«L'INPS simula le pensioni ma i conti sono sbagliati»

di dipocheparole

Pubblicato il 2015-05-07

La «busta arancione» calcola assegni vicini all’ultimo stipendio per gli attuali quarantenni. Un errore frutto di parametri troppo ottimisti

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Sandro Iacometti su Libero di oggi pubblica una serie di simulazioni delle pensioni future in una prova di strada della cosiddetta busta arancione, che l’INPS di Tito Boeri ha promesso a tutti i contribuenti per la fine dell’anno. Le simulazioni le vedete nelle infografiche pubblicate qui in basso, ma, come avverte anche il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, bisogna fare molta attenzione perché sembrerebbero molto più ottimistiche della realtà.

Con questi coefficienti il futuro appare assai roseo. Con uno stipendio attuale di 20mila euro lordi annui e 334 settimane di contribuzione dal 2008 un lavoratore a tempo determinato (nato nel 1989) nel 2060 prenderebbe di pensione 2.801 euro lordi rispetto all’ultima retribuzione di 3.125 euro. Si tratterebbe di un tasso di sostituzione fantasmagorico dell’89,62%. Ugualmente, una lavoratrice full time nata nel 1983 con 476 settimane di contribuzione dal 2003 e uno stipendio attuale di 18mila euro prenderebbe nel 2053 un assegno di 2.193 euro a fronte di una retribuzione di 2.438: l’89,96%. Anche chi ha una storia contributiva meno brillante ,stando alle simulazioni reali effettuate da Libero, otterebbe comunque tassi di sostituzione di tutto rispetto

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Il problema, spiega però Libero, è che c’è una sovrastima:

L’edulcorante principale utilizzato dall’Inps sta nei parametri di crescita usati per il calcolo. Non tanto quello della retribuzione,che è anche modificabile, quanto quello del Pil, che è fisso e che nel sistema contributivo fa la differenza,perché è il coefficiente responsabile della rivalutazione del montante dei contributi. Alle stesse previsioni ottimistiche era arrivata, qualche mese fa, la Ragioneria generale dello Stato, che stimava, utilizzando una crescita del Pil dell’1,57%, un tasso di sostituzione medio per i lavoratori dipendenti nati nel 1980 del 78,8%. «Un dato tra i più elevati tra i Paesi industrializzati», ha fatto notare il professor Alberto Brambilla, che nel suo ultimo Bilancio del sistema previdenziale italiano a cura di Itinerari previdenziali ha svelato il trucchetto. «Dal 2008 alla fine del 2014», si legge nel rapporto, «avremmo dovuto avere, sulla base della legge Dini che prevede un Pil reale di periodo dell’1,5%, una crescita del Pil reale pari al 10,984%. Invece la rivalutazione in termini reali dei montanti contributivi è stata addirittura negativa del 4,541% e quindi la rivalutazione dei contributi versati è stata in realtadel -16%».

Insomma, i conti sono troppo ottimisti. Meglio tenerlo da conto.

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