra, e tanti luogotenenti da gestire

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Massimo Carminati, Michele Senese, Giuseppe Fasciani, Giuseppe Casamonica. Quattro Re aveva Roma, e tanti luogotenenti si erano alleati con loro per gestire i traffici che l’inchiesta Mafia Capitale ha cominciato a sgominare. Da Ponte Milvio ai Castelli, dai Parioli a Ostia passando per Tuscolano e Anagnina, San Basilio e il Flaminio l’organizzazione che ha mutuato dalla Banda della Magliana alcune delle sue principali caratteristiche organizzative, come scrive il GIP di Roma nell’ordinanza che ha portato in carcere Massimo Carminati, aveva legami con i movimenti eversivi della destra romana, con rappresentanti politici o manager di enti pubblici economici e rapporti con mafia, camorra e soprattutto ‘ndrangheta. E il Mondo di Mezzo parlava la stessa lingua con chi gli stava in alto e chi gli stava in basso, compresa quella malavita di strada che continuava a rapinare, trafficare droga, prestare a strozzo. Roma è troppo grande per essere comandata da uno solo, ha ripetuto il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone ieri in Parlamento per spiegare l’originale raccordo tra personaggi di spiccato valore criminale che a Roma sono nati o ci sono venuti a vivere, e in poco tempo sono riusciti a tessere una rete di rapporti così fitta da riuscire a controllare le zone senza sparare. E guadagnare quasi senza rischiare:

Ma qualunque sia il rapporto di derivazione con la Banda della Magliana, Mafia Capitale ha assunto una fisionomia del tutto originale, raggiungendo uno stadio di evoluzione avanzato, nel quale il ricorso alla violenza e ai reati tipici delle organizzazioni mafiose è ridotto al minimo indispensabile, e il core business dell’associazione è rappresentato dagli affari e dagli appalti pubblici. L’organizzazione ha in qualche modo sviluppato e messo a sistema quelle che erano le caratteristiche e il ruolo del suo capo all’interno del sistema criminale romano degli anni ’80, cioè quello di trait-union tra mondi apparentemente inconciliabili, quello del crimine, quello della alta finanza, quello della politica.

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I quattro Re di Roma (infografica da Dagospia)

I QUATTRO RE CHE SE SO’ PIJATI ROMA
Due anni fa l’Espresso raccontava le prime risultanze dell’indagine che oggi ha portato ai cento indagati, e la spartizione delle zone d’influenza. Massimo Carminati ha il quartier generale in Corso Francia e comanda tutta la zona a Nord del Tevere. Michele Senese, ‘O pazzo o Zì Michele, controllava il sud est ma cercava di arrivare fino a Ponte Milvio, che nominalmente era zona di Carminati grazie ai servigi di due batterie: quella di Fabrizio Piscitelli in arte Diabolik, storico capo degli Irriducibili, ultras della Lazio, e quella di Orial Kolaj detto Riccardino, ex pugile albanese che a Ponte Milvio era di casa. I primi li chiamano i napoletani e finiranno una prima volta nei guai nel 2007, quando Diabolik organizza la scalata alla Lazio che finirà con il carcere e la scoperta di legami con il narcotraffico. Già, la droga. Quello è il legame con altri clan che controllano il flusso in città. La cocaina: un flusso imponente che porta tanti contanti da reinvestire in affari puliti, oppure prestare a strozzo a chi ha bisogno. Anche se poi per farseli ridare scoppiano le risse, e poi i tentati omicidi. L’altra parte della città è in mano ai Casamonica, che spacciano ai Castelli e sul litorale, un mercato considerato fiorentissimo. Uno di loro prende la stecca (20mila euro al mese) da Carminati per tenere sotto controllo i nomadi di Castel Romano. Attorno a loro ruotano i pesci più piccoli, che però aspettano di diventare grandi. Come Giovanni De Carlo, l’erede designato di Ernesto Diotallevi come uomo d’onore e luogotenente della mafia a Roma in una conversazione con il figlio (anche se poi spiegherà che lui stava solo parlando di donne), che abita a Piazza Cavour. O come  Lo Curto, Franco Gambacurta, che invece è il padrone di Montespaccato, la borgata sulla Boccea dove comandano i calabresi, e le vie sono così strette perché le auto parcheggiate sono macchinoni troppo grandi. Che però si piega quando uno gli viene a chiedere protezione: i soldi meglio ridarglieli, se c’è Carminati di mezzo. Il re è sempre il re. E come sono i rapporti di Sua Maestà con la stampa?
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Conversazione tra Massimo Carminati e Riccardo Brugia, Ordinanza del GIP Mafia Capitale

