Vi racconto l'Italia fermata dalla legge 40

di Chiara Lalli

Pubblicato il 2014-12-15

L’accesso alla riproduzione assistita è stato fortemente condizionato dalla legge 40 del 2004. In questi anni moltissimi italiani sono andati all’estero. L’Institut Marquès apre una sede italiana. Federica Moffa ci racconta i danni della legge

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L’Institut Marquès, fondato più di 90 anni fa a Barcellona, ha aperto una sede a Milano. È il primo centro internazionale sulla fertilità ad aprire in Italia. Oggi tre esperti, tra cui la dottoressa Federica Moffa, presentano le attività della clinica. L’abbiamo intervistata.
 
DALLA LEGGE 40 IN POI
Dal 2004 in Italia è entrata in vigore la legge 40. I numerosi divieti – che ne hanno fatto una delle leggi più restrittive al mondo e una delle più contestate – hanno contribuito a creare un fenomeno chiamato in modo infelice «turismo procreativo». Molte persone, non potendo accedere alle tecniche qui, sono andate in altri paesi. La Spagna è stata e continua ad essere una delle mete preferite. La maggior parte di quei divieti originaria è stata eliminata. Ad oggi rimangono ancora: un accesso restrittivo, cioè il divieto accesso per le coppie fertili e il divieto accesso alle coppie dello stesso sesso (articolo 5), il divieto di sperimentazione embrionale (articolo 13), la possibilità di ritirare il consenso informato solo fino alla creazione dell’embrione e non fino all’impianto (articolo 6), il divieto della maternità surrogata (articolo 12).
 
LE COPPIE ITALIANE
Secondo i dati dell’Institut Marques, i pazienti italiani sono triplicati negli ultimi 5 anni. Ogni anno circa 2.000 coppie contattano la clinica e il 10% sono donne che vogliono accedere alle tecniche da sole (in Spagna si può, la legge 40 lo vieta permettendo l’accesso solo a «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi»). 6 donne su 10 hanno più di 40 anni; il 48% ha fra i 40 e i 45 anni e il 12% fra 46 e i 50 anni. L’ovodonazione è il trattamento più richiesto (da circa il 60-65% delle coppie italiane); seguono l’adozione di embrioni (20%), fecondazione in vitro (12%) e l’inseminazione con seme di donatore (3-5%). La donazione dei gameti, cioè la cosiddetta fecondazione eterologa, era vietata fino allo scorso 9 aprile, quando la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo quel divieto.
Legge 40 turismo procreativo
 
IL VISSUTO
Come vivono le persone il divieto di alcune tecniche e la decisione di andare altrove? Secondo un’indagine realizzata dall’Institut Marquès su 404 coppie italiane, e presentata durante lo scorso congresso dell’European Society of Human Reproduction and Embryology (ESHRE), risulta che:

• Il 71% considera l’infertilità come un tabú sociale
• Il 50% informa esclusivamente la propria famiglia, il 18 % nessuno; solo il restante 32% ne parla apertamente con famiglia, amici e colleghi di lavoro
• Il 25% afferma che ricorrere a un trattamento di riproduzione ha abbassato la propria autostima
• Il 38% considera che l’infertilità ha influito sulla loro vita sociale, avvicinandoli oppure distanziandoli dai loro amici in proporzione uguale.

Come e quanto ha influito l’infertilità sulla loro relazione?

• Il 65% afferma che l’infertilità ha unito la coppia e ha rinforzato la loro relazione
• il 26% ammette che le loro relazioni sessuali sono cambiate molto, il 25% conferma di dedicare molto tempo a parlare del tema e il 21% ammette di sentirsi più nervoso.

 
I DANNI DELLA LEGGE 40
Federica Moffa, ginecologa esperta nelle tecniche riproduttive, è uno dei tre membri dello staff medico della sede milanese. La legge 40, come già detto, ha danneggiato molte persone: i pazienti, ovviamente, ma pure i medici e in generale la scienza. «La legge 40 è stata come una mannaia. Mentre gli altri paesi avanzavano, l’Italia si è fermata. Questo non vuol dire che non ci siano le competenze, ovviamente. Per certi versi è stata anche stimolata la ricerca (penso al congelamento ovocitario) come reazione ai divieti, ma la legge 40 è stata davvero dannosa. Credo comunque che, oggi che molti di quei divieti non ci sono più, l’Italia possa rimediare in fretta agli effetti di questo arresto forzoso». Moffa è andata via dall’Italia nel 2007. «All’inizio sono andata in Belgio, dove le tecniche non avevano limiti tanto restrittivi – in nessun paese c’erano paletti angusti quanto quelli della legge 40. Quei divieti hanno obbligato i professionisti a lavorare male – penso al limite dei 3 embrioni o al divieto di congelare gli embrioni – e hanno influito negativamente sui risultati e sulla salute dei pazienti». Non era nemmeno piacevole rispetto al giudizio della comunità scientifica internazionale che faticavano a capire le ragioni di tante restrizioni. Per un medico, poi, non è facile non poter offrire soluzioni: e non per una impossibilità tecnica, ma per legge. Per una legge mal concepita e più interessata a vietare che a normare le tecniche riproduttive. «Nessuno dei professionisti italiani era contrario alla promulgazione di una norma, perché ci sono molti aspetti etici che si intrecciano a quelli medici. Ma l’umiliazione di essere stati costretti a fare cattiva medicina a causa di scelte politiche è stata davvero pesante. Non siamo stati interpellati e ci siamo sentiti umiliati dalla mancanza di applicabilità di alcune tecniche e a danno dei pazienti».
 
LA MORALE GIUSTIFICA I DIVIETI DELLA LEGGE 40?
Solo se la morale è intesa in chiave restrittiva: vietare e controllare. Ma è una visione davvero ingenerosa e discutibile. I divieti della legge 40 sono stati formulati senza alcun rispetto medico – come abbiamo visto – e senza nemmeno quello morale e normativo (quali sono le condizioni necessarie per vietare?). Sono moltissime le persone che alle difficoltà di salute hanno dovuto aggiungere quelle determinate da una legge tanto coercitiva. Se si sceglie di andare in un altro paese è un conto, se non si hanno alternative è un altro. Continua Moffa: «Io mi sento italiana all’estero e ho incontrato molti italiani in questi anni. L’ho percepita molto bene questa mancanza di alternativa, sia in Belgio sia in Spagna. Due paesi con leggi più aperte, uno a a nord e uno a sud dell’Europa. In entrambi i casi, quando i pazienti erano italiani, oltre al senso di frustrazione causato della sterilità si aggiungeva il dubbio di essere sbagliati, la paura di essere fuori legge. Un peso oltre al peso. Sei all’estero e ti senti un criminale. Per i pazienti è durissima». E se il primo peso è inevitabile, il secondo invece non lo è.

 
LE ALTRE COPPIE
Ovvero provenienti da altri paesi (952 pazienti provenienti, 10 paesi), hanno così risposto alle domande sul grado di riservatezza: il 57% non racconterebbe pubblicamente la propria scelta; il 22% dei pazienti italiani – tra i più attivi – ne parla su forum o siti dedicati. La segretezza e la vergogna sono legate senza dubbio alla cultura circostante (la percezione della sterilità come qualcosa di vergognoso, per esempio) e al grado di coercizione della legge. Il 71% dei pazienti ritiene che l’infertilità sia un tabù. In Irlanda e Germania la percentuale è più bassa: il 56% e il 60% degli intervistati crede che nel loro paese questo problema susciti preoccupazione e pregiudizi.
Legge 40 e le altre coppie
 

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