L'Italia affonda ma a Bruxelles va bene così

di Guido Iodice

Pubblicato il 2014-09-12

La tendenza alla deflazione è sempre più marcata. Le riunioni dell’Eurogruppo non affrontano il problema. A metà mandato per il semestre italiano, a che punto siamo con le promesse?

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Mentre i dati dell’Istat confermano che l’Italia è in piena crisi, l’Eurogruppo e l’Ecofin discutono ipotesi e non prendono decisioni. Il premier Renzi twitta, ma non gli riesce neanche di azzeccare il cognome del presidente della Commissione UE. Intanto però la tendenza alla deflazione è confermata ma le riunioni dell’Eurogruppo non sembrano preoccuparsi del problema.
 
L’ITALIA SEMPRE PIÙ IN DEPRESSIONE
Una giornata nera sul fronte economico quella di oggi. L’Istat ha diffuso i dati di luglio: la tendenza alla deflazione si conferma, con 15 città in cui i prezzi calano.
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«L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) – scrive l’Istituto di Statistica – diminuisce dello 0,2% in termini sia congiunturali sia tendenziali. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), al netto dei tabacchi, aumenta dello 0,2% su base mensile e diminuisce dello 0,1% rispetto ad agosto 2013». La produzione industriale si riduce nuovamente: -1% rispetto a giugno, -1,8% rispetto a luglio del 2013, un dato peggiore delle attese. È crisi nera per i beni di consumo (-2,4%) e i beni strumentali (-2,1%). Le maggiori riduzioni rispetto all’anno precedente si registrano invece nel comparto energia (-3,9%), nei beni intermedi (-1,9%), nei beni strumentali (-1,6%) e per i beni di consumo (-1,2%). In particolare risentono della crisi le produzioni di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (-13,9%), la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-10,1%) e l’attività estrattiva (-7,8%). Segno positivo, ma insufficiente per avere almeno crescita zero, per il comparto hi-tech (computer, prodotti di elettronica ed ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi) con un +4,8%, per i prodotti farmaceutici (+3,0%) e per il settore dei mezzi di trasporto (+2,9%). In Europa che cose vanno meglio in media. Secondo Eurostat nei 18 Paesi dell’Eurozona la produzione industriale a luglio è cresciuta mediamente dell’1% rispetto al mese di giugno 2014 e del 2,2% rispetto a luglio 2013. Ma si tratta della media del pollo di Trilussa. E non è solo l’Italia a soffrire: peggio di noi (molto peggio) sta facendo la Danimarca: -4,7% rispetto al mese di giugno e -6,4% rispetto a luglio 2013. Non si ferma neppure il debito pubblico: Bankitalia ha diffuso il nuovo record di 2168,6 miliardi ma la causa non è la maggiore spesa, quanto l’accumulo di riserve liquide da parte del Tesoro. In pratica il governo vende titoli approfittando dei bassi tassi, ma poi non spende i soldi in prestito. Infatti, mentre le Amministrazioni pubbliche registrano un avanzo di 3,6 miliardi, il Tesoro ha accumulato in pancia altri 4,5 miliardi, arrivando a detenere liquidità record per 109,7 miliardi.
 
MA IN EUROPA REGNA LA CALMA E RENZI TWITTA 
Nonostante la drammaticità della situazione, il clima nelle riunioni dell’Eurogruppo e dell’Ecofin che si svolgono oggi e domani a Milano pare quello di una rimpatriata tra vecchi amici. Il nostro ministro Padoan ha ammesso che le cose vanno maluccio, certo, ma noi rispetteremo i vincoli del Patto di Stabilità e Crescita (Crescita? What Crescita?) e quest’anno faremo il 2,6% di deficit/PIL. E così, con molta, molta calma, si incomincia a discutere di qualche piccola misura: i minibond per le piccole imprese, la definizione della “flessiblità” (nessuna, almeno per noi, visto che ci si chiede di rispettare il 2,6%) e infine il “pacchetto Juncker” (dal nome del nuovo presidente della Commissione Europea) di 300 miliardi, forse attraverso un ruolo attivo dellla Banca Europea degli Investimenti. Sembrano tanti, ma sono spalmati su 3 anni e devono servire a tutta l’Europa). E proprio sul pacchetto Juncker ha twittato polemicamente il presidente del Consiglio Matteo Renzi riuscendo a sbagliare sia i numeri (3% invece dell’ancora più austero 2,6%, il nostro obiettivo per il 2014) che la grafia del cognome del presidente della Commissione.
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Renzi aveva promesso mari e monti per il semestre di presidenza italiana dell’UE. A metà mandato siamo ancora a “caro amico”. Certo in mezzo c’è stato agosto e il cambio al vertice della commissione. Ma questo lo si sapeva dall’inizio. Come al solito l’unico a dire qualcosa di serio è stato ieri Mario Draghi: la politica monetaria non basta, gli investimenti sono la domanda di oggi e l’offerta di domani. Lo ascolteranno?

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