La Spagna al voto e i fari puntati su Podemos

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-06-25

Domani si vota: poi si apriranno le trattative per un nuovo governo in cui dovranno partecipare almeno tre forze. Le ipotesi: un governo di Gran Coalicion Pp-Psoe-Ciudadanos, o in alternativa di minoranza Pp investito con l’astensione socialista, oppure Iglesias in coalizione con i socialisti. I Popolari intanto vanno all’attacco di Iglesias con un video in cui lo dipingono come anti-euro

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La Spagna torna al voto domenica per nuove elezioni legislative, sei mesi dopo le elezioni che hanno prodotto un Parlamento frammentato e hanno reso impossibile la formazione di un governo. I principali candidati alla guida del governo sono il conservatore Mariano Rajoy del Partito Popolare, il socialista Pedro Sanchez, il leader del movimento anti-austerità Unidos Podemos Pablo Iglesias e il candidato di Ciudadanos Albert Rivera. Sono 36 milioni gli elettori chiamati alle urne per la seconda chance data alla politica spagnola.

La Spagna al voto e i fari puntati su Podemos

Partito Popolare e Partito Socialista hanno perso 23 punti percentuali tra 2011 e 2015, a vantaggio delle due nuove forze politiche che oggi sono sulla cresta dell’onda nei sondaggi: Podemos e Ciudadanos. Alle legislative di dicembre 2015, il Pp ha ottenuto il 28,72% (aveva il 44,63% nel 2011), il Psoe il 22,01% (aveva il 28,76% nel 2011), Podemos e i suoi alleati hanno preso il 20,66%, Ciudadanos il 13,93%. Secondo gli ultimi sondaggi, nessun partito potrà raggiungere la soglia di 176 seggi che rappresenta la maggioranza assoluta del Parlamento. Ci sono scarse possibilità che ci riesca un’alleanza tra due partiti. Perché un nuovo governo possa essere investito, saranno necessari accordi complessi con almeno tre gruppi. A differenza della volta scorsa, però, Podemos nell’occasione si presenta in un assembramento con undici formazioni ufficialmente integrate. I principali sono Podemos e l’organizzazione del Partito comunista Izquierda Unida (Sinistra Unita), che a dicembre si erano presentati separatamente. Secondo numerosi sondaggi, domenica prossima l’affluenza dovrebbe essere più bassa della volta precedente e assestarsi tra il 64,6% e il 72%. I sondaggi degli ultimi giorni davano il Pp del premier Mariano Rajoy in testa con il 28-30% delle intenzioni di voto, davanti a Podemos (sul 25%), Psoe (al 21-22%) e a Ciudadanos (al 15% circa). Tutte previsioni però condizionate dal fatto che un quinto degli elettori ancora non ha deciso come votare, e ora dall’incognita effetto-Brexit. La caduta delle borse, l’impennata degli spread, il clima di incertezza quasi apocalittica, possono condizionare il voto. Rafforzando forse il Pp di Rajoy, la scelta del ‘sicuro’ in un momento di turbolenze. “In mezzo alla tempesta è bene sapere chi pilota la nave” ha detto il ministro degli esteri Juan Manuel Garcia Margallo.

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Uno degli ultimi sondaggi sulle elezioni in Spagna

