La Grexit costerebbe 1000 euro a ogni italiano

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-07-03

Oggi il Consiglio di Stato si esprime sul referendum, a rischio bocciatura. Tsipras promette che firmerà l’accordo il giorno dopo la consultazione. Che sta costando alla Grecia in crescita ed export. Intanto i conti sulla Grexit fanno male all’Italia e all’Europa, oltre che ad Atene

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Il voto nel referendum di domenica costerà alla Grecia il 2% del PIL. Lo stallo delle trattative e il blocco dei capitali già pesano su import ed export. D’altro canto, la Grexit costerebbe mille euro ad ogni italiano. E Atene ha comunque bisogno di nuovi prestiti per 36 miliardi. A due giorni dall’apertura delle urne, e con la spada di Damocle di un’udienza davanti al Consiglio di Stato che oggi potrebbe mettere a rischio la consultazione, Bruxelles e Atene fanno i conti sulle incognite della crisi dei conti di Atene. E i numeri non sono incoraggianti. Mentre Michael Spence dice che la Grexit potrebbe costare lacrime e sangue soprattutto ad Atene e Daniel Gros invece avverte dei “pericoli” per l’Europa di un’uscita virtuosa.
 
LA GREXIT COSTEREBBE MILLE EURO AD OGNI ITALIANO
Stefano Lepri sulla Stampa spiega che ogni italiano oggi è esposto per 600 euro con la Grecia, con prestiti che hanno una data di completamento di restituzione molto in là con gli anni: ma con una Grexit la possibilità che non li si riceva più indietro aumenta di probabilità, e a questo bisognerebbe aggiungere altri effetti collaterali, come quelli segnalati ieri da Standard & Poor’s: in totale si arriverebbe a circa mille euro di perdite:

Nell’ipotesi che le cose si mettano ragionevolmente bene – ossia vittoria del «sì» nel referendum di domenica prossima, e nuovo accordo con l’Europa sulla base dei sacrifici previsti dal negoziato ora interrotto – la Grecia avrà ugualmente bisogno di aiuti aggiuntivi per andare avanti. Se si fosse più generosi diverrebbe inevitabile condonare in parte il debito esistente. Ovvero, nei termini del calcolo «pro capite» per gli italiani, in aggiunta ai 600 euro bisognerebbe prestarne almeno altri 100 (in rapida salita dopo gli ultimi eventi) e mettere in conto che una parte non ritorni mai. In caso di uscita della Grecia dall’euro, invece, non solo i 600 euro li perderemmo tutti ma si aggiungerebbero altri danni difficili da calcolare, per un totale di forse 1000.

Lepri riporta l’analisi del Fondo Monetario Internazionale di cui abbiamo parlato anche noi, e che certifica l’impossibilità da parte della Grecia di restituire nei tempi fissati i prestiti effettuati tra 2009 e 2011:

Alla solidarietà gli altri europei sono dunque costretti ma anche per loro, come per i greci, ci sono limiti di tolleranza. Tra le righe, lo studio Fmi fa capire che i calcoli alla base dei precedenti programmi di aiuto alla Grecia si fondavano su numeri stiracchiati a più non posso, robusti aumenti di produttività, scomparsa del lavoro nero, bassa disoccupazione, alto tasso di crescita. Da qui a tutto il 2018 il Fmi ritiene necessario prestare alla Grecia altri 52 miliardi di euro, dei quali «almeno 36» dovrebbero essere a carico degli altri Stati europei. Purtroppo i suoi i calcoli, chiusi il 26 giugno, non sono aggiornati ai danni provocati dalle scelte del governo Tsipras negli ultimi giorni, banche chiuse, pagamenti paralizzati, prenotazioni disdette dai turisti.Una stima sommaria può far salire la cifra a 70 miliardi; alla ripresa del negoziato gli obiettivi di bilancio per il 2015 dovrebbero essere modificati. Basterebbe questo a trasformare in necessità un intervento sul debito già esistente. Per alleviare il peso del debito l’opzione minima che il Fondo suggerisce sarebbe di rinviare ancora, a venti anni, l’inizio dei rimborsi. In questa forma, più accettabile agli elettori dei Paesi nordici, l’ammontare nominale dei soldi prestati non sarebbe ridotto. Un intervento più incisivo sarebbe invece di condonare il 30% dei debiti.

Le infografiche del governo greco sugli effetti dell’austerità


IL GIUDIZIO DEL CONSIGLIO DI STATO
Il Consiglio di Stato greco intanto si esprimerà oggi sulla legalità del referendum indetto sulle condizioni poste dai creditori per riprendere i finanziamenti ad Atene. Lo riferiscono fonti giudiziarie elleniche, secondo le quali il massimo tribunale amministrativo di Atene è stato chiamato a valutare la consultazione da un ricorso presentato da due cittadini, uno dei quali sarebbe un ex giudice del Consiglio di Stato vicino a Nea Demokratia, la formazione di centro-destra tra i partiti che stanno facendo campagna a favore del sì. Secondo i ricorrenti, il referendum violerebbe la Costituzione in quanto pone un quesito che riguarda le finanze pubbliche, oltre a non essere esposto in termini chiari. Secondo le fonti, sarebbe stato inoltre depositato un controricorso da dodici legali, in larga parte aderenti a Syriza, il partito di sinistra radicale al governo, secondo i quali la consultazione è lecita perché riguarda un problema di “sovranità nazionale”. Il verdetto del Consiglio di Stato, concludono le fonti, è atteso per domani sera. Il Sole 24 Ore invece avverte che la Grecia potrebbe perdere fino al 2% del PIL per il referendum:

Una mazzata per un Paese che ha già perso a causa della recessione in cui è precipitato negli ultimi cinque anni il 27% del suo prodotto interno lordo. Analisti locali e internazionali concordano in coro da tutte le latitudini nel lanciare l’allarme su questa ennesima tegola caduta su un Paese già martoriato dove la disoccupazione è esplosa al 28% e le sofferenze bancarie viaggiano al 40%, mentre l’agenzia del turismo ammette 50mila disdette. Stime di ulteriore rallentamento sono confermate anche dall’ex ministro delle Finanze, Gikas Hardouvelis, economista del governo Samaras, che parla di una spirale di sfiducia causata da questa estrema polarizzazione e incertezza politica, una mazzata che colpirà comunque: anche in caso di vittoria del sì al referendum di domenica.

“Il giorno dopo il referendum sarò a Bruxelles e un accordo sarà firmato”, ha invece detto ieri sera il premier greco in un’intervista alla tv Antenna, assicurando che la firma di un’intesa arriverà entro 48 ore dal voto. Parlando all’emittente Ant1, Tsipras ha spiegato che con la vittoria del ‘no’ ci sarà una “soluzione sostenibile” per la Grecia. “Questo accordo può essere il cattivo accordo che ci propongono o uno migliore: più forte è il ‘no’, migliore sarà l’accordo”, ha detto. In caso contrario, se vincesse il ‘sì’ il premier greco ha spiegato che avvierà “le procedure previste dalla Costituzione” per fare in modo che la proposta delle istituzioni (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) diventi legge. In questo scenario, Tsipras ha detto che non metterà la sua “poltrona” al di sopra gli “interessi della nazione”, suggerendo che potrebbe dimettersi.

Leggi sull’argomento: Quanto costerà la Grexit all’Italia

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