Repubblica e la storia delle mail anonime che spiegano la morte di Giulio Regeni

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-04-06

Il retroscena sulla morte di Giulio Regeni pubblicato oggi nell’articolo di Bonini non sarebbe inedito e non sarebbe attendibile. A dirlo è l’inchiesta di Mada Masr, un giornale indipendente egiziano che ha scovato la fonte delle rivelazioni. La Questura di Roma: le fonti anonime non si prendono in considerazione

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Oggi Repubblica ha pubblicato la notiziadi cui abbiamo parlato anche noi – secondo la quale a volere la morte di Giulio Regeni sarebbe stato Khaled Shalabi (o Shalaby), alto ufficiale della sicurezza nazionale capo della Polizia criminale e del Dipartimento investigativo di Giza incaricato secondo la fonte della gestione caso Regeni. Shalabi è stato già condannato nel 2003 da un tribunale di Alessandria per aver torturato a morte un uomo e falsificato i rapporti della polizia ma reintegrato dopo la sospensione della sentenza. La fonte di questa informazione sarebbe un anonimo che avrebbe inviato alla redazione del quotidiano alcune mail dove si fa il nome di Shalabi.

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Una parte del lungo post di Afify dove vengono descritte le torture a cui sarebbe stato sottoposto Giulio Regeni

Una storia già nota fin da febbraio

Il quotidiano indipendente egiziano Mada Masr in un pezzo dal titolo “Italian newspaper publishes unverified claims by anonymous security source on Regeni’s death” smentisce però la notizia dimostrando come queste informazioni fossero di dominio pubblico fin dal 6 febbraio (Giulio è scomparso il 25 gennaio e il suo cadavere è stato ritrovato il 3 febbraio) e non sarebbero corroborate da prove circostanziate.Secondo i giornalisti di Mada Masr le email ricevute da un account Yahoo da Repubblica conterrebbero sostanzialmente le stesse informazioni pubblicate su Facebook il sei febbraio da Omar Afify un ex ufficiale di polizia egiziano esule negli Stati Uniti. A quanto pare – ma Mada Masr non è riuscito a verificarlo – il contenuto delle mail inviate a Repubblica sarebbe lo stesso di un post dove Afify, che tra le altre cose sostiene di essere tra gli organizzatori e i promotori delle proteste di Piazza Tahrir del 25 gennaio 2011. Le analisi di Afify, a causa della sua lontananza dall’Egitto non sono di prima mano ma a quanto pare sarebbero basate sulle informazioni ricevute da fonti anonime all’interno dei servizi di sicurezza egiziani. Il racconto fatto da Afify su Facebook risulta essere molto dettagliato nei particolari della prigionia e delle torture inflitte a Giulio Regeni, ed è lo stesso genere di dettagli pubblicati oggi da Repubblica. Il dubbio quindi che la “fonte” sia la stessa, o che la fonte abbia attinto alla ricostruzione pubblicata più di due mesi fa da Omar Afify sulla sua pagina Facebook è legittima. Del resto Repubblica non sembra essere stata in grado di confermare la veridicità delle affermazioni della sua fonte.

Khaled Shalabi e Giulio Regeni

Secondo Repubblica alcuni dei dettagli sulle torture rivelati dall’anonimo sarebbero stati noti solo agli inquirenti, ma il racconto delle scosse elettriche inflitte ogni trenta secondi tramite il pavimento bagnato e delle privazioni del sonno e del cibo sono raccontate con lo stesso tono anche nel post pubblicato da Afify. Impossibile non pensare che si tratti dello stesso racconto, difficile soprattutto credere che si tratti di informazioni riservate, dal momento che sono in circolazione da due mesi e sono comparse appena tre giorni dopo il ritrovamento del cadavere di Regeni (che secondo Afify sarebbe morto dopo due giorni di torture e poi conservato in una cella frigorifera). Anche la chiusura della lettera dell’Anonimo di Repubblica sarebbe la stessa del post di AfifyDio non ti chiediamo di respingere il destino, ma ti chiediamo di essere clemente“. Che sia stato lui ad inviare la mail a Repubblica oppure qualcuno (il post ha oltre 350 condivisioni) ha copiato il testo e lo ha inviato al giornale? Un’ANSA di questa mattina riporta una nota della Questura di Roma secondo la quale si tratterebbe di uno dei tanti casi in cui un anonimo, durante un caso con forte risonanza mediatica, approfitta per diffondere informazioni che contengono “molteplicità di imprecisioni nella ricostruzione dei fatti e soprattutto in riferimento agli esami autoptici” e che non verranno prese in considerazione dagli inquirenti poiché “non hanno nessuna rilevanza giudiziaria”. 

Il retroscena della Stampa

Anche la Stampa oggi in un retroscena a firma di Francesca Paci annuncia che la delegazione di inquirenti attesa oggi a Roma dovrebbe portare non solo l’annunciato faldone di duemila pagine sul ricercatore friulano ma almeno un nome, l’indicazione di una responsabilità che stavolta non condurrebbe a improbabili gang criminali o strampalati fuori pista bensì ad apparati del regime stesso: «Una fonte al Cairo suggerisce che il nome da «sacrificare» potrebbe essere quello del generale Khaled Shalaby, l’alto ufficiale della sicurezza nazionale incaricato del caso Regeni già condannato nel 2003 da un tribunale di Alessandria per aver torturato a morte un uomo e falsificato i rapporti della polizia ma reintegrato dopo la sospensione della sentenza».

Da una parte c’è il Mabahith Amn adDawla, altrimenti detto State Security, i famigerati servizi segreti del ministero degli Interni, di cui fa parte il generale Shalaby, detestati dagli attivisti che dopo la deposizione di Mubarak ne ottennero lo scioglimento salvo vederli rinascere sotto il nome di Al-Amn alWatani, Homeland Security. Dall’altra c’è il General Intelligence Directorate, alias il vero e proprio mukabarat, una sorta di Cia che si occupa di minacce terroristiche esterne anziché interne e che oggi è ai ferri corti con il regime per aver visto i suoi vertici sostituiti dagli uomini di Al Sisi provenienti dal terzo ramo degli 007 egiziani, quello miliare, l’Idarat al-Mukhabarat al-Harbiyya wa al-Istitla (Military Intelligence and Reconnaissance Administration). In questo scontro di poteri sul ciglio dell’abisso s’inserisce anche la vicenda Giulio Regeni. Racconta la nostra fonte che dopo settimane di tentennamenti nel governo si sarebbe fatta largo la consapevolezza di dover «sacrificare» qualcuno di concreto, un responsabile vero, realisticamente coinvolto nel caso Regeni. E al Cairo tutte le voci (comprese alcune vicine al regime) puntano in direzione del ministero dell’Interno.

Il sacrificio di Shalabi come responsabile? Due articoli concordanti che indicano lo stesso responsabile.
 

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