La guerra di Renzi contro i numeri

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-08-28

Le “figuracce” e i “disastri” del ministro del Lavoro Poletti. E il ministro dell’Economia che ricorda “niente tagli di tasse senza tagli di spesa”. Il premier stretto tra i due fuochi sui numeri che deve spendere alle prossime elezioni politiche. Crescita e occupazione: su quello si gioca il posto

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Poletti e Padoan, Padoan e Poletti. Il ministro del Lavoro rimedia quella che gli stessi collaboratori del premier definiscono una figuraccia (l’ennesima, a dirla tutta) sul Jobs Act; il responsabile dell’Economia avverte e ricorda che per tagliare le tasse bisogna tagliare la spesa, e da lì non se ne esce. E Matteo Renzi è irritato con entrambi, anche se per motivi opposti: il primo per essere troppo lasco, il secondo troppo rigido. La guerra di Renzi con i numeri prosegue alla vigilia della prima delle tre leggi di stabilità che dovranno, nelle intenzioni del premier, accompagnarlo alle elezioni nel 2018. Nelle quali però verrà giudicato proprio in base ai numeri che dovranno fornirgli Padoan e Poletti: quelli della crescita e quelli dell’occupazione. Ma è l’economia, stupido: proprio per questo, forse, intanto si susseguono rumors sul cambio della squadra di consiglieri economici di Palazzo Chigi: Carlotta De Franceschi, Tommaso Nannicini e Andrea Guerra sul piede di partenza per motivi diversi e da sostituire.
 
LA GUERRA DI RENZI CONTRO I NUMERI
Fino a poco tempo fa il presidente del Consiglio era convinto di potersi fidare del suo ministro del Lavoro. Tanto da finire per citare in televisione proprio i numeri che forniva Poletti, e liquidando i numeri dell’Istat come «sondaggi», a confronto dei dati «reali» del Welfare. Oggi non è più così: la scelta di uscire ogni mese con numeri e tabelle ha inquinato il dibattito politico sull’occupazione, fornendo numeri spesso in aperto contrasto con l’Istat ma buoni per un tweet degli ascari (quelli gratuiti e quelli pagati) e per una comparsata in tv a difesa del governo. E alla fine questo ha causato uno scontro con l’istituto di statistica, che la famigerata intervista di Giovanni Alleva sui “numeri politici del ministero sull’occupazione” rilasciata al Fatto e alla sponda offerta dal presidente dell’INPS Tito Boeri, che in più occasioni ha ricordato che i numeri ufficiali sono quelli dell’ISTAT. Fino al patatrac di qualche giorno fa, che ha visto il ministero prima fornire un dato molto positivo e poi trovarsi costretto a correggerlo pubblicamente dopo che gli era stato fatto notare che i conti non tornavano, trovandosi a fare la figura del droghiere che ti dà il resto sbagliato, sì, ma guarda caso sbaglia sempre a favore suo.

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I numeri delle tabelle del ministero del Welfare sul Jobs Act “corretti” (La Repubblica, 28 agosto 2015)

«Solo un errore umano», ha fatto sapere ieri Poletti scatenando le facili battute sul fatto che l’errore sia stato nominarlo ministro. E intanto anche gli ultimi decreti attuativi del Jobs Act, quelli più in discussione sul controllo a distanza per operai e impiegati (una norma che cambia poco per i primi, molto per i secondi) sono finiti nel rimandificio della presidenza del Consiglio, finendo rinviati alla prossima settimana ufficialmente a causa di un ingorgo negli ordini del giorno del CDM che però, a conti fatti, sembra più che altro una scusa. L’irritazione per la figuraccia sui dati del Lavoro esiste, racconta oggi Repubblica, e il ministro sembra “un disastro” all’entourage del premier, chiuso in un rigido silenzio anche sui social network riguardo il tema. E in effetti quando non si sa che dire è meglio stare zitti. Parla invece proprio oggi Enrico Giovannini, ex presidente dell’ISTAT e predecessore di Poletti: «È molto semplice: il numero di occupati a giugno 2015 è identico a quello di giugno 2014, il numero dei disoccupati è cresciuto di 85 mila unità, e il numero degli inattivi è diminuito di 131 mila. Questo vuol dire che l’effetto complessivo delle misure adottate per il lavoro è stato finora nullo. Aggiungo che il numero di giovani occupati (860 mila, 8Omila in meno di un anno fa ) è al minimo storico». Una prece.
 
L’ARABA FENICE DELLA SPENDING REVIEW
Intanto c’è un Padoan che, come gli elefanti, ha ottima memoria. E ricorda quello che i giornali avevano già fatto notare al premier in occasione dell’annuncio del mirabolante piano per tagliare le tasse in tre anni con altrettante leggi di Stabilità. La cancellazione di IMU e TASI per tutti è un costo tutto sommato realizzabile, se non ci fossero di mezzo le clausole di salvaguardia su accise e IVA messe dai governi Monti e Letta e che adesso l’esecutivo deve neutralizzare per non far spirare quel poco di crescita che soffia sull’Italia. Ma per fare questo, ricordano a via XX Settembre, l’unica strada è il taglio della spesa. Il pacchetto della spending review firmato da Gutgeld e Perotti vale 10 miliardi nel 2016, e serve ad evitare le clausole sommata agli sconti di Bruxelles. Renzi è convinto che l’Europa concederà maggiore flessibilità all’Italia, Padoan invita a non avere troppi entusiasmi da questo punto di vista e a trovare le risorse all’interno. Non basterà la maggiore crescita, visto che ci sono anche dubbi che si riesca a superare lo 0,7% promesso nel DEF. E allora dove il trova i soldi Renzi? Il Sole 24 Ore intanto oggi immagina altre misure allo studio per l’economia, anch’esse con un costo non indifferente.
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Il Sole 24 Ore, 28 agosto 2015

La guerra con i numeri è come quella con la realtà: come che sia, si finisce per perderla sempre.

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