Con la Brexit a rimetterci saranno lavoratori e studenti (e non i «cattivi» banchieri)

di Dario Lapenta

Pubblicato il 2016-06-26

C’è chi esulta credendo che il risultato del referendum del 23 giugno sia un duro colpo a banchieri, capitalisti e burocrati, ma il vero prezzo dell’uscita del Regno Unito dall’UE lo pagheranno le classi più deboli

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Il voto storico del Regno Unito per l’uscita dall’Unione europea rischia di trasformarsi in un ciclone che potrebbe portare un danno reale e concreto verso lavoratori e piccole e medie imprese, nonché a circa un milione di cittadini europei che vivono a Londra. La Brexit rischia soprattutto di rappresentare un serio contraccolpo allo sviluppo e alla situazione occupazionale della Gran Bretagna. C’è chi esulta credendo che il risultato del referendum del 23 giugno sia un duro colpo a banchieri, capitalisti e burocrati, ma il vero prezzo dell’uscita del Regno Unito dall’UE lo pagheranno le classi più deboli.

Brexit, ci rimettono lavoratori e studenti

I sostenitori della Brexit hanno improntato la loro campagna sull’aumento dell’occupazione per i britannici, ma l’uscita di scena di Londra come uno dei principali punti di riferimento per le aziende europee porterà senza dubbio alla delocalizzazione di numerosi impieghi. Aziende che non hanno intenzione di sopportare il lungo periodo di incertezza -che avrà la durata di almeno due anni- prima dell’entrata in vigore dell’effettiva recessione secondo la normativa prevista dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Questo periodo di tempo, necessario a riformulare i rapporti, sarà caratterizzato da una forte turbolenza e volatilità dei mercati che potrebbe rendere sconveniente alle imprese straniere investire nel Regno Unito. Una situazione di questo tipo non può che tradursi in un calo occupazionale e significativo rallentamento della crescita del Pil.

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La Brexit e le banche centrali (Il Sole 24 Ore, 24 giugno 2016)

L’amministratore delegato della JPMorgan, Jamie Dimon, a inizio giugno ha affermato che la banca americana che ha oltre 16mila dipendenti nel Regno Unito potrebbe tagliare dai mille ai 4mila posti di lavoro. Anche la banca d’affari Morgan Stanley si dice pronta al trasferimento di 2mila dipendenti dalla sua sede a Londra verso l’Irlanda. Altre banche pronte al trasloco sono la Deutsche Bank e la Hbsc. I britannici, inoltre, se la quotazione della Sterlina dovesse stabilizzarsi al livello attuale (ai minimi da 31 anni nei confronti del dollaro), avranno un potere d’acquisto ridotto del 10% sulle merci provenienti dall’Europa e dagli USA. Questo significa vacanze più care e aumento del costo delle importazioni, anche in vista di una possibile introduzione di dazi che porterebbero a un inasprimento delle condizioni commerciali.

Estremisti e populisti gioiscono

Anche se esponenti di partiti populisti e di formazioni di estrema destra e estrema sinistra sono convinti che la Brexit abbia in qualche modo punito i ‘cattivi’ banchieri, capitalisti e burocrati, fautori dell’austerità, non si rendono conto che i primi a soffrire saranno soltanto i lavoratori. Banchieri e capitalisti saranno intaccati soltanto in parte dalla Brexit, e a farne le spese maggiori saranno proprio i dipendenti delle imprese, la cosiddetta working class.
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Riemergono i focolai indipendentisti

Il risultato del referendum riapre il capitolo dell’indipendenza della Scozia e dell’Irlanda del Nord, che hanno votato a maggioranza per il Remain. Il primo ministro scozzese Nicola Sturgeon ha definito come “altamente probabile” la possibilità di un secondo referendum per sganciarsi da Londra. “E’ inaccettabile in base ai principi della democrazia che la Scozia possa essere trascinata fuori dall’Unione europea. E’ chiaro che quanto accaduto (il 62% degli scozzesi hanno votato per rimanere n.d.r.) crea un quadro istituzionale completamente diverso pertanto un nuovo referendum sull’indipendenza scozzese è possibile ed è sul tavolo”, ha affermato la First minister del governo autonomo di Edimburgo. Anche il partito dell’Irlanda del Nord Sinn Fein ha chiesto un referendum per unirsi alla Repubblica d’Irlanda, richiesta però respinta dal primo ministro Theresa Villiers. E’ bene ricordare come prima dell’effettivo divorzio tra Londra e Bruxelles nella sostanza non cambierà nulla. Le conseguenze non si vedranno nell’immediato. Tutto dipenderà dall’accordo che verrà negoziato. Il rapporto del Regno Unito nell’Europa, in realtà, è stato da sempre conflittuale. La Gran Bretagna che aveva una visione contrattualistica dell’Unione,(una visione che non dispiaceva ai più liberali) che avrebbe -forse- potuto portare il tabù della cessione della sovranità monetaria a un’attuazione più graduale. Come ha affermato il Presidente della Commissione europea Juncker, “non sarà un divorzio consensuale, ma non è stata neppure una grande storia d’amore.”
 

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