La National Academies of Sciences: gli OGM non fanno male alla salute

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-05-18

Attualmente oggi le coltivazioni OGM riguardano il 12% di tutte le terre coltivabili (179,7 milioni di 1,5 miliardi di ettari), le principali varietà coltivate sono la soia e il mais. Anche se non rappresentano rischi per la salute umana però gli OGM non sono “piante miracolose” in grado di risolvere tutti i mali dell’umanità

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Che cosa sono gli OGM? Fanno male alla salute come dicono molti ambientalisti di stretta osservanza reportariana? Una risposta l’ha data ieri la National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine che ha pubblicato un accurato studio sui prodotti geneticamente modificati. Lo studio, condotto comparando i dati epidemiologici degli Stati Uniti e del Canada (dove è consentito il commercio di cibi prodotti con OGM) e quelli dell’Europa (dove sono in gran parte vietati) non ha rilevato sostanziali differenze in termini di qualità della vita e della salute dei cittadini.

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Credits: National Academies of Sciences

Non ci sono prove scientifiche che gli OGM fanno male alla salute

È bene dirlo subito: il rapporto pubblicato ieri è una meta analisi su studi già pubblicati. Dall’analisi di oltre 900 studi condotti in un arco temporale di vent’anni (ovvero da quando sono state introdotte le colture di organismi geneticamente modificati) emerge che gli OGM sono alimenti sicuri per l’uomo, dice la National Academies of Sciences. Insomma non ci sono evidenze scientifiche del fatto che nutrirsi di i OGM possa provocare – come sostengono molti – un aumento dei casi di tumore, obesità, malattie del tratto gastrointestinale, reazioni allergiche o addirittura autismo (che si sa non manca mai). Ma c’è di più: il rapporto (dal titolo Genetically Engineered Crops: Experiences and Prospects) rileva come anche la distinzione tra organismi geneticamente modificati e le normali tecniche di selezione e miglioramento delle colture siano diventate meno nette e più sfumate il che fa supporre che sia sbagliato contrapporre i due metodi di miglioramento delle specie coltivate che invece dovrebbero essere complementari. Anche perché il rapporto non ha evidenziato effetti negativi sulla biodiversità dovuti all’incrocio tra  organismi GM e le loro controparti selvatiche. Allo stesso modo utilizzare piante resistenti agli insetti o agli erbicidi non contribuisce a danneggiare la biodiversità delle piante o degli insetti (come invece lamentava Michele Serra in un’amaca dal sapore apocalittico pubblicata ieri). Al contrario in alcuni casi il ricorso a piante GM ha portato ad un aumento della biodiversità degli insetti (ovviamente non stiamo parlando di mutanti). Il comitato di 50 esperti del settore che ha lavorato per due anni al rapporto precisa che, pur non essendoci prove scientifiche di effetti negativi sulla salute umana sono ancora da valutare gli eventuali rischi a lungo termine dell’esposizione ad alimenti contenenti organismi geneticamente modificati. Questo genere di rischi, per l’uomo e per l’ambiente, risulta al momento difficile da quantificare e valutare. Ma dal momento che l’industria agroalimentare degli OGM può costituire uno strumento importante per aumentare la quantità di cibo (e conseguentemente sfamare più persone) secondo il Comitato scientifico delle National Academies è necessario continuare a monitorare la situazione e sviluppare OGM migliori.

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L’andamento della produzione agricola prima e dopo l’introduzione degli OGM

Gli OGM sono davvero così convenienti rispetto ad altre colture?

Ed è proprio la qualità dei prodotti geneticamente modificati il secondo aspetto dello studio: a quanto risulta infatti l’introduzione degli OGM non ha contribuito – in modo sostanziale e decisivo – ad aumentare la quantità dei raccolti che invece era già in aumento prima del 1987 (ovvero prima dell’arrivo degli OGM). In parole povere significa che al momento gli organismi GM non sono potenzialmente “più redditizi” ma che il loro principale pregio è quello di consentire agli agricoltori di avere un raccolto più resistente a parassiti ed erbicidi utilizzati per eliminare gli infestanti dai campi e riguardo a questo aspetto non si può negare che siano un successo anche se il rapporto evidenzia come in alcuni casi siano emersi casi di insetti resistenti ai pesticidi. Anche per quanto riguarda le piante tolleranti al glifosato (il famoso erbicida) è emerso come il suo utilizzo abbia contribuito a creare in alcune aree delle specie di infestanti resistenti all’erbicida (le cosiddette super weed) la cui presenza contribuisce ad aumentare i costi per gli agricoltori e a rendere a volte economicamente “non efficiente” il ricorso agli OGM. Un altro problema relativo alle piantagioni GM è il prezzo delle sementi. L’alto costo iniziale che un coltivatore deve pagare per poter accedere a questa tecnologia non la rende così vantaggiosa come potrebbe essere, se i prezzi delle sementi fossero più bassi, spiega la National Academies of Sciences gli agricoltori potrebbero beneficiare maggiormente dell’introduzione degli organismi GM (c’è però chi dice che il ricorso agli OGM “produce” agricoltori meno preparati dal punto di vista tecnico). A quanto pare il costo e la difficoltà di accedere al credito giocano un ruolo cruciale nella diffusione degli OGM, non sono insomma piante miracolose nemmeno da questo punto di vista. Ed è sugli aspetti più critici del ricorso agli OGM che devono intervenire gli enti preposti a regolamentarne l’utilizzo, non si tratta solo della battaglia per avere l’indicazione in etichetta sul prodotto finale ma anche di un complesso sistema di regole in grado di consentire agli agricoltori la libertà di scegliere quale tipo di sementi piantare. Fermo restando che il rischio zero non esiste il rapporto della National Academies dice che l’intervento degli enti regolatori dovrebbe avere l’obiettivo di facilitare il raggiungimento dei massimi livelli di benefici per la società (quindi maggiore produzione di cibo sano ad un minor costo) ad un livello “accettabile” di rischio per la società e per l’ambiente. Tutte le colture infatti pongono un rischio per l’ambiente e per la biodiversità, l’importante è saper calibrare (e soprattutto definire) il livello di rischio e operare affinché tutti possano trarne beneficio. Questo passa, naturalmente, anche per una maggiore trasparenza da parte dei produttori di sementi GM e per una maggiore attenzione – da parte di chi ha responsabilità di governo – nella promozione di un dibattito pubblico sulla questione in modo da consentire ai consumatori di essere informati sui fatti e non su ipotesi campate in aria.

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