La fine dell'inchiesta-bufala su Emanuela Orlandi

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-05-05

Si chiude dopo anni il massacro giudiziario e soprattutto mediatico sulla scomparsa della ragazzina di cittadinanza vaticana: un complottone di prima categoria di cui erano stati accusati negli anni personaggi vicini agli ambienti della mala romana e poi oscure “fazioni” che tramavano su Agça e Wojtyla. Non ci crederete: alla fine tutto si conclude con un nulla di fatto

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Fine dei giochi, e nel modo più inglorioso possibile. L’inchiesta su Emanuela Orlandi che negli anni precedenti aveva appassionato giornalisti dotati di tanta fantasia, trasmissioni televisive appassionate di complottismo ed editori pronti a pubblicare qualsiasi libro che raccontasse fregnacce sul caso finisce con una richiesta di archiviazione da parte del procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, non condivisa, secondo quanto raccontano le prime notizie, dal magistrato che ha indagato negli ultimi anni, che non ha firmato la richiesta di archiviazione del procedimento di cui è stata data notizia con una nota della Procura di Roma. In particolare – si spiega – il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo «non condividendo alcuni aspetti della richiesta di archiviazione ha richiesto la revoca dell’assegnazione del procedimento, che è stata disposta anch’essa in data odierna», si aggiunge. Non solo: per l’ultimo “teste-verità” emerso negli anni, ovvero quel Marco Fassoni Accetti che aveva portato un flauto d’epoca asserendo che fosse quello di Emanuela Orlandi, il procuratore di Roma ha deciso di procedere, sì, ma non per rapimento: per calunnia e autocalunnia. Ovvero per aver accusato sé stesso e qualcun altro di un reato davanti all’autorità giudiziaria, dicendo il falso. Chiusura indagine con archiviazione anche per Mirella Gregori, il cui caso era stato mediaticamente e strumentalmente legato a quello della Orlandi.
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LA FINE DELL’INCHIESTA-BUFALA SU EMANUELA ORLANDI
La richiesta di archiviazione sui casi Orlandi e Gregori “conclude indagini estremamente complesse e approfondite condotte dalla squadra mobile di Roma e direttamente dai magistrati di questo ufficio nei confronti di diversi indagati”, afferma il procuratore Giuseppe Vecchione in una nota. Indagini – prosegue – protrattesi “per moltissimi anni dopo una prima fase definita con sentenza di proscioglimento degli imputati emessa dal giudice istruttore di Roma il 19 dicembre 1997”. “All’esito delle indagini che hanno approfondito tutte le ipotesi investigative – afferma ancora il capo della procura – man mano prospettatesi, sulla base delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia e di numerosi testimoni, delle risultanze di inchieste giornalistiche e anche di spunti offerti da scritti anonimi e fonti fiduciarie, non sono emersi elementi idonei a richiedere il rinvio a giudizio di alcuno degli indagati”.  Le nuove indagini della Procura di Roma sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori sono state riavviate negli anni scorsi dal procuratore aggiunto Italo Ormanni dopo che Sabrina Minardi, ex compagna di De Pedis aveva reso una serie di dichiarazioni in cui ricostruiva una complessa vicenda dove un ruolo nelle vicende delle due giovani era stato preso da alcuni esponenti della Banda della Magliana. Per questo, anche in seguito ad alcune verifiche investigative, erano stati indagati alcuni soggetti ritenuti vicini a ‘Renatino’, Angelo Cassani detto Ciletto; Sergio Virtù  “il macellaio” e Gianfranco Cerboni noto come ‘Gigetto’. Nella nota della Procura si definisce che per tutti è stata chiesta l’archiviazione. Nessuna possibilità di fare un processo anche per la stessa Minardi e per monsignor Piero Vergari, già rettore della chiesa di Sant’Apollinare dove è rimasto sepolto per diversi anni De Pedis e che è stato riesumato proprio in seguito all’inchiesta. La procura ha deciso di proseguire l’inchiesta nei confronti del fotografo che si era autoaccusato di aver partecipato al rapimento, e in particolare di essere stato uno dei misteriosi ‘telefonisti’. Per Accetti, che inizialmente era stato ascoltato come testimone, la procura ipotizza i reati di calunnia e di autocalunnia.
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TUTTE LE BUFALE DEL CASO ORLANDI
Dopo l’inchiesta chiusa dal magistrato Adele Rando nei confronti di una serie di cittadini turchi che si erano autoaccusati del sequestro – anche quella pista si rivelò un clamoroso buco nell’acqua – la vicenda di Emanuela Orlandi si è riaperta nel giugno del 2008, quando Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore della Lazio Bruno Giordano e amante, secondo il suo racconto, di Enrico De Pedis detto Renatino, accusato di essere un boss della Banda della Magliani, aveva raccontato alla trasmissione Chi l’ha visto? e poi ai magistrati una verità alquanto improbabile: Emanuela Orlandi sarebbe stata prelevata da Renatino De Pedis su ordine di monsignor Marcinkus, all’epoca presidente dello Ior. «Con Renatino, a pranzo da Pippo l’Abruzzese, arrivò Sergio, l’autista, con due sacchi. Andammo in un cantiere, io restai in auto: buttarono tutto dentro una betoniera. Così facciamo scomparire tutte le prove, dissero». In uno di quei sacchi, secondo la superteste, c’era il corpo di Emanuela Orlandi e nell’altro, sostiene la donna, un bambino di 11 anni ucciso per