L'ultradestra che avanza (ma non vince) in Europa

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-05-24

In Austria la destra è stata fermata per posta. Donne, diplomati e anziani hanno fermato Hofer e votato per la prima volta un verde alla presidenza della Repubblica. L’estrema destra somiglia a quel militante che tentava di bruciare la bandiera europea con un accendino. Senza riuscirci perché il drappo era in materiale ignifugo

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L’ultradestra in Austria è stata fermata per posta. Grazie a trentamila voti di differenza Norbert Hoferdel del FPOE è stato battuto sul filo di lana dal candidato dei Verdi, Alexander Van der Bellen: decisivo è stato il voto per posta, che a Vienna è appannaggio di tutti i residenti e non solo degli austriaci che vivono all’estero. Secondo stime diffuse dalla tv austriaca 0SG, Van der Bellen ha vinto in nove delle dieci maggiori città austriache, mentre Hofer si è affermato nelle aree rurali. Inutile dire che la campagna anti immigrati portata avanti in questi mesi dal Fpoe ha pesato. In negativo, però.

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L’ultradestra che avanza in Europa (La Repubblica, 24 maggio 2016)

L’ultradestra che avanza (ma non vince) in Europa

L’analisi del voto infatti ci dice che a votare per Van der Bellen sono state più le donne che gli uomini, più i diplomati dei non diplomati, più gli anziani che i giovani, mentre operai e liberi professionisti hanno preferito l’ultradestra e impiegati pubblici e privati si sono equamente divisi tra i due contendenti. L’ultimo dato rivela quanto la figura di Van der Bellen, ritenuto dai media uomo poco carismatico, sia invece riuscita a trascinare nuovi elettori al ballottaggio. Il 36% di loro ha votato per la prima volta verde, contro il 19% di chi ha votato per la prima volta Fpoe.

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L’analisi del voto in Austria (La Repubblica, 24 maggio 2016)

Le presidenziali austriache, che hanno attirato l’attenzione dei media di tutto il mondo, come non era capitato dall’elezione di Kurt Waldheim nel 1986, hanno rotto un tabù, ovvero il bipolarismo tra socialdemocratici e popolari, che caratterizzava la politica austriaca dal dopo guerra. 4,6 milioni di austriaci si sono recati alle urne per dare il loro voto, in quasi perfetta parità, a due candidati di partiti d’opposizione. In Austria si parla già di nuovi scenari politici. Con l’elezione di Van der Bellen i Verdi sono definitivamente usciti dall’isolamento, nel quale erano stati da sempre spinti da Spö e Övp. In un futuro parlamento, con una Fpö ultranazionalista forse addirittura primo partito, per i due partiti di governo gli ecologisti potrebbero diventare l’ago della bilancia. Un loro ingresso in maggioranza diventerebbe così il prezzo da pagare per evitare un cancelliere ultranazionalista come Heinz Christian Strache. Paradossalmente per il leader della Fpö questa tornata elettorale potrebbe segnare addirittura l’inizio della sua discesa. Alle prossime politiche, al più tardi nel 2018, il candidato premier potrebbe, infatti, non chiamarsi Strache, ma Hofer, che ha dimostrato di saper mobilitare, con i suoi toni più pacati, anche gli elettori moderati. I due potrebbero dividersi i ruoli, come il poliziotto cattivo e quello buono, ma Strache ha dimostrato in passato, spodestando all’epoca addirittura il suo ‘padre’ politico Jörg Haider, di non amare il gioco a due punte. Nel frattempo, il governo non può perdere altro tempo e così il neo cancelliere Christian Kern ha porto la mano agli elettori di Hofer. “Queste elezioni – ha detto – hanno un vincitore, ma certamente non hanno sconfitti”. Anche il suo vice Reinhold Mitterlehner dei popolari ha invitato tutti “a porre in primo piano le cose che uniscono e non quelle che dividono”. “Il governo – ha aggiunto – ha capito il messaggio. Ci giochiamo il futuro dell’Austria”. L’onda ultranazionalista, arrivata dalla Polonia e dall’Ungheria, si è fermata davanti alle porte di Vienna, almeno per il momento.

L’Europa non s’è ancora ultradestra

Il prossimo appuntamento elettorale decisivo è il referendum sulla Brexit. Anche qui abbiamo il no in vantaggio, per ora, nei sondaggi rispetto al sì. Ma in Europa i partiti di populisti e nazionalisti di destra prendono tanti voti ovunque, sono a volte al governo in coalizione come in Polonia con Jaroslaw Kaczynski o in Ungheria dove spadroneggia Viktor Orban; racconta oggi Andrea Bonanni su Repubblica:
 

In Slovacchia, il Partito nazionale polacco, che si definisce nazional-socialista, fa parte del governo di coalizione. In Finlandia il Partito nazionale finlandese è al governo in coalizione con altri due partiti di destra. In Lettonia i nazionalisti di Alleanza Nazionale sono anche loro in un governo di coalizione. Come i cugini lituani di Ordine e Giustizia. Persino in Grecia, a fianco dell’estrema sinistra di Syriza, il partito di Tsipras, sono al governo i nazional-populisti di Anel, i Greci Indipendenti. Che comunque sono meglio dei neo-nazisti greci di Alba Dorata, la cui forza elettorale è ormai consolidata. Ma anche dove non sono arrivati al governo, i nazional-populisti sono in crescita in quasi tutta Europa. In Francia il Front National di Marine Le Pen è arrivato primo alle elezioni europee. In Gran Bretagna lo Ukip di Nigel Farage ha raggiunto il 27 per cento dei voti alle ultime elezioni europee e sta trascinando il Paese verso un referendum per l’uscita dalla Ue che si preannuncia a dir poco combattuto.
In Olanda il Partito della Libertà di Geert Wilders è un attore che condiziona pesantemente la scena politica. In Austria il Partito liberale di estrema destra ha appena ottenuto il 50 per cento dei consensi per il suo candidato alla Presidenza della Repubblica. In Italia la Lega di Salvini cerca di proporsi come partito nazionale e di monopolizzare l’area della destra dopo la crisi di Forza Italia. Persino in Germania, in nazionalisti anti-europei di Alternative fuer Deutschland hanno raggiunto il 24 per cento dei voti alle ultime elezioni in Sassonia-Anhalt. Questa marea montante del nazional-populismo sta modificando profondamente il panorama politico europeo, costringendo spesso i partiti tradizionali di centro-destra e centro-sinistra a coalizzarsi per arginarne l’avanzata. O, come nel caso delle elezioni presidenziali austriache, spingendo direttamente gli elettori di fede democratica ad unirsi sul nome di un unico candidato.

Eppure nella storia c’è anche un rovescio della medaglia. È quello che vede ad esempio il Front National non riuscire ad aggiudicarsi nessuna regione al ballottaggio in Francia, perché i partiti di centrodestra e di centrosinistra si coalizzano contro l’ultradestra e di volta in volta le lasciano sfiorare un risultato che non raggiunge mai. Proprio in Francia Marine Le Pen è sicura di andare al ballottaggio, ma è altrettanto sicura di rischiare di perdere contro chiunque arrivi al secondo turno con lei. Questo video che risale alla fine del marzo scorso in cui si vede un militante dell’estrema destra che tenta di bruciare la bandiera dell’Europa con un accendino ma non ci riesce perché è stata costruita con materiale resistente al fuoco sembra proprio la metafora dei partiti dell’ultradestra.

Ovvero, loro ci provano ma qualcuno lo aveva già previsto ed è stato molto più intelligente. Per ora regge. In futuro chissà.

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