Le mani di Renzi sulla Cassa Depositi e Prestiti

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-06-20

Il premier porta Costamagna e Gallia al posto di Bassanini al posto del colosso dei risparmi degli italiani. Un ricambio costoso e una nuova strategia industriale all’orizzonte. Con la ridefinizione del campo d’azione: la CDP dovrebbe diventare lo strumento principe della politica industriale del governo

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Franco Bassanini lascia la Cassa Depositi e Prestiti su input di Matteo Renzi, Claudio Costamagna sarà il nuovo presidente mentre si cerca ancora l’accordo per l’uscita di Franco Gorno Temprini e la sua sostituzione con Fabio Gallia. Si chiude così, per ora visto che l’intesa economica con Gorno non è stata ancora raggiunta, la vicenda della sostituzione dei vertici della cassaforte degli italiani, con Bassanini che ottiene in cambio la nomina a consigliere speciale di Matteo Renzi, notoriamente uno che non ascolta un granché i consigli degli altri, e un grosso punto interrogativo sulla modalità e sulle motivazioni di questa uscita così frettolosa e così guidata dal premier, in barba anche al ministero dell’Economia che è l’azionista principale della CDP.
 
LA CASSA DEPOSITI E PRESTITI DIVENTA RENZIANA
Una modalità frettolosa perché il mandato dei vertici della Cassa sarebbe scaduto l’anno prossimo, e anticipare di dodici mesi un’uscita con naturale aumento del costo dell’uscita di presidente e amministratore delegato. Anticiparlo prima ai giornali, anzi, visto che il Corriere della Sera qualche giorno fa aveva in pagina un articolo a firma Federico De Rosa in cui si disegnavano precisamente le mosse future del governo in materia di vertici, e già questo sembra irrituale visto che è evidente la fonte renziana della notizia. Il premier ha fatto sapere ai giornali la mossa intestandosela così nella maniera più netta, e ben prima della chiusura dell’operazione andata in scena ieri. Con giallo, visto che al centro di tutto c’è stata la figura del presidente Bassanini: prima socialista, poi comunista e infine democratico, il costituzionalista era stato ministro della Funzione Pubblica nei governi di Prodi e D’Alema, ed era stato nominato ai vertici della Cassa nel novembre 2008 su segnalazione delle fondazioni e con stipendio da 331mila euro, mentre premier era Silvio Berlusconi. Ieri su Twitter ha smentito i termini dell’intesa che erano circolati nelle ore precedenti il comunicato di Palazzo Chigi, ma anche la definizione di “sereno” riportata dalla Reuters:


A parte tutto, alla fine di una nuova giornata di consultazioni e contatti sull’asse fra Roma e Lucca (dove si svolgeva il congresso Acri) è stato Matteo Renzi a tagliare il nodo gordiano della Cassa che risultava sempre più ingarbugliato, confermando le schiarite già viste nella serata di ieri, e decidendo per l’arrivo di Claudio Costamagna alla presidenza. Per l’AD Gorno Tempini è in corso una trattativa (anche sugli aspetti economici) ma appare chiaro che anche per lui si prospetta a breve una sostituzione. Un cda ordinario della Cassa intanto è previsto per il prossimo 25 giugno e quella potrebbe essere l’occasione per convocare le assemblee straordinarie e ordinarie in modo da cambiare lo statuto ed eleggere i nuovi vertici entro luglio. Bassanini infatti, spiega il comunicato del governo “si è dichiarato disponibile a dare le dimissioni dalla Presidenza, garantendo la continuità della rappresentanza istituzionale di Cdp fino alla elezione del nuovo Presidente. Le Fondazioni si sono a loro volta dichiarate disponibili a una designazione concordata di Costamagna nell’ambito di un’intesa volta a garantire la massima efficienza operativa, stabilità patrimoniale e adeguata redditività”.
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COSA FARÀ DA GRANDE LA CASSA
E mentre, secondo indiscrezioni, la chiusura dell’accordo con Gorno Temprini andrà a costare poco meno di un milione di euro (si parte da 600mila euro di stipendio, d’altro canto). Al loro posto, come detto, andranno Claudio Costamagna e Fabio Gallia. Del primo, che tesseva le lodi di Renzi in un’intervista di Lucia Annunziata qualche tempo fa, Massimo Mucchetti dice oggi: «Si tratta di capire se va in Cdp il Claudio Costamagna che elabora il piano Rovati sulla rete Telecom per conto del governo Prodi o quello che aiuta Pietro Salini a scalare Impregilo, e diventa presidente del nuovo gruppo che progetta di spostare la sede all’estero». Malizioso e acutamente cattivo come sempre, Mucchetti punta comunque il dito sul tema caldo: ovvero sulle motivazioni di un cambio di strategia prematuro ma evidentemente necessario per i piani di Renzi. Già, ma quali piani? Alle Fondazioni è stata data l”assicurazione che il nuovo ruolo della Cassa non metterà a rischio le cedole e quindi le erogazioni che loro destinano a università, ricerca e lotta alla povertà. Se con la guida di Costamagna, banchiere di lungo corso, la Cdp potrebbe prendere un ruolo più incisivo a supporto dell’economia tuttavia gli enti avrebbero già avuto rassicurazioni che questo non comporterà investimenti troppo rischiosi su aziende in perdita con un radicale cambio della sua missione. Quindi, è la posizione delle fondazioni bancarie azioniste, sì a al veicolo per il turnaround e all’investimento in Ilva, sì alla banda ultralarga ma no a un ingresso diretto in Telecom che gli enti giudicano peraltro troppo oneroso. Proprio la mancanza di queste assicurazioni aveva nella giornata di giovedì surriscaldato il negoziato fra l’Acri e l’esecutivo, risolto poi anche con l’intervento dello stesso Bassanini giunto al congresso di Lucca e autore, assieme a Guzzetti, di una mediazione telefonica con Roma durata oltre due ore a porte chiuse.

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Le partecipazioni di Cassa Depositi e Prestiti (Corriere della Sera, 6 giugno 2015)

Eppure tra le righe è proprio questo il destino designato di Cassa Depositi e Prestiti con Costamagna e Gallia. Ovvero che il cambio dei vertici sia in qualche modo legato al futuro di Telecom. Scrive Carlo Tecce sul Fatto:

La chiamata a Palazzo Chigi a seguire proprio il dossier banda larga è un segnale in senso inverso: al centro delle mosse c’è invece la “ridefinizione del campo d’azione della Cdp”, come spiegavano ieri fonti vicine al dossier. Tradotto: con il ricambiodel management, il pezzo più grosso di economia para-pubblica diventerà lo strumento principe della politica industriale del governo. Il primo passo è stato l’ingresso nel fondo salva-imprese che dovrebbe servire a risanare imprese in temporanea difficoltà, come l’Ilva di Taranto. C’è un però in questo piano: la Cdp si finanzia con la raccolta del risparmio postale (250 miliardi) e solo grazie a un escamotage di Tremonti, che nel 2003 finse di privatizzare l’azienda cedendone il 18 per cento alle fondazioni,che la Cassa depositi non figura nel perimetro pubblico.Ma l’Ue è pronta a bloccare tutto.

Un’ipotesi alquanto probabile. A cui si aggiungono anche le altre argomentazioni di Mucchetti: «E tuttavia investire in Telecom, in Ilva o altrove non sarebbe un’eresia data la povertà di capitale del settore privato. Ma in ogni caso, aumentano i rischi. Il problema più serio mi pare il capitale. È vero, la Cdp non è una banca: se lo fosse, non potrebbe detenere 30 miliardi di partecipazioni con 21 di mezzi propri, bensì molto meno. Ma se si vuole fare addirittura di più, ci vuole un vertice credibile…». …il nuovo non lo è? «Al contrario, ancorché non guasterebbero anche competenze industriali. Ma una Cdp più attiva ha bisogno di altri capitali pazienti, anche esteri, di una politica di portafoglio innovativa e di uno Stato azionista affidabile, che non ripeta le oscillazioni avute, ante Guerra, su Ilva e Telecom». Ci vorrà poco per capire perché Renzi ha messo le mani sulla Cassa Depositi e Prestiti. Ma se tre indizi fanno una prova…

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