vendetta, Domenico Nicitra, figlio di uno storico esponente della banda. Peccato che invece Nicitra sia scomparso nel 1994 ed Emanuela Orlandi nel 1983. Il tutto viene raccontato in un libro di Raffaella Notariale, giornalista di Chi l’ha visto?, dove si promette di raccontare “La vera storia della Banda della Magliana”. La Minardi chiama in causa anche gli indagati per cui oggi la procura ha chiesto l’archiviazione, ovvero Sergio Virtù, indicato dalla Minardi come “autista di De Pedis”, e di “Ciletto” e “Rufetto” (per altri: “Giggetto”), ovvero Angelo Cassani, Libero Manconi e Gianfranco Cerboni, tre persone che avrebbero avuto a che fare, secondo la Minardi – che all’epoca viveva in un centro recupero per tossicodipendenti – con il famoso sequestro e la successiva morte. La testimonianza della Minardi era stata in un certo senso anticipata da una telefonata anonima a Chi l’ha visto?, che diceva di “andare a cercare nella tomba di De Pedis a Sant’Apollinare” per trovare il corpo della ragazzina: anche questa era una bufala, anche se il seppellimento di Renatino era invece una verità (scoperta anni prima da un articolo del Messaggero: quindi la notizia era di dominio pubblico e non uno scoop). I magistrati fecero riesumare il corpo, che poi fu trasportato in altro loco, e confrontarono il DNA anche con quello di alcune ossa rinvenute nell’ossario della chiesa, senza alcun risultato. La Banda della Magliana, si sa, è come il nero: sta bene su tutto. Ma nell’occasione, e nonostante gli sforzi di personaggi sempre più improbabili di rinsanguare la fiction sulla storia, si è rivelato un fallimento.
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LA SVOLTA COMPLOTTISTICA DEL GANGLIO 
Come se non bastasse, e tralasciando le altre bufale conclamate come la storia di Emanuela Orlandi rinchiusa in un ospedale psichiatrico a Londra, diffusa via etere romano da un sedicente esponente dei servizi segreti (nell’ospedale indicato dal tizio, però, non c’era mai stato un reparto psichiatrico), nell’aprile 2013 è comparso in scena Marco Fassoni Accetti. Artista e fotografo, aveva fatto ritrovare un flauto che secondo lui sarebbe appartenuto ad Emanuela Orlandi. Il flauto viene mostrato il 3 aprile alla trasmissione Chi l’ha visto?, e la Rai informa che «è stato rinvenuto nel luogo indicato sotto una formella raffigurante una stazione della Via Crucis. Era avvolto in alcuni fogli di giornale, uno dei quali del 29/5/’85 con una articolo sul caso Orlandi’.Inciso sullo strumento ‘Fism Rampone e Cazzani Milano’ un numero di matricola che inizia con 36’». Un mese dopo il test del DNA non trova le tracce necessarie per stabilire che il flauto sia quello appartenuto ad Emanuela, mentre sui giornali parte una caccia al complotto davvero imbarazzante per chi è dotato di un minimo di senso comune. Il giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Peronaci firma prima una serie di articoli e poi un libro nel quale trova ampio spazio il memoriale di Accetti, nel frattempo diventato una star televisiva, che racconta che l’artista avrebbe fatto parte di una fazione vaticana che voleva influire sulla politica estera della Santa Sede facendo sparire Emanuela Orlandi (con il suo assenso, in modo da escludere accuse di rapimento) e usandola come strumento di pressione per fermare le “rivelazioni” di Alì Agça, che, da troll provetto, già all’epoca e anche in questi ultimi anni ha ripetutamente confermato tutte le bufale messe in giro riguardo i suoi presunti fiancheggiatori, mai svelati nonostante le tante indagini dei pubblici ministeri.
emanuela orlandi fabrizio peronaci il ganglio
… E QUALCOSA RIMANE, TRA LE PAGINE CHIARE E LE PAGINE SCURE
Alla fine del ganglio che «fa riferimento alle posizioni del Segretario di Stato Agostino Casaroli, fautore della Ostpolitik, mentre l’altra fazione era legata alla linea fermamente anticomunista di Wojtyla e al ruolo di monsignor Paul Marcinkus, il capo dello Ior impegnato nel sostegno al sindacato Solidarnosc», e della “guerra di spie” scatenata dalla ricerca di un mandante dell’attentato compiuto da Agca (pista bulgara, poi caduta nel processo), e per il controllo dell’Istituto Opere di Religione, oltre che dell’«ipotesi di un nesso diretto tra il ferimento di Giovanni Paolo II (1981) e il rapimento delle due ragazze (1983) avrebbe portato alla luce un rapporto tra il “ganglio” e Agca» rimangono solo macerie. Tutto quello che in questi anni si è presentato come “il punto di svolta del caso Orlandi” si è rivelato essere una bufala fatta e finita, così come in effetti poteva sembrare anche all’occhio disincantato di chi guardava ai fatti con un minimo di senso del ridicolo. Nessuno ha prodotto una prova dell’esistenza in vita di Emanuela Orlandi dopo la sua scomparsa del giugno 1983 all’uscita della scuola di musica in Corso Rinascimento, nessuno ha prodotto una prova delle tante chiamate in correità per i protagonisti spesso inventati della vicenda, e soprattutto nessuno ha mai provato che la scomparsa di Emanuela Orlandi e la disinformazione scatenatasi a partire dai comunicati del Turkesh e dell’Amerikano fossero in qualche modo attribuibili alla stessa persona o allo stesso gruppo di persone. Trentadue anni dopo la sua scomparsa l’ultima inchiesta è nelle mani del giudice, che deciderà se archiviare definitivamente o proporre ulteriori indagini (molto improbabile). E la verità rimane nascosta, forse molto più vicino di dove si è andati per anni a cercare.

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