Poi ci sono i Fasciani. Che gestiscono la droga a Ostia e reinvestono in night club a luci rosse, un casinò nel quartiere residenziale all’Infernetto, stabilimenti balneari: 20 milioni di euro sequestrano a Don Carmine e a Giuseppe detto Florio, finché la polizia non fa a pezzi l’intero clan. Massimo Carminati però ha imparato una lezione da Giuseppucci e compagnia. In una conversazione intercettata er Guercio spiegava che i suoi rapporti con la Banda della Magliana non presupponevano affatto la piena appartenenza talvolta attribuitagli. Lui era un criminale a collaborazione, o per meglio dire a progetto: soprattutto per il legame che aveva instaurato con Franco Giuseppucci. Dopo l’omicidio del Negro, Carminati aveva continuato a mantenere “una sorta di rapporti con tutti ‘sti cialtroni” (che d’altronde già conosceva), perché un amico poteva sempre servire. «Altro elemento fortemente sintomatico – scrive il Gip nell’ordinanza – della forza criminale dell’associazione e del suo riconoscimento all’esterno deriva dalla dimostrata esistenza di stretti collegamenti con le altre realtà criminali operanti sul territorio della Capitale. Una caratteristica che, come si è visto sopra, Mafia Capitale, mutua dal modus operandi della Banda della Magliana, che dai legami con le organizzazioni criminali tradizionali operanti sul territorio di Roma traeva la propria supremazia».
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Mafia Capitale: i luogotenenti e i Re (infografica: Il Messaggero, 12 dicembre 2014)

L’INSOSPETTABILE E I CONSIGLI DI INVESTIMENTO
Ma quando Diotallevi parla con suo figlio di De Carlo, ai due nella conversazione sfugge anche altro. Si discute pure di una persona che ha preso il posto del “Compare”, e verosimilmente ci si riferisce al famigerato Giuseppe Calò detto Pippo, capo mandamento di Porta Nuova, membro della commissione provinciale di Palermo, stabilmente insediatosi a Roma sin dal 1973, dove veniva tratto in arresto il 30 marzo 1985. Ma, spiega anche Diotallevi, se il capo è la persona che dice lui, attualmente “non lo conosce nessuno”, ovvero è totalmente sconosciuto come referente della mafia siciliana sia dai criminali romani che dalla Polizia. Un insospettabile, quindi, ma a cui anche Giovannone, precisa Diotallevi, “dopo un minuto gli lecca il culo”. Nelle carte dell’inchiesta sono accennati a contatti con il clan dei Santapaola, quello dei Senese e con la ‘Ndrangheta. Il tutto in nome di una strategia che ha abbandonato traffici come quelli sulla droga per puntare al grande ‘mercatò degli appalti, che tralascia i trafficanti per i colletti bianchi. Affari, tornando al clan Carminati, che generavano ingenti somme di danaro e per mettere al riparo i capitali, all’estero, illecitamente realizzati il clan avrebbe utilizzato un corriere che guadagnava il 4% dell’importo trasportato. Secondo quanto documentato da un’informativa del Ros, il danaro sarebbe transitato prima in contanti in Svizzera e a San Marino e dalle banche locali estero su estero in Liechtenstein o alle Cayman. Il collaboratore di giustizia Roberto Grilli ha riferito che Carminati «gli aveva consigliato di rivolgersi a Marco Iannilli, (indagato nell’inchiesta su Finmeccanica, ndr) – scrivono i carabinieri – il quale aveva spiegato di essere in contatto con un soggetto che avrebbe trasportato fisicamente il denaro contante, con una retribuzione pari al 4% dell’importo totale in Svizzera o a San Marino». Poi però a un altro dice che non conviene investire, non è il momento di rischiare, nemmeno di portare i soldi all’estero. Da’ retta a me, fai un buco in cantina e mettili lì, suggerisce a un interlocutore. Chissà se qualcuno è andato a bussare sui muri di casa del Guercio, giusto per controllare.
In copertina: immagine da L’Espresso

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