La strana storia dei 47 posti di lavoro nel Jobs Act

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-08-26

Secondo il governo, da gennaio a luglio il saldo dei contratti a tempo indeterminato ammonta a 420.325, il 112% in più dell’analogo periodo del 2014. Detto in altri termini, i contratti stabili sarebbero più che raddoppiati, grazie al Jobs Act e agli sgravi sul lavoro, in vigore da gennaio. Ebbene non è così, se si riprendono le comunicazioni fatte dallo stesso ministero nei mesi passati e si sommano le cifre

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Il balletto dei numeri nel Jobs Act continua. Ieri sono stati diffusi i dati del ministero del Lavoro sull’occupazione: nel mese scorso, dicono i numeri che escludono il settore della Pa e quello domestico, sono stati creati 135mila nuovi contratti, frutto di circa 767mila accensioni e di 632mila cessazioni. L’anno scorso, i due dati erano rispettivamente 774mila e 644mila, per un saldo di 130mila nuovi contratti. Solo a luglio, le attivazioni di contratti sono scese rispetto a quanto accaduto nello stesso mese del 2014, ma il saldo con le cessazioni è risultato stabile a 135mila unità. Sui numeri reali però qualche perplessità la solleva oggi Repubblica in un articolo a firma di Valentina Conte.
 
LA STRANA STORIA DEI 47 POSTI DI LAVORO NEL JOBS ACT
Il quotidiano dice che «il ministero certifica 135 mila contratti in più a luglio (saldo tra attivazioni e cessazioni). Sebbene di questi appena 47 quelli aggiuntivi a tempo indeterminato. Meglio di giugno, quando addirittura spuntb il segno meno nel saldo (-9.768), dunque quasi 10 mila chiusure di contratti stabili in più rispetto alle nuove firme. Ma 47 è davvero un magro bottino, per un governo che punta tutto sul rilancio dell’occupazione». Poi punta il dito sull’ultima pagina delle comunicazioni obbligatorie diffuse ieri dal dicastero guidato da Giuliano Poletti, dove si mostra in tabella il consuntivo dei primi sette mesi, e lo mette a confronto con le comunicazioni dei mesi passati, scoprendo che i conti non tornano per niente:

Secondo il governo, da gennaio a luglio il saldo dei contratti a tempo indeterminato ammonta a 420.325, il 112% in più dell’analogo periodo del 2014. Detto in altri termini, i contratti stabili sarebbero più che raddoppiati, grazie al Jobs Act e agli sgravi sul lavoro, in vigore da gennaio. Ebbene non è così, se si riprendono le comunicazioni fatte dallo stesso ministero nei mesi passati e si sommano le cifre relative. Quel dato, il saldo tra gennaio e luglio, in base ai nuovi calcoli risulta fermo a 115.897, quasi quattro volte meno di quanto reso noto ieri.
Questo significa che i contratti a tempo indeterminato sottoscritti quest’anno fino a luglio non solo non sono raddoppiati. Ma sono crollati del 41%. E con loro si sono inabissati di un terzo anche i tempi determinati: -36%, poco sopra il milione. Rispetto al milione e 600 mila divulgato ieri dal ministero. La differenza è sostanziale. Se fosse così, il Jobs Act starebbe drenando contratti a termine, ma non creando sufficiente lavoro stabile. E nemmeno lavoro extra in generale. II governo, con i dati di ieri, invece racconta un’altra scena: i contratti a termine diminuiscono solo di poco (-1,5%), mentre quelli a tempo indeterminato addirittura volano: 112%, come detto. Come mai questa distonia?

Una spiegazione però c’è, e spazza via ogni ipotesi di complotto anche se non depone a favore della serietà del ministero nella comunicazione dei numeri dell’occupazione:

Interpellato, il dicastero fa sapere che «si tratta di dati di flusso, aggiornati progressivamente». E che dunque ricalcolare, come abbiamo provato a fare noi, i dati dei primi sette mesi semplicemente sommando le cifre fornite dallo stesso ministero mese per mese è sbagliato. Perché quelle cifre vengono corrette nelle settimane e mesi successivi alla loro divulgazione tramite comunicati stampa. «Fa così anche l’Istat, ma nessuno obietta mai», si fa notare. Tra l’altro, Io stesso dato fornito ieri è suscettibile di ulteriori variazioni, «perché il mese di luglio deve essere ancora riclassificato».
E il prezzo da pagare, spiega ancora il ministero, «per aver voluto diffondere gli aggiornamenti una volta al mese, anziché ogni trimestre». Decisione che a questo punto sarà rivista a settembre, in scia alla proposta del presidente dell’Istat Allevi di unificare metodi e comunicazioni.

Insomma, spiegano dalle parti di Poletti, i dati vengono periodicamente rettificati dal ministero dopo la loro comunicazione ufficiale, ma il ministero non comunica la rettifica nel momento in cui viene effettuata, parlandone soltanto nel riepilogo successivo. Un modo abbastanza curioso di fornire trasparenza all’opinione pubblica, unito al curioso effetto statistico che i dati vengono sempre rettificati al rialzo e mai al ribasso.
 
I NUMERI E I PROBLEMI 
Di certo la curiosa circostanza pone ancora sotto la lente l’utilizzo piuttosto allegro che il governo continua a fare di dati così importati come i numeri sull’occupazione. E che non possono non far tornare in mente l’intervista del Fatto a Giovanni Alleva, presidente dell’Istat, in cui si parlava di uso politico dei dati: «Abbiamo assistito a un caos poco edificante di cui anche i giornalisti hanno un’ampia responsabilità. Quelli forniti dal ministero e dall’Inps sono dati di fonte amministrativa, non “statistiche”. Valutare il saldo tra attivazioni e cessazioni dei contratti come se fosse un aumento di teste, cioè di occupati, è una approssimazione non accetta bile. Il governo fa il suo mestiere, ma a me preoccupa molto quando si sbandierano dati positivi dello 0,1%, anche perché poi – come si è visto – portano a fare dietrofront il mese dopo. Sento la responsabilità anche personale di questa confusione. Stiamo studiando con ministero, Inps e Inail come valorizzare e integrare tutte le informazioni disponibili in modo che riproducano un quadro coerente e di elevata qualità. Conto di poter presto produrre trimestralmente un’informazione congiunta sul lavoro, e un rapporto annuale in cotitolarità». A prescindere dalle smentite, il problema rimane. Ed è bello grosso.
 

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