In tempi da record il Partido Popular ha prodotto un video per ricordare che fino a poco tempo fa il leader di Podemos Pablo Iglesias, oggi il rivale più pericoloso per Rajoy, proponeva l’uscita della Spagna dall’euro. Ora, impegnato a sedurre il voto moderato, Iglesias non lo propone più. “Se domenica non ti alzi dalla sedia per andare a votare, Iglesias può finire alla Moncloa” minaccia lo spot Pp. Ma è quanto spera il partito post-indignado, ora alleato a Izquierda Unida, i comunisti. Convinto di realizzare lo storico sorpasso’ sui socialisti il professore col codino vuole guidare un governo ‘del cambio’ Podemos-Psoe. In alternativa alla Gran Coalicion che Rajoy vuole costruire anche lui con i socialisti. Il leader Psoe Pedro Sanchez ha detto ‘no’ a un governo Rajoy, e anche a Iglesias premier dopo un umiliante ‘sorpasso’ che metterebbe in pericolo la sopravvivenza del Psoe. Ed è arrivato anche l’altolà del leader storico del partito Felipe Gonzalez: il Psoe, ha tuonato, “non può essere socio di governo” di “populisti pseudosinistra favorevoli alla rottura” che vogliono “rompere” la Spagna con un referendum sulla secessione catalana. Gonzalez, si dice, vedrebbe con favore una Gran Coalicion. “Il governo lo faremo noi o lo farà Podemos” ha avvertito intanto Rajoy, anche per spingere i moderati al voto ‘utile’ al Pp. Al momento, se Rajoy sarà effettivamente primo, ma senza maggioranza, e se Podemos realizzerà il sorpasso, le ipotesi più gettonate sono quelle di un governo di Gran Coalicion Pp-Psoe-Ciudadanos, o in alternativa di minoranza Pp investito con l’astensione socialista, oppure di un esecutivo Iglesias in coalizione con i socialisti. Se avranno i numeri. L’analista Enric Juliana non esclude però in caso di nuova paralisi un governo presieduto da un tecnico ‘alla Mario Monti’. Una ipotesi non scartata del tutto oggi dal leader di Ciudadanos Albert Rivera. Ma c’è anche chi non esclude più ‘l’ipotesi maledetta’, che se il Congresso rimarrà bloccato si torni al voto per la terza volta da dicembre. Inimmaginabile fino a pochi mesi fa nel paese da 40 anni più stabile d’Europa.

Podemos, la Spagna e l’Europa

Per lo stesso motivo il PP ha ribadito che a prescindere dall’esito delle elezioni politiche, in calendario domenica prossima, la Spagna confermerà l’impegno nell’Unione Europea. Secondo Rajoy, “ora che stiamo finalmente uscendo dalla crisi economica, dobbiamo spostare il focus dell’Ue sulle necessità della gente, ponendo l’accento su crescita e occupazione”. Rajoy ha aggiunto che “questo risultato dovrebbe spingere gli stati membri (dell’Ue) a riflettere su come rafforzarci più che mai per tornare al vigore dello spirito originario che era alla base del progetto europeo e recuperare l’interesse e la simpatia dei cittadini”.

Uno squarcio del pensiero di Iglesias su euro ed Europa lo possiamo ascoltare nell’intervista rilasciata qualche tempo fa a Piazzapulita. Quanto prende di stipendio un europarlamentare di Podemos? «Può guadagnare un massimo di tre volte il salario minimo spagnolo, ovvero 1930 euro al mese per 14 paghe. Il resto va donato al partito oppure a ONG o movimenti sociali», rispondeva lui. E poi: «In Spagna uno spagnolo su quattro è povero, siamo il terzo paese al mondo per malnutrizione infantile, i nostri giovani devono emigrare. Intanto il numero di milionari è cresciuto, allo stesso tempo; e ci sono spagnoli che sono poveri anche se hanno un lavoro: se questo è il risultato delle misure della trojka nel nostro paese…», aggiungeva quando gli chiedono dell’intervento dell’FMI in Spagna. «Io non voglio per il mio paese un futuro di camerieri per i turisti tedeschi, e un governo che deve chiedergli il permesso o le istruzioni per fare qualcosa. Questa è la situazione in Spagna e questa è la situazione anche in Italia», aggiungeva riguardo la politica europea. E Renzi? «C’è una grande differenza tra quello che dice e quello che fa. Ha criticato l’austerity ma poi ha fatto una trattativa con i suoi sostenitori per scegliere il presidente e i commissari europei, eleggendo alla fine Juncker che è finito nello scandalo Luxleaks. Ha tante cose da spiegare, Renzi. La politica non è solo marketing. La riforma dell’articolo 18 secondo me è una cosa molto vecchia, anche se lui vuole farsi passare per nuovo. Come è vecchia la trattativa con Berlusconi. Dopo otto mesi sembra un politico vecchio come gli altri, anche se ha una faccia più giovane».

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