La storia delle Regioni a statuto speciale senza senatori con la riforma costituzionale

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-11-04

Che fine faranno le Regioni a statuto speciale con la riforma costituzionale? È vero che è solo un modo mascherato per abolirle come sostengono alcuni autonomisti? Ma soprattutto, in che modo le Regioni autonome eleggeranno i loro senatori vista l’incompatibilità di carica tra consigliere regionale e parlamentare presente in alcuni statuti?

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La riforma Renzi Boschi ha un nuovo problema: le regioni a statuto speciale. La questione è stata sollevata sia dal deputato al consiglio regionale sardo Mauro Pili (Unidos) che dai comitati per il No in Sicilia (sostenuti da Sinistra italiana e Altra Europa con Tsipras) i quali hanno ricevuto l’inaspettato appoggio dell’ex ministro per le riforme Roberto Calderoli. Si tratta da una parte dell’autonomia delle Regioni a statuto speciale (e delle Province autonome di Trento e Bolzano) e dall’altra delle modalità con le quali i consigli regionali (e provinciali) potranno eleggere i loro rappresentanti al nuovo Senato della Repubblica.

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Il testo della Costituzione e quello della Riforma per quanto riguarda l’elezione del Senato

Le Regioni a statuto speciale con la Riforma vedono rafforzata la loro autonomia

Il punto del contendere è la nomina dei senatori che, qualora la riforma venisse approvata, verrebbero eletti dai consigli regionali. C’è però un problema di compatibilità con gli statuti regionali di Sicilia, Sardegna e Friuli Venezia Giulia che prevedono l’incompatibilità del ruolo di consigliere dell’assemblea regionale con la carica di parlamentare della Repubblica (ma anche di europarlamentare). Quindi, denuncia Pili, “siamo di fronte ad un cavallo di Troia che farà scattare l’applicazione della riforma e quindi la cancellazione della Specialità autonomistica della Sardegna“. Insomma la riforma costituzionale avrebbe lo scopo di cancellare le Regioni a statuto speciale), ma c’è però da rilevare che un’altra parte della riforma, quella che riguarda la modifica di alcuni aspetti del Titolo V della Costituzione esclude le Regioni a statuto speciale (e le Province autonome di Trento e Bolzano) dal meccanismo che attribuisce maggiori competenze allo Stato e meno alle Regioni. Di fatto quella parte della riforma non vale per le Regioni a statuto speciale (almeno fino a che non verrà portata termine una modifica degli statuti regionali). Il 23 ottobre su Repubblica il costituzionalista Michele Ainis scriveva ad esempio che uno degli effetti nefasti di questa riforma è la creazione di “cinque superStati: le Regioni speciali“. Perché è vero che durante la discussione in Aula della riforma qualcuno ha proposto di abolire le Regioni a statuto speciale ma quella proposta è stata rigettata (grazie ai voti del PD), anche perché ne era stata avanzata un’altra da parte di Karl Zeller, Presidente del Gruppo per le autonomie (che conta diciannove senatori), e che è diventata il comma 13 dell’articolo 39 (che delinea le disposizioni transitorie) che dispone che:

Le disposizioni di cui al capo IV della presente legge costituzionale non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, e sino alla revisione dei predetti statuti speciali, alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome si applicano le disposizioni di cui all’articolo 116, terzo comma, ad esclusione di quelle che si riferiscono alle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e resta ferma la disciplina vigente prevista dai medesimi statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall’articolo 120 della Costituzione; a seguito della suddetta revisione, alle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome si applicano le disposizioni di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, come modificato dalla presente legge costituzionale.

Del resto a ribadire l’esistenza delle Regioni a statuto speciale c’è anche l’articolo 116, che con la riforma costituzionale rimane invariato.
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In particolare il comma 3 dell’articolo 116 è stato riformato e garantisce (in base a quanto stabilito dal già citato comma 13 dell’art 39) maggiore autonomia alle Regioni speciali alle quai si applica fino a che non sarà attuato il processo di revisione degli statuti regionali:

Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, m), limitatamente alle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali, n), o), limitatamente alle politiche attive del lavoro e all’istruzione e formazione professionale, q), limitatamente al commercio con l’estero, s) e u), limitatamente al governo del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, anche su richiesta delle stesse, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119, purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. La legge è approvata da entrambe le Camere, sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata.

La questione della modifica degli statuti regionali per eliminare l’incompatibilità

Di sicuro è che l’autonomia delle Regioni a statuto speciale non esce indebolita dalla Riforma Renzi Boschi. Ne consegue che l’idea di Pili secondo il quale la riforma serve ad arrivare all’abolizione di quelle regioni è sbagliata. Ma su una cosa Pili (e Calderoli) sembra ci abbiano visto giusto, e riguarda appunto l’incompatibilità di carica così come presente negli statuti regionali, statuti che però possono essere modificati non tramite una legge ordinaria (così come avviene per le altre regioni) ma per mezzo di una legge costituzionale. A confermarlo è la senatrice PD Anna Finocchiaro che rispondendo in Aula a Calderoli ha spiegato che

Se la riforma costituzionale entrerà in vigore  occorrerà una modifica degli Statuti, che avverrà con legge costituzionale su intesa con le Regioni interessate. A meno che Calderoli non ritenga possibile che ci siano Regioni a statuto speciale che non vogliano mandare i propri rappresentanti a comporre il Senato.

Anche se non si tratta di un errore della riforma, che non può modificare gli statuti regionali e che se lo avesse fatto avrebbe sostanzialmente violato l’autonomia delle Regioni a statuto speciale, il problema rimane perché questa revisione degli statuti, che deve avvenire “di intesa” con le Regioni a statuto speciale ancora non c’è stata. Anche perché la riforma costituzionale non è ancora entrata in vigore dal momento che non è ancora stata votata al refedendum (che è previsto per il 4 dicembre). È abbastanza chiaro che le Regioni a statuto speciale saranno d’accordo nell’eliminare l’incompatibilità di carica dei propri consiglieri, almeno limitatamente all’elezione al nuovo Senato. Così come è chiaro che non aveva senso riformare gli statuti regionali prima dell’entrata in vigore della riforma Renzi Boschi perché qualora il 4 dicembre vincesse il No si dovrebbe fare un secondo processo di revisione degli statuti regionali. Rimane però il dubbio sollevato da Calderoli che sottolinea come fino all’avvenuta approvazione delle modifiche agli statuti regionali delle Regioni a statuto speciale “il Senato non potrà andare a rinnovo, eppure teoricamente lo scioglimento del Senato potrebbe avvenire già dal giorno dopo della riforma costituzionale. E quindi a quel punto sarebbe il caos.”

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