La lettera di Federica Guidi al Corriere della Sera

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2016-04-02

La ministra dimissionaria scrive al quotidiano per chiarire la sua posizione sull’inchiesta Tampa Rossa: «La società di mio marito operava come subappaltatrice in Basilicata per un lavoro che nulla aveva a che vedere con lo sviluppo del progetto di Taranto e risaliva ad epoca precedente a quella in cui sono stata nominata ministro»

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Federica Guidi scrive una lettera al direttore del Corriere della Sera per dire la sua sull’inchiesta Tampa Rossa, che ha coinvolto il suo compagno (nella lettera lei lo chiama “marito) Gianluca Gemelli, indagato per corruzione, e la telefonata che lei gli ha fatto per annunciare la riproposizione di un emendamento da parte del governo che avrebbe consentito lo sfruttamento del sito. La Guidi, tra l’altro, dice che l’emendamento riguardava l’impianto di Taranto mentre la società “del marito” operava come subappaltatrice in Basilicata (ma per la stessa società che aveva l’impianto di Taranto, la Total).

Caro direttore,
in questi anni ho lavorato con estrema serietà e grande riservatezza, come mi hanno insegnato a fare nell’ambiente imprenditoriale nel quale mi sono formata. Oggi sento però l’esigenza di scrivere per chiarire alcuni punti e per sottolineare alcuni dati, che nella polemica politica sono stati strumentalizzati e deformati. Comincerei dall’inizio, ricordando che la polemica nasce da una telefonata a colui che considero a tutti gli effetti mio marito, nella quale lo informavo di un provvedimento parlamentare di portata nazionale. In particolare, gli davo una notizia nota, su un fatto avvenuto in un luogo pubblico — il Parlamento — al quale hanno dato risalto tutti i media e del quale molti addetti ai lavori avevano già conoscenza perché di rilevante interesse per l’economia nazionale. Insomma, nessuno ha rivelato segreti di Stato.
Ma è bene anche entrare nel merito. Nella telefonata lo informavo di un emendamento che avrebbe consentito di accelerare i processi autorizzativi di molte opere strategiche, tra cui il cosiddetto progetto Tempa Rossa di Taranto, bloccato da anni. La società di mio marito, invece, operava come subappaltatrice in Basilicata per un lavoro che nulla aveva a che vedere con lo sviluppo del progetto di Taranto e risaliva ad epoca precedente a quella in cui sono stata nominata ministro. Qualcuno ha gridato allo scandalo, al ministro che favorisce il marito. Non è vero.
Io rivendico l’importanza di quella norma per il Paese. Come sappiamo, uno dei problemi dell’Italia è la costante necessità di acquistare dall’estero le risorse energetiche di cui abbiamo bisogno, per riscaldare le nostre case, per accendere le luci, per cucinare e per produrre le eccellenze del Made in Italy che mandano avanti la nostra economia. In questo contesto una serie di grandi imprese hanno deciso di investire miliardi di euro per estrarre petrolio e gas naturale in Italia e di farlo, peraltro, al Sud. È un settore che il governo ritiene strategico e che comporta la creazione di posti di lavoro e di un indotto importante.
Insomma, non era necessario un mio speciale interessamento per mandare avanti una norma così importante. E comunque, dopo che è stata approvata, non abbiamo attivato i poteri sostitutivi che la legge ci conferiva. In sintesi, appare chiaro che tutto è accaduto alla luce del sole, su un progetto strategico per il Paese e nel massimo rispetto del mio ruolo. Ovviamente, mi rendo conto che ci sono tutti gli ingredienti per uno scandalo mediatico: il Ministro, la telefonata, il grande progetto industriale, un mio familiare. Ricamarci sopra, per molti, è stato facile. Ancor più facile in vista del referendum sulle trivelle, che per molti è occasione non di ragionamento serio ma di bagarre politica.
Anche per questo, primariamente per ragioni di opportunità politica ho subito deciso di dimettermi, per senso di responsabilità verso il governo del quale ho fatto parte, a maggior ragione alla vigilia di un appuntamento fondamentale come è il referendum sulle trivelle. Ma la mia è anche una scelta umana, che mi costa, ma che ritengo doverosa per i miei principi che hanno ispirato sempre la mia vita. Credo che anche alla luce del ruolo istituzionale che ho ricoperto, queste precisazioni siano per me necessarie, per consentire ai lettori, ai cittadini e alle molte persone che hanno lavorato con me di farsi un’opinione critica conoscendo i fatti e potendo giudicare in maniera informata.

Intanto Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera fa sapere che Federica Guidi sapeva almeno da un anno dell’esistenza di un’inchiesta sul progetto Tempa Rossa. E da tre mesi era a conoscenza che gli accertamenti della Procura di Potenza coinvolgevano il suo compagno Gianluca Gemelli. All’inizio del 2016 l’imprenditore, indagato per corruzione, aveva infatti ricevuto un avviso di proroga delle indagini e aveva nominato un difensore. «Possibile che il ministro per lo Sviluppo economico non abbia avvisato il presidente del Consiglio Matteo Renzi? Che non lo abbia detto ad altri colleghi di governo?», si chiede nell’articolo.

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