La Guardia di Finanza ci "spia" su Facebook?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-10-14

I social network e la Rete in generale vengono utilizzati per raccogliere informazioni utili alle indagini, la Guardia di Finanza ha messo a punto diversi strumenti informatici in grado di analizzare le informazioni e incrociare i dati presenti su diversi database

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Quello che fai su Facebook resta su Facebook, dicono alcuni parafrasando il famoso adagio relativo a Tijuana (o a Las Vegas). Ma non è così, perché Facebook anche per i tutori della legge è uno dei tanti luoghi, fisici o virtuali che siano, da monitorare durante lo svolgimento delle indagini. Non stiamo parlando qui della famosa bufala in circolazione in diverse versioni sul “Ministero dell’Interno che ha chiesto l’accesso ai nostri profili Facebook” per spiarci e violare la nostra privacy, si tratta di un’attività investigativa semplice ed elementare che non richiede l’azione di hacker o il furto di password per carpire i segreti degli utenti ma che è allo stesso tempo redditizia
 

Un approccio multidisciplinare alle indagini della Guardia di Finanza

Lo ha spiegato ieri durante un’audizione alla Camera il Comandante generale della Guardia di Finanza Giorgio Toschi che, come riferisce Italia Oggi, ha illustrato le modalità con cui la GdF utilizza Facebook altri social e la Rete in generale per raccogliere informazioni di reato. Il tutto viene fatto senza dover rubare le password per accedere ai profili, come avvertiva la famosa bufala, ma “semplicemente” analizzando i dati pubblicati dagli utenti e utilizzandoli per verificare il tenore di vita e la capacità di acquisto di un soggetto già sotto indagine per reati tributari. Per fare questo non c’è bisogno di fare richiesta di rogatorie internazionali (richiesta che può essere in ogni caso avanzata in un secondo momento) ma è sufficiente monitorare il comportamento tenuto dagli utenti e osservare il tipo di contenuti postati. Non è nemmeno una vera e propria attività di spionaggio perché quello che facciamo su Facebook (al di fuori del nostro sigillatissimo profilo personale) è come se succedesse in piazza quindi è visibile a tutti. La GdF ha così messo a punto una serie di strumenti informatici per snellire il lavoro di indagine e approntato una task force che si occupa proprio di porre in essere «un sistematico, strutturato e permanente monitoraggio della rete, con l’obiettivo di individuare tracce di fenomeni di illegalità economico-finanziaria commessa sfruttando il web». Nel mirino non c’è solo Facebook ma anche – ad esempio – AirBnb e altri servizi che consentono di affittare appartamenti e case vacanze da parte di privati. È stato proprio grazie all’applicativo messo a punto dalla Guardia di Finanza (chiamato “Domus Network”) che è stato possibile scandagliare la Rete e portare a compimento l’operazione denominata “Venice Journey” che ha accertato l’evasione della locaele imposta di soggiorno per circa un centinaio di appartamenti affittati “in nero” (quindi totalmente sconosciuti al fisco) ai turisti della località lagunare. Ma nel mirino della task force ci sono anche coloro che offrono offerte economiche o servizi illegali (ad esempio lo streaming dei contenuti IPTV delle pay-TV). Una volta identificati soggetti con maggiori indizi di evasione fiscale (o di altre attività illecite) questi vengono sottoposti ad una attività di sorveglianza capillare e variegata che si svolge anche (ma non solo) tramite la Rete e i social network. Non c’è quindi nessun “bot” o altro software spia che entra nei vostri profili per esaminare quello che postate, ci sono invece degli strumenti informatici creati appositamente che automatizzano la ricerca e la raccolta dei dati che gli utenti mettono online e che vengono successivamente incrociati tra loro e con quelli di altre banche dati (ad esempio l’Agenzia delle Entrate, i registri comunali e così via) e che andranno ad integrare le informazioni svolte durante l’attività di indagine. Quello che gli utenti non si rendono conto è che sono loro stessi a mettere queste informazioni a disposizione degli inquirenti, magari perché pensano che siccome sono su Internet sono al riparo dall’intervento delle forze dell’ordine.
